Il quartiere dell’Arcella a Padova

Il quartiere dell’Arcella a Padova

Si sono da poco conclusi i festeggiamenti per Sant’Antonio, patrono della città di Padova.

 

Non tutti sanno che…

Sant’Antonio nasce a Lisbona nel 1195 con il nome di Fernando Martins de Bulhões: è un santo molto venerato nella città di Padova dove è morto nel 1231 e dove si trovano le sue spoglie.

Il transito di Sant’Antonio, il 13 giugno 1231, su un carro trainato da buoi, fu l’evento più importante vissuto dal quartiere di Arcella. Il 17 giugno, dopo quattro giorni di contese tra arcellani e padovani, un immenso corteo, trasportò la salma a Santa Maria Mater Domini, entro le mura cittadine, dove fu eretta l’attuale Basilica del Santo.

Il convento francescano dell’Arcella, privato del corpo del Santo, rimase, tuttavia, una meta di devozione popolare, e attorno ad esso si sviluppò il nucleo di un nuovo quartiere.

Poca memoria è rimasta degli edifici più antichi. Nel XVI sec. un provvedimento della Repubblica di Venezia, il cosiddetto Guasto Veneziano, prevedeva la distruzione di qualunque edificio nel raggio di 1,7 km dalle mura di Padova. Il monastero dell’Arcella venne abbattuto: si salvò solo la celletta dove morì Sant’Antonio. Più di recente, i bombardamenti (che causarono oltre 400 morti) e il desiderio di fare posto a moderne edificazioni hanno portato altri cambiamenti.

Le costruzioni più vecchie rimaste risalgono ai primi decenni del ‘900. Sono i villini in stile déco o eclettico costruiti nelle aree di maggiore pregio, ovvero negli immediati dintorni del santuario. Alcuni furono progettati dai principali architetti presenti a Padova in quel periodo. Sono ben riconoscibili un po’ ovunque: ad esempio in via Vecellio, in via Hayez, in via Bonazza. Originale è il palazzo in via Furlanetto che fa ampio uso di vetrate. Altri edifici si fanno notare per la presenza di torrette, richiamo medievaleggiante. In via Aspetti 135, nella zona dell’ex dazio, si riconosce ancora la prima scuola elementare del quartiere del 1800, oggi sede di una pizzeria. In prossimità degli insediamenti industriali più discosti dal santuario sorsero nuclei di case operaie e popolari, come in via Minio. Poca traccia rimane, invece, di edifici che ricordino la vocazione, ancora agricola, fino a un secolo fa, del borgo divenuto il più popoloso della città.

 

Il cimitero monumentale dell’Arcella

Il cimitero fu costruito nel 1869, dopo che la legge Sabauda aveva vietato la sepoltura nelle chiese, riaprendo un’analoga prescrizione napoleonica (Editto di Saint Cloud) che gli austriaci avevano abolito.

Cimitero Arcella

Il progetto tese a considerare il cimitero come parte del vicino complesso religioso di Sant’Antonio e fu eretto in asse con il campanile. Una naturale prosecuzione di via arcella. L’importanza del sito, ove si trovava anche la Cappella dei vescovi di Padova, distrutta dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale, ha fatto sì che quello dell’arcella divenisse il secondo cimitero monumentale. Tra i nomi illustri che si leggono sulle tombe anche quello del compositore Cesare Pollini e quello di Isidoro Wiel, comandante del sommergibile F 14 affondato nel 1928 nelle acque di Pola e di cui qui si conserva l’ancora.

Al Centro del cimitero si trova il mausoleo funebre dei Camerini, dell’architetto Eugenio Maestri, che si sviluppa su due piani: sotto, la cripta; sopra, il famedio, al cui centro si trova l’Angelo con il libro della vita di Giulio Monteverde. Tra le opere di interesse vi sono sculture di. Luigi Strazzabosco (Cappella, Tombola) e Nerino Negri (Cappelle Negri e Zanon).

 

Il santuario antoniano

La tradizione vuole che il convento francescano dell’arcella sia stato fondato nel 1220 da San Francesco d’Assisi, sbarcato a Venezia di ritorno dal viaggio in Oriente.

