L’Ucraina e la Russia
La visione russa dell’Ucraina
Nel 2021, pochi mesi prima di ordinare l’invasione dell’Ucraina, Vladimir Putin a sorpresa pubblica un saggio “Sull’unità storica di russi e ucraini”. Come già suggerito dal titolo, nel testo il presidente russo sostiene apertamente che russi e ucraini, insieme ai bielorussi, appartengono alla cosiddetta nazione trina russa.
L’esistenza stessa dell’Ucraina a partire dal 1991 non è dovuta da motivi culturali o politici, ma solo da una serie di decisioni amministrative prese dalle autorità sovietiche nel corso della Guerra Fredda.
In realtà, l’opinione espressa da Putin nei confronti dell’Ucraina è molto diffusa in Russia ed esiste da ben prima del 2021. Secondo molti russi, l’Ucraina è solo un’estensione della Russia stessa, legata ad essa da una moltitudine di legami secolari tra i popoli slavi orientali, come la fede e la storia comuni.
Per questo motivo, la Russia è fermamente convinta che gli eventi tra il 2004 e il 2014 siano il risultato di cospirazioni occidentali piuttosto che decisioni prese autonomamente dagli Ucraini.
La Rivoluzione Arancione
Nonostante Putin abbia inizialmente tentato di mantenere rapporti diplomatici positivi con l’Occidente, la relazione entra in crisi durante le elezioni presidenziali ucraine del 2004. L’elezione ucraina di quell’anno è infatti combattuta tra il candidato filo-russo Viktor Yanukovych e quello pro-occidentale Viktor Yushchenko.
Il Cremlino favorisce ovviamente Yanukovych, al punto che Putin si reca personalmente in Ucraina per sostenere la sua campagna elettorale. Secondo i servizi di intelligence americani, Putin è dietro anche al fallito tentativo di avvelenare Yushchenko prima dell’elezione.
Inizialmente, la strategia di Putin sembra aver aiutato il suo alleato ucraino.

Foto di Marjan Blan per unsplash
Il 21 novembre si svolge il secondo turno delle elezioni. Fin dall’inizio, gli osservatori stranieri segnalano numerose irregolarità nel conteggio dei voti, in particolare nelle regioni di Donetsk e Lugansk.
I giornalisti e gli osservatori stranieri sono stati allontanati dalle urne, mentre la Commissione elettorale centrale dell’Ucraina annuncia che Viktor Yanukovich è in testa con oltre il 50% dei voti dopo aver conteggiato solo il 33% delle schede. I primi risultati degli exit poll, invece, danno Yushchenko in testa.
Il 22 novembre, dopo aver interrotto il suo lavoro per alcuni giorni senza alcuna spiegazione, la commissione elettorale annuncia che Yanukovich ha vinto l’elezione con il 49,4% dei voti. Solo la Russia e la Bielorussia si complimentano con il candidato per il risultato ottenuto, mentre gli Stati Uniti esprimono dubbi sulla legittimità dell’elezione.
Nel frattempo, i sostenitori di Yushchenko iniziano a radunarsi a Maidan, la Piazza dell’Indipendenza di Kiev, per protestare contro i risultati dell’elezione. Denominata “La rivoluzione arancione” a causa del colore delle bandiere usate dai dimostranti, le proteste finiscono con l’attirare oltre mezzo milione di ucraini.
Il 3 dicembre, la Corte Suprema dell’Ucraina dichiara infine invalidi i risultati del ballottaggio e fissa la data per un nuovo scrutinio tra i due candidati al 26 dicembre 2004.
Il 10 gennaio 2005, la Commissione elettorale centrale annuncia i risultati ufficiali delle elezioni, con Viktor Yushchenko che ottiene la maggioranza dei voti.
Tre giorni dopo, Putin esprime per la prima volta l’idea che la rivoluzione in Ucraina sia stata architettata dai nemici della Russia. Durante una visita diplomatica in Turchia, il Presidente russo incolpa “uomini gentili ma severi con indosso un casco coloniale” per quanto successo in Ucraina, in quanto hanno imposto “ai nativi ucraini” di seconda classe le loro idee politiche e culturali.
2014: Il Punto di Svolta
Nonostante il successo della rivoluzione Arancione, Yushchenko ben presto si dimostra incapace di esaudire le sue promesse elettorali e risolvere il problema della corruzione. Per questo motivo, nel 2010 rifiuta di candidarsi per un secondo mandato e alla fine Yanukovich viene finalmente eletto presidente al suo posto.

Foto di John Cameron per unsplash
La presidenza di Yanukovich si rivela ben presto controversa. Il nuovo presidente abbandona infatti in fretta le precedenti posizioni filo-occidentali del suo predecessore. Nel 2013, Il nuovo presidente annuncia che il suo governo non è più interessato ad entrare a far parte dell’Unione Europea. Al contrario, annuncia una nuova serie di accordi diplomatici e commerciali con Mosca.
Ironicamente, era stato lo stesso Putin a spingere Yanukovich a voltare le spalle all’Unione Europea. Il Cremlino aveva infatti offerto di investire 15 miliardi di dollari nel debito pubblico ucraino. Inoltre, la Russia avrebbe ridotto di circa un terzo il prezzo che Naftogaz, la compagnia energetica statale ucraina, pagava per il gas russo in cambio di questo cambio nella politica estera di Kiev.
La reazione del popolo ucraino è quasi immediata. In maniera simile al 2004, migliaia di ucraini scendono per strada chiedendo le dimissioni del presidente e la fine delle sue politiche filo-russe. Nonostante la reazione violenta del governo di Yanukovich, il 22 febbraio 2014 il presidente è costretto a dimettersi.
Pochi giorni dopo, Putin decide di intervenire in Ucraina.
Il Primo Intervento Russo in Ucraina
Lo stesso giorno in cui Yanukovich si dimette, le truppe russe iniziano la loro occupazione della penisola della Crimea, all’epoca l’unica regione ucraina con una maggioranza etnica russa di circa il 60%. Citando la necessità di proteggere i russi in Crimea e accusando l’occidente di aver favorito la caduta di Yanukovych, Mosca annette la penisola attraverso un referendum di dubbia legalità.
Allo stesso tempo, il Cremlino inizia ad assistere militarmente i separatisti filorussi a Donetsk e a Luhansk. In maniera simile alla Crimea, la prima lingua della maggior parte della popolazione locale è il russo.
A differenza del resto dell’Ucraina, nel 2014 gli abitanti di queste zone si sono schierati a favore del governo filo-russo. Dopo la caduta del governo di Yanukovych, i locali si sono dichiarati indipendenti da Kiev. Prima del 2022, il Cremlino ha anche provveduto a sostenere militarmente e politicamente i due stati separatisti contro i tentativi di Kiev di riconquistarli.
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