Sicurezza sul lavoro 2025: cultura, narrazione e consapevolezza per trasformare un obbligo in valore umano

Di Yuleisy Cruz Lezcano
Nel 2025, la sicurezza sul lavoro in Italia si trova a un bivio decisivo: da un lato la normativa si fa più rigorosa, digitale, integrata; dall’altro emerge con forza l’esigenza di un cambio culturale profondo, capace di restituire centralità alla persona, alla salute, alla dignità di chi lavora. Dopo anni di aggiornamenti e modifiche legislative, culminate con la Legge 13 dicembre 2024, n. 203, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 303, la direzione è chiara: la sicurezza non può più essere relegata a un piano tecnico e formale, ma deve diventare parte viva del progetto sociale ed economico del Paese. Nel primo semestre del 2025, l’INAIL ha registrato un aumento del 7,2% delle morti sul lavoro rispetto allo stesso periodo del 2024. Un dato che pesa, soprattutto se consideriamo che molte di queste tragedie si sarebbero potute evitare con una prevenzione più efficace, con ambienti più salubri, con maggiore attenzione alla salute mentale e fisica dei lavoratori. Dietro questi numeri non ci sono solo statistiche: ci sono volti, famiglie, sogni interrotti. E c’è, troppo spesso, un silenzio che urla. È in questo silenzio che la letteratura, la poesia e la comunicazione possono e devono intervenire.
Bisogna dire che qualche passo è stato fatto, che il legislatore ha risposto con alcune novità strutturali come la valutazione dei rischi psicosociali, ma nonostante lo stress lavoro-correlato sia entrato con forza nel Documento di Valutazione dei Rischi (DVR), richiedendo strumenti avanzati come interviste, focus group e analisi del clima organizzativo, nella realtà l’applicazione di questi punti da parte delle aziende è un miraggio. Soprattutto perché manca la cultura del benessere lavorativo e della sicurezza, quindi gli investimenti vengono convogliati alla produttività.
Nonostante che nel 2025, secondo le nuove direttive, debba cambiare anche il volto della formazione obbligatoria e che ogni percorso formativo deve ora essere completamente tracciabile, gestito tramite piattaforme LMS certificate che permettano di monitorare accessi, progressi, valutazioni, mancano gli investimenti in controllo, e nel rendere i posti di lavoro ergonomici e sicuri. Oggi si parla molto di benessere organizzativo, di leadership inclusiva, di formazione su comunicazione efficace, gestione dello stress, conflitti, di mettere la persona al centro, ma queste sono, al momento, solo belle parole scritte sulla carta.
Nonostante i nuovi standard europei ESG (Environmental, Social and Governance) richiedono alle aziende di includere parametri di sicurezza nei bilanci sociali. Le imprese devono rendicontare in modo trasparente i dati su infortuni, investimenti in welfare, coinvolgimento dei lavoratori. La sicurezza non è più solo una responsabilità interna, ma una leva reputazionale e strategica: incide sull’accesso al credito, sulla competitività, sulla possibilità di partecipare a bandi pubblici, ma purtroppo bisogna lavorare molto sulle responsabilità, tutto questo non basta senza un investimento profondo nella cultura della sicurezza.
Oltre ai gravi infortuni un tasto dolente è il riconoscimento adeguato delle malattie professionali legate all’esposizione a sostanze tossiche e cancerogene, occorre una revisione rigorosa delle schede tecniche dei materiali usati, e la formazione di chi è preposto ai controlli. Ancora oggi, in settori pubblici, esistono ambienti privi di sistemi adeguati di filtrazione e ricambio d’aria. Serve un osservatorio nazionale di secondo livello, indipendente, dotato di potere ispettivo e capacità di progettazione a lungo termine. Occorre, inoltre, portare l’educazione alla prevenzione nelle scuole, nei centri di formazione professionale, nei luoghi di aggregazione culturale. Servono progetti di scrittura, lettura, narrazione che raccontino il lavoro vero, quello che suda, che resiste, che spera. La poesia può diventare denuncia, memoria, testimonianza. Può dire quello che i numeri non dicono: la solitudine dopo un infortunio, la rabbia di chi è stato menomato, l’ingiustizia di chi è stato dimenticato.
Va riconosciuto il merito a chi si impegna: è urgente l’introduzione di un sistema premiante per i lavoratori che utilizzano correttamente i DPI, che seguono i corsi di aggiornamento, e per le aziende virtuose che investono realmente nella sicurezza. Perché proteggere la salute dei propri dipendenti non è un costo: è un valore. Non possiamo più limitarci alla logica dell’adempimento. Dobbiamo passare alla logica del dono e della responsabilità reciproca.
Raccontare la sicurezza come una storia di vita, non come un elenco di obblighi, è il primo passo per cambiarla davvero. È in questa narrazione, fatta di cultura, di ascolto, di verità, che la sicurezza può finalmente uscire dalle carte e tornare nei cuori. Perché ogni vita salvata è un intero mondo che continua. E ogni morte evitabile è un dovere mancato. La sicurezza non è un dovere da assolvere: è una scelta etica. E come tutte le scelte etiche, comincia dalla coscienza.
Non bastano le norme; servono investimenti nella cultura della sicurezza. È necessario promuovere programmi educativi nelle scuole e nei centri di formazione professionale, progetti di lettura e scrittura sui temi del lavoro, della salute e della giustizia sociale, campagne di comunicazione pubblica che raccontino storie, non solo dati, e spazi di dialogo tra letteratura, cinema, teatro e mondo del lavoro. Serve, in sintesi, una rivoluzione culturale, che faccia della sicurezza non un dovere, ma un valore condiviso. Uno dei problemi principali nel campo della sicurezza sul lavoro è la comunicazione. Spesso fredda, impersonale, inaccessibile. Le norme sono scritte in linguaggio giuridico o tecnico, lontano dalla realtà quotidiana di molti lavoratori. Serve invece una comunicazione chiara, empatica, coinvolgente. Una comunicazione che sappia informare senza allarmare, sensibilizzare senza colpevolizzare. La comunicazione efficace parte dal linguaggio visivo, passa per la formazione continua e si radica nel dialogo tra tutti gli attori del sistema: lavoratori, dirigenti, tecnici della prevenzione, istituzioni. Una buona comunicazione non si limita a dire “cosa fare”, ma spiega perché farlo, per chi farlo. Rende visibile il legame tra comportamento individuale e benessere collettivo.
foto gruppo ingegneri