Parliamo di Pino Mango

Quando mi chiedono di parlare di Pino Mango, non so se cominciare dalle vibrazioni della sua anima a formare intorno a sé un gruppo di onde concentriche di personalità di varia natura, tra le quali la mia, che da Nord a Sud si legarono in un filo indissolubile di sensibilità, magia, affinità imprescindibili, seguendolo per anni, sempre con incanto e meraviglia; non so se raccontare la prima volta che la sua tonalità vocale, la sua presenza animica, il caldo sfondo delle sue parole aprirono valichi di luce nella mia vita già ricca del suo/mio sole, anche se in pochi riuscivano a coglierlo tra le nubi fitte del mio vivere caotico e pesante; non so se rifarmi alle emozioni del primo concerto, se sfamarmi prima degli occhi di chi come me c’era, se lasciare che il silenzio crei intanto quella patina necessaria di attesa come il fondo fertile prima della semina. Ma so che da quel “non so” sono partite rondini di frasi, versi a raccogliersi in volo. E forse è da lì che io posso davvero, in realtà, salpare a parlarvi di lui:

“Non so se in te portavi / la consapevolezza dei fiori / e l’istinto del vento / a modulare canto e controcanto / come voli d’api al tuo miele. / E cosa si posasse nella tua gola e tra le dita / a intrecciare fiati d’aria col rumore della vita / come degli oggetti d’orafo in un forziere. / Ma quel tuo gesto di voce / ci aprì sorgenti di luci infinite.”

 Così infatti scrivevo in una mia poesia nata postuma la scomparsa del cantautore e poeta lucano. E ancora oggi quelle parole paiono trovare corrispondenza nel segno così profondo che Pino Mango ha lasciato del suo passaggio artistico.

Conosciuto soprattutto per i grandi successi con testi firmati Mogol, Panella, Lucio Dalla …, ma autore egli stesso per molti anni di testi per altre voci (Mia Martini, Patty Pravo, Andrea Bocelli …), è dal successo indiscusso ed esteso de “La rondine” che possiamo parlare di un Mango vero e unico autore e fautore di se stesso. Eppure, se alcuni già notano come la figlia Angelina sia stata inserita con il suo brano “La noia” tra le tracce dell’esame di maturità del 2024 in una scuola di San Marino, ancora prima il nome del padre fu inserito tra i vincitori del Premio Lunezia Menzione Speciale 2006 con il testo della canzone “Ti amo così”. E se ora a far parlare di sé sono i testi delle sue poesie e la sua poetica, entrata nel piano di studi dell’istituto primario Marconi di Veglie (LE), della quale si è occupata l’Università Federico II di Napoli, nonché sociologi e umanisti, credo che una certa visibilità a questo aspetto della carriera di Mango debba essergli riservata di diritto. Perché parliamo indiscutibilmente e definitivamente di Poesia.

Secondo Mango la poesia è “come lo scoppio d’un glicine quando non ne può più di nascondersi alla primavera e allora il suo profumo scivola dai grappoli”.

Niente di più liberatorio, quindi. E l’aver scoperto in più tarda età l’effetto arioso dello scrivere notturno in verso libero e della scrittura poetica senza alcuna predominanza di una metrica precisa, svincolata dai fermi confini della melodia, delle battute, degli accenti presenti nella forma canzone, gli ha permesso di abbracciare espressività più larghe. Dalla lunghezza variabile dei versi – che contano dalle 2 alle 3 sillabe fino a 15 e più – fino alla quasi assenza di rime baciate se non per “L’amore s’incaglia nel petto / sanguinante da sempre del tuo pullulare / in ogni mio sano dimenticare.”, non si incontra alcuna struttura stilistica costante e schematica per tutta la lettura dell’intera raccolta delle sue pubblicazioni riunite nel volume unico “MANGO tutte le poesie” (Pendragon, 2015), se non per ripetizioni e anafore spesso utilizzate per rafforzare il significato e il suono delle parole (nelle poesie “Tobruk”, “Diamante”, “Non so se il tuo volermi bene”, “Dell’amore perduto”, “Non dirlo a nessuno che t’amo”, solo per citarne alcune), forse legate in qualche modo ancora alla forma canzone e alla presenza di un chorus. Molte infatti le composizioni presenti che diventarono canzoni o che nel testo della canzone si era già evinto esserci una poetica intrinseca (“Il dicembre degli aranci”, “Dentro me ti scrivo”, “Io ti vorrei parlare”, “Passo flamenco”, per fare alcuni esempi). Ma come lui stesso ci teneva ad affermare, sostanziale è la netta differenza tra un testo di canzone e una poesia, dove la seconda ha cardini di suono e musicalità intrinsechi capaci di reggersi da sola: “La poesia ha di bello la libertà, il foglio bianco, la musicalità espressa senza vincoli, solo con le parole”. (Mango)

“Immaginarti immagine / nel vivere il viverti” sono due versi che danno un senso molto potente della capacità di Mango di aprire scenari di vedute estese, che non hanno alcun bisogno di musica, se non quella costruita dalle parole, sulle quali tutte le tavolozze possibili di colore e di forme prendono il volo su ali di farfalla. E, quando la sinestesia amplifica le capacità percettive, si hanno parole come “di che colore è il suono delle campane?” fino ad arrivare ad interrogarsi oltre la sensorialità stessa in “hai mai sentito il rumore del pensiero?”. E, arrivati a questa sfera di connessione con l’Altrove, credo di non sbagliare se mi permetto di affermare che si possa azzardare nel poeta Mango una sorta di abilità premonitrice, veggente, permeante soprattutto l’ultima parte della sua produzione poetica, colta espressamente in “i morti non sono tutti uguali”, “Così ci lasciammo noi (…) / Cazzone d’un fato.”, “a trovar posto sul treno del tempo / anch’esso di lama tagliente

… / quel che mi manca è il finale.”, “La sensazione è d’un limpido quasi non essere,”. E concludo con una virgola, con un verso sospeso, perché chi conosce le tracce del suo ultimo respiro, di quel finale di canzone spezzato, quel destino chiamato nell’ipotesi e arrivato senza averne del tutto consapevolezza eppure sentore, come una virgola lo ritengo quel finale, a trattenerlo ancora e sempre presente in questa dimensione, ponte ad arcobaleno arcuato quel tanto da non vedere né inizio né fine, come un segno di continuità tra il lasciato e l’evocato, come ancora e sempre vivo segno di bellezza, di spiritualità, di movenze in armonia con la Natura, in uno spirito, il suo, che dell’erotico aveva la fonte e la combustione:

 

“Richiamo foresto d’invito carnale,

fiamma radente dalla mie mani.” (Mango) 

 

 Serena Vestene

Redazione

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