La galassia delle milizie che insanguinano in Congo

La galassia delle milizie che insanguinano in Congo

Di Angelo Ferrari

Nella regione orientale della Repubblica democratica del Congo si muovono decine di milizie ed è difficile tracciarne una mappa. La loro ragion d’essere è la fluidità, cambiare “padrone”, seguire gli affari economici e, dunque, concentrarsi sulle risorse minerarie e lì mettere in atto la loro azione di controllo e gestione del territorio.

Da 16 anni, dalla seconda guerra del Congo che dal 1998 al 2003 vide combattersi otto eserciti nazionali e 21 milizie, nell’area si confrontano oltre venti gruppi etnici con propri miliziani, spesso sostenuti dai Paesi vicini: Ruanda, Burundi e Uganda.

Storicamente, nell’area, agiscono i miliziani Mayi Mayi, formazione nata tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000 come sorta di autodifesa dalle truppe ruandesi che per alcuni anni hanno occupato quell’area, sono tornati ad essere molto attivi nella regione. I Mayi Mayi, tuttavia, sono semplicemente un nome: comprendono milizie guidate dai signori della guerra, dagli anziani delle tribù, dai capi villaggio, da faccendieri economici.

I gruppi hanno perso anche la loro aurea mistica: un tempo combattevano solo con il machete forti del potere che gli derivava dall’acqua che li proteggeva dalle pallottole. Quell’epoca è finita. E agli inizi degli anni Duemila dalla loro lotta di “autodifesa” dei villaggi sono passati alla difesa del territorio contro l’occupazione ruandese.

L’occupazione, che Kigali ha sempre negato, è stata evidente nei primi anni Duemila proprio nell’area di Goma. L’esempio più eclatante della presenza ruandese e del controllo del territorio era che il prefisso telefonico internazionale per chiamare quelle zone era quello del Ruanda. Un abitante di Kinshasa, la capitale della Repubblica democratica del Congo, per parlare con un parente di Goma doveva comporre il prefisso internazionale del confinante Ruanda, e viceversa.

Quell’occupazione, giustificata da Kigali, con la lotta contro le milizie hutu responsabili del genocidio fuggite nel Kivu, si è presto trasformata in un’azione predatoria nei confronti delle risorse della regione, in particolare il coltan di cui Kigali è diventato esportatore. La milizia dei Mayi Mayi si è presto trasformata, data la sua fluidità, in una lobby armata d’affari, partecipando alla cosiddetta guerra del coltan.

Da mesi il gruppo ha ripreso vigore nella regione. Ai Mayi Mayi è stata attribuita la responsabilità di 82 attacchi, che hanno provocato 81 morti. Nel Nord-Est della Repubblica democratica del Congo è stato attivo anche il famigerato movimento, il Lord’s Resistence Army (Lra), esercito di resistenza del Signore, guidato dal famigerato Joseph Koni, che ha fatto della religione la motivazione della sua lotta. Il movimento nato in Uganda si è presto trasformato in gruppo terroristico e ha allargato il suo raggio di azione sconfinando, tra gli altri paesi, nel vicino Congo e le motivazioni religiose sono scomparse.

L’Lra ha rapito e costretto più di 60 mila bambini a combattere nelle sue fila. La ferocia di Kony ha trasceso ogni ragione politica e religiosa della sua lotta. Questo movimento, tuttavia, ha ridotto le sue attività, ma non  scomparso. L’Lra è rimasto acefalo per l’incriminazione all’Aia del suo capo e si e’ diviso in cellule al soldo del miglior offerente. A questo si aggiunge la penetrazione del terrorismo islamista. I jihadisti vivono di disordine e povertà – forse meno di religione – che è il loro brodo di coltura. È nato, infatti, l’Islam State Central Africa Province, una sorta di emanazione del Califfato del defunto al-Baghdadi.

Ed è proprio nel Nordest della Repubblica democratica del Congo dove vengono rivendicati numerosi attentati. Le rivendicazioni se le attribuiscono svariati gruppi, ma la maggior parte di queste azioni criminali sono attribuite al gruppo nato in Uganda e di ispirazione salafita, Allied democratic Forces (Adf). Guidata da Jamil Mukulu, un ex cattolico convertito all’Islam, è considerata vicina al movimento sunnita Tablighi Jamat e secondo molte fonti ufficiali è legata all’Isis e alle reti del terrorismo internazionale.

Gli attacchi messi in atto da questo gruppo dall’ottobre scorso, oltre 10 e che hanno provocato 10 morti, evidenziano l’espansione del terrorismo islamico nella regione dei Grandi Laghi. Azioni che hanno come obiettivo le ricchezze minerarie. Queste milizie, che hanno ripreso vigore proprio grazie alla sua affilizione all’Isis, sono diventate una sorta di attore “parastatale” creando scuole, ospedali e riscuotendo le tasse. Ma gli introiti maggiori arrivano dal commercio illegale dell’oro e del legno. L’Adf, tuttavia, è molto attento a non entrare in conflitto con i Mayi Mayi e con il Fronte democratico di librazione del Ruanda.

Ed è proprio nel Nord-Est della Repubblica democratica del Congo dove vengono rivendicati numerosi attentati. Tutto ciò accade in una regione tra le più evangelizzate e che qui nasca uno stato islamico è qualcosa di anomalo e poco spiegabile. Di certo qualcuno ha interessi tali da investire denaro in queste formazioni terroristiche.

Non è da escludere che i Paesi del Golfo abbiano interessi a riversare denaro su queste formazioni per occupare pezzi di territorio ricco di risorse. Non è un azzardo dire che ciò che sta accadendo in Kivu è una tappa della “scoperta” dell’Africa da parte del terrorismo jihadista che, in molti casi, è arrivato prima – in concomitanza e in concorrenza – di Occidente, russi, molti altri e cinesi che stanno diventando i veri padroni del Paese. 

Redazione

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