Ritratto di un sabato di fine agosto

Ritratto di un sabato di fine agosto

Il sole è un disco accecante sospeso sopra la spiaggia, mentre la brezza dello scirocco porta con sé la promessa di un’altra giornata afosa di fine agosto. Il paesaggio è scolpito dalla luce, le sagome gigantesche delle gru del porto fluttuano all’orizzonte, immerse nella foschia tremolante del calore. La città industriale, fortunatamente, rimane nascosta: qui regna solo il mare e la sabbia che sembra non finire mai.

Il rituale della mezzadia

La spiaggia si svuota lentamente, i bagnanti della mattina hanno lasciato il posto a una quiete rarefatta, interrotta solo dal suono delle onde e da qualche voce che porta il timbro nasale tipico della peucezia. Siamo già fuori da Taranto, e basta ascoltare la parlata per capire che ogni borgo è un piccolo mondo a sé. Alle dodici in punto, come da tradizione non scritta, arriva la stessa famiglia numerosa, inconfondibile nella sua composta vivacità.

Sono nove persone: sei figli e tre adulti. Eppure, il loro arrivo è quasi impercettibile, un fruscio leggero tra il caldo e la sabbia, senza urla né parole fuori posto. I primi a farsi largo sono i bambini: due gemelli di circa otto anni e una bimba di due, che fino all’anno scorso stava in braccio alla mamma, oggi invece corre già libera sulla spiaggia. E poi, a distanza, arrivano gli altri: una signora di mezza età dalla pelle chiara e i capelli neri, una nonna snella come uno spaventapasseri, una ragazzina di sedici anni che ricorda la magrezza della nonna, il ragazzotto di tredici più robusto e con gli occhiali, una bambina di cinque e un maschietto di sei. Infine, arriva lui: il patriarca, con passo deciso e l’ombrellone pesante in spalla, attorno al quale si raccoglie tutto il gruppo.

Compiti suddivisi e armonia Familiare

Senza clamore, ognuno occupa il proprio posto. I bambini cominciano a giocare, armando palle di sabbia come fossero munizioni per una battaglia gentile, mentre gli adulti si dispongono ordinatamente: la mamma, la nonna, e al centro il rituale dell’ombrellone. La ragazzina più grande, tubetto di pomata alla mano, si preoccupa della pelle di tutti: i piccoli si avvicendano per ricevere la “spalmata”, chiamandosi a vicenda come in una catena di gesti affettuosi. Anche il ragazzone occhialuto, dopo aver ricevuto la pomata dalla sorella, si prende cura degli altri adulti con la stessa attenzione.

La mamma e la nonna si avventurano in acqua, ma la nonna ci ripensa e ritorna; la ragazzina più grande si sveste con calma, prende il salvagente della sorellina e la conduce verso il mare. Gli altri, tra braccioli e giochi, si tuffano e il centro della spiaggia diventa il loro palcoscenico, ma sempre senza rumore eccessivo, senza rimproveri, come se l’allegria fosse tenuta volutamente a un tono basso.

Vederli vivere, suddividere compiti senza alcuno stress visibile, trasmette il senso profondo di comunità e tradizione che solo una famiglia numerosa sa incarnare. È una scena che parla di legami, di serenità e di quel modo tutto meridionale di godersi il mare: senza fretta, senza clamore, con una dignitosa allegria, quasi sottovoce. Come si dice dalle nostre parti, “la famiglia è il porto sicuro dove si torna sempre”, anche sotto il sole cocente di agosto.

Non s’avverte alcuno stress, c’è nel vecchio patriarca, che resta sotto il grande ombrellone di tela una stanchezza fisica, come se avesse lavorato i campi la mattina, guarda la sua famiglia colorata che sta in mare davanti e accenna ad addormentarsi appoggiato all’ombrellone.

Mentre il vento dello scirocco s’addensa sul mare, frastaglia di schiuma le sue onde, in un sabato di agosto col sole a picco delle dodici.

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Roberto De Giorgi

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