Un ponte con l’Albania 

Un ponte con l’Albania 
Albania Political Map with capital Tirana, national borders, important cities, rivers and lakes. English labeling and scaling. Illustration.

Di Daniela Piesco Vice Direttore

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Radici ha un grande merito, quello di creare ponti, ponti nuovi tra le persone e le Nazioni. La nuova Europa si costruirà proprio su questi ponti. 

Ed un ponte solidissimo è quello che da sempre unisce l’Italia e l’Albania .

Tutti ricordiamo  l’arrivo dei trenta medici albanesi a sostegno dell’emergenza Coronavirus italiana e le parole accorate del premier Edi Rama che resteranno tra i segnali più potenti di solidarietà di questa pandemia.

Ma facciamo qualche passo indietro.

La percezione italiana dei fenomeni migratori, complice la propaganda incessante dei partiti xenofobi di destra, è sempre più orientata verso atteggiamenti ben riassunti dalla frase “Gli stranieri non si integreranno mai”.

Un’altra idea diffusa è che l’Italia abbia conosciuto l’immigrazione solo nell’ultimo decennio, ma questa convinzione può essere smentita tornando agli anni Novanta, quando il Paese si è trovato a gestire quello che oggi viene ricordato come l’esodo albanese.

Il 7 marzo del 1991 l’Italia scoprì di essere considerata “L’ America” del popolo albanese.

In Albania stava crollando il regime comunista di Enver Hoxha, di ispirazione marxista-leninista, che aveva condannato il Paese all’isolamento e alla povertà assoluta.

Spinti dalla promessa di benessere dei canali televisivi italiani, che ricevevano anche dall’altra sponda dell’Adriatico, furono in 25mila a tentarne la traversata.

Partirono soprattutto dalle campagne, dove viveva il 70% della popolazione, utilizzando navi mercantili e imbarcazioni di fortuna che raggiungevano il porto di Brindisi, cariche di uomini, donne e bambini affamati.

Il sindaco Veliaj: “Sono consapevole che il nostro è un Paese dalle possibilità limitate ma credo che non esista altro Paese con un’italofilia come il nostro. Ricordo molto bene la caduta del Comunismo in Albania e quelle navi grandi come montagne che solcavano le acque di Puglia. Non possiamo dimenticare l’accoglienza e l’ospitalità che abbiamo ricevuto dall’Italia.”

La città pugliese ,allora,non era preparata ad accogliere una folla di questo tipo e si  ritrovò in piena emergenza umanitaria. Il sesto governo Andreotti tentennò per cinque giorni prima di intervenire decidendo di aiutare i boat people: alcuni vennero trasferiti in Sicilia, altri in Basilicata, altri ancora in abitazioni private e centri sociali pugliesi.

L’ondata migratoria di marzo, accompagnata da una forte empatia da parte degli italiani, si replicò a distanza di cinque mesi esatti. Il 7 agosto 1991, 20mila fuggiaschi si riunirono a Durazzo, prendendo d’assalto la nave mercantile Vlora, di ritorno da Cuba con un carico di zucchero.

Una volta a bordo costrinsero il comandante Halim Milaqi a salpare per l’Italia. Il cargo raggiunse Brindisi il giorno successivo, ma, dopo il divieto di attraccare da parte della prefettura della città, fu costretto a dirigersi verso il porto di Bari.

A differenza di quanto accaduto poche settimane prima, il governo si oppose allo sbarco degli albanesi. Le persone a bordo del Vlora vennero prima sistemate nello stadio della Vittoria di Bari e poi, con la falsa promessa di essere trasferite a Venezia, rimpatriate a Tirana.

A distanza di quasi trent’anni da quello che diversi giornali definirono un “assalto” o una “invasione”, gli albanesi sembrano scomparsi dalle cronache nazionali. All’epoca, l’ostilità nei loro confronti era così alta che l’ex presidente della Camera Irene Pivetti disse addirittura che dovevano essere “ributtati in mare”, e che ” le loro navi andavano  affondate”.

Oggi, secondo i dati forniti nel 2019 dal Ministero del Lavoro, i cittadini di origine albanese regolarmente soggiornanti in Italia sono 430mila. Rispetto agli anni in cui venivano accusati dell’impennata di crimini, oggi nessun partito politico penserebbe di bersagliarli durante la campagna elettorale.

