Oltre ogni ragionevole dubbio: tra giustizia, verità e coscienza

Un contributo etico-filosofico dell’Avv. Alessandro Numini, su tematiche di elevato interesse sociale oltre che legale.

Oltre ogni ragionevole dubbio: tra giustizia, verità e coscienza

Di fronte a una sentenza penale, il mondo si divide: chi cerca giustizia, chi pretende verità, chi vuole semplicemente un colpevole. Ma il diritto non si basa su emozioni o vendette. Si fonda su un principio tanto fragile quanto potente: la colpevolezza deve essere dimostrata “oltre ogni ragionevole dubbio”.

Questa espressione, che risuona come un mantra nei tribunali, non è solo tecnica processuale, ma riflette una visione del mondo. In diritto penale, significa che nessuno può essere condannato se resta, nella mente del giudice, un dubbio logico e ragionevole sulla sua innocenza. Un dubbio che non nasce dall’intuizione, ma dall’analisi razionale delle prove.

In altre parole: meglio un colpevole libero che un innocente in carcere. È un prezzo altissimo, ma necessario in uno Stato di diritto.

Il concetto di “ragionevole dubbio” affonda le sue radici nella filosofia del dubbio cartesiano e nella coscienza morale kantiana. Cartesio dubitava di tutto, tranne del proprio pensiero. Kant insegnava che l’uomo deve agire come se le sue azioni fossero legge universale. Ecco allora che il giudice non è solo un tecnico della norma: è un uomo che decide in coscienza.

Condannare significa attribuire responsabilità, infliggere una pena, incidere sulla vita altrui. Serve certezza, sì, ma una certezza che non sia solo logica. Deve essere etica.

Ma è davvero possibile non avere dubbi?

La domanda è lecita. In un mondo dove la verità è sempre più frammentata, dove le percezioni sostituiscono i fatti, il concetto di “certezza oltre ogni dubbio” sembra quasi utopico. Eppure è proprio in questa fragilità che il diritto si rafforza. Perché non pretende l’assoluto, ma solo l’assenza di un dubbio ragionevole.

Il giudice non deve avere fede. Deve ragionare, ma con l’onestà intellettuale di sapere che dubitare è un atto di giustizia, non di debolezza.

Nei processi mediatici — quelli che si celebrano prima nei talk show e poi nelle aule — il “ragionevole dubbio” diventa fastidio. L’opinione pubblica vuole risposte rapide. Vuole un volto da incolpare, un titolo forte. Ma la giustizia non si nutre di applausi, si alimenta di tempo, riflessione, disciplina del pensiero.

Chi urla “è colpevole!” senza prove, chiede vendetta.
Chi chiede “ma siamo sicuri?” fa giustizia.

In conclusione: il dubbio è una garanzia, non una scusa

“Oltre ogni ragionevole dubbio” non è una formula per assolvere chiunque.
È la linea sottile ch’è separa la civiltà dalla barbarie.
Che ci ricorda che il potere di punire deve essere usato con la stessa cautela con cui si maneggia un’arma: solo quando è necessario. Mai per istinto.

In un mondo dove tutti sembrano sapere tutto, il dubbio resta il gesto più nobile e rivoluzionario.

Avv. Alessandro Numini, Roma

Redazione

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