Il motivo è che la comunità albanese si è perfettamente integrata e gli italiani non li percepiscono più come una minaccia.

Ma vediamo anche cosa succede all’altro lato dell”adriatico .

“Sono circa 22.000 gli italiani che vivono in Albania”, spiega Irena Xhani-Ilajaj, direttrice del patronato INAC di Tirana .”Imprenditori, pensionati, studenti: queste le categorie più rappresentate e con cui questo Caf più spesso si ritrova a interagire. La vicinanza geografica e la diffusione della lingua italiana, parlata da due terzi della popolazione albanese, sono tra i fattori più attrattivi, ma non sono gli unici. “

Le aziende qui trovano manodopera qualificata e giovane, tra cui ragazzi che si sono formati proprio in Italia, e soprattutto un sistema fiscale favorevole, con una serie di agevolazioni per le imprese: si parla di un’imposta sull’utile che varia dal 5 al 15%, l’IVA è al 20%”, afferma Alda Bakiri, segretario generale della Camera di Commercio italiana, situata nella centralissima piazza Skanderberg.

È anche vero, inoltre, che gli operai albanesi a oggi non dispongono di grosse coperture sindacali, fattore che invoglia molti imprenditori a delocalizzare in Albania: “i sindacati ci sono, ma raramente tutelano i diritti del lavoratore: nelle fabbriche trovi gente malpagata, non assicurata; la manodopera costa poco e i datori di lavoro non sono sostanzialmente tenuti a garantire nulla”, spiega ancora Irena Xhani-Ilajaj. 

Stando ai dati dell’Istituto Albanese di Statistica, nel giro di poco più di dieci anni, dal 2000, lo stipendio medio è passato da 107 a 375 euro. Nonostante l’incremento, sono numeri ancora distanti dai salari italiani.

Le aziende italiane sono presenti in Albania in maniera continuativa dal 1992, escludendo il 1997, l’anno della guerra civile che sconvolse il paese e che bloccò temporaneamente il fenomeno. Se dagli anni Duemila si è registrato un boom per quanto riguarda l’apertura di call center italiani e, ancor più recentemente, di aziende che operano nel settore dell’IT, storici sono invece i legami italo-albanesi nel settore manifatturiero. È soprattutto il tessile uno dei settori trainanti, con marchi come Tods, Gucci o Prada che da tempo producono in Albania. “L’Italia è il nostro principale partner commerciale e politico, ci supporta anche nell’iter di ingresso nell’UE. Tuttavia, escludendo forse l’unico porto turistico albanese, quello di Durazzo, in mano agli italiani – afferma Alda Bakiri, – le imprese italiane non gestiscono i settori strategici dell’economia albanese”.

Ma vi è di più. 

Nell’editoriale della rivista bilingue di ateneo Pontes, il rettore Bruno Giardina scrive: “Siamo, e lo dico senza falsa modestia, un esempio unico di struttura universitaria in cui studenti albanesi, studenti italiani, professori italiani, professori albanesi si incontrano, si mescolano dando origine a un processo formativo con caratteristiche specifiche, peculiari e difficilmente imitabili”. È anche in programma la costruzione di un nuovo ospedale universitario, in collaborazione con l’ospedale Poliambulanza di Brescia, struttura che renderà l’ateneo “una delle più grandi università dei Balcani”, sostiene il professore Ernesto Alicicco. 

Ma perché gli studenti italiani dovrebbero preferire questo costoso ateneo di Tirana (fino a 4.000 Euro all’anno di retta) a quelli della madrepatria? “Molti di loro scelgono di accedere a Medicina superando il test presso questo ateneo per poi, dopo i primi anni, far domanda di trasferimento a Tor Vergata”, ci confida la direttrice, “quelli che invece vi conseguono la laurea, spesso risultano essere figli di primari o notai, che rientrati presto in Italia trovano subito un posto ambito”.

Ebbene “Radici “continuerà a cementificare il ponte di comunicazione con l’Albania diventando la voce degli  albanesi in Italia e  la voce  degli italiani residenti in Albania.

Nel primo appuntamento della rubrica “un ponte con l’Albania ”  incontreró , uno dei poeti più carismatici della poesia Italo albanese, Julian Zhara

 
Daniela Piesco Vice Direttore 
redazione@progetto-radici.it

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