Il primo nome era Santa Maria de’ Cella e comprendeva il monastero delle Clarisse e il convento dei frati minori. Frate Antonio vi giunse nel 1227. Fu qui, forse, che scrisse i suoi Sermones. Il 13 giugno 1231 vi ritornò morente provenendo da Camposampiero su di un carro trainato da buoi. Dopo qualche giorno, il corpo del Santo fu trasferito al convento entro le mura. Sul luogo della morte fu comunque eretta una cappella detta del Transito. La Cella del Transito venne trasformata in un “sacello memoriale” (TEMPLICULUM). Iniziò, dunque, la venerazione popolare per quel luogo ed il 12 giugno di ogni anno, una rievocazione storica in forma di sacra rappresentazione che si snoda lungo le vie del quartiere ricorda questo evento.

 

Il convento e la chiesa

Molteplici vicende sono legate al convento dell’arcella. Nel ‘500 viene incendiato; pochi anni più tardi l’imperatore Massimiliano d’ Asburgo decide di farne il quartier generale del proprio esercito durante l’assedio posto alla Città (Lega di Cambraj). il Convento dei Frati ed il Monastero delle Clarisse vengono abbandonati dai Religiosi. Più tardi, a seguito della peste, il monastero viene trasformato in lazzaretto

Tra il 1520 ed il 1530 l’intero insediamento francescano viene raso al suolo in esecuzione dell’ordinanza delle autorità veneziane che stabilisce l’abbattimento di ogni e qualsiasi costruzione per la profondità di ca. un miglio intorno alle nuove mura difensive della città. Si tratta del già citato “GUASTO” che persisterà per quasi due secoli, impedendo la ricostruzione del sacro luogo. Ma già all’indomani della demolizione dei fabbricati conventuali i devoti, sfidando il divieto militare ricostruiscono “IL TEMPLICULUM” sul luogo del Transito di S. Antonio: le autorità veneziane tacitamente acconsentono.

Nel 1670, attenuatosi il vincolo militare sull’area Il “Benedetto Loco” viene compreso in un piccolo ma elegante SANTUARIO popolarmente chiamato “SANT’ ANTONIN”, Sant’Antonino, ossia S. ANTONIO PICCOLO, per distinguerlo dalla Basilica di S. Antonio.

Nel 1792 Il Santuario viene restaurato e viene aperto un viale campestre per collegarlo alla strada pubblica per Camposampiero, oggi il viale dell’Arcella; in tale occasione ha origine la “SAGRA delle NOCI” che tutt’ora si celebra ogni anno dalla prima alla seconda domenica di settembre. La Festa Liturgica di S. Antonio all’ Arcella verrà riconosciuta da una “bolla Papale” di PIO VII (16 luglio 1816)

Con la soppressione napoleonica delle Corporazioni Religiose del 1806/1810 il Santuario – passato al Demanio – viene acquistato dal Vescovo di Padova (Mons. Modesto Farina) che nel 1831 chiede al Rettore della Basilica del Santo di ricostituirvi una Comunità di Frati Minori Conventuali, eredi anche dei beni delle soppresse Clarisse della Beata Elena Enselmini.

Varie vicissitudini, continui rimaneggiamenti, ne susseguono fino ad arrivare al progetto del nuovo campanile nel 1898 che si concluderà solo nel 1922 collocando la statua del Santo benedicente sulla cuspide. Pochi anni dopo avrà inizio lo scavo delle fondazioni per l’innalzamento dei transetti, delle absidi e della cupola: i lavori si concluderanno nel 1931 nel VII Centenario della morte di S. Antonio.

 

L’ architettura e le opere d’arte

Il complesso è dominato dall’imponente e svettante campanile alto 75 m. sulla cui vetta è collocata la grande statua del Santo che benedice la città di Padova e dalla bella cupola semisferica che si innalza all’incrocio della navata con i transetti.

Molti sono gli elementi simbolici legati alla figura di S. Antonio ed al luogo della sua morte ripresi nel linguaggio architettonico di questa bella chiesa. La navata, ad esempio, è larga 13 metri come 13 sono le fasce di mattoni bianchi di ciascun pilastro che si conclude con capitelli decorati a “foglie di giglio”. È evidente l’allusione al 13 GIUGNO – il giorno in cui S. Antonio morì proprio all’ Arcella – e giorno anche della sua festa celebrata in molte parti del mondo, ma soprattutto a Padova. Anche l’ampio volume della cupola larga e alta 13 metri dalla cornice di imposta alla chiave di volta ripete il riferimento simbolico di questo numero antoniano. La Cella del Transito che custodisce ed indica da secoli il luogo in cui il 13 giugno del 1231 l’anima del Taumaturgo “volò al Cielo”, come recita la scritta dedicatoria incisa sull’anello-cornice di imposta della cupola, presenta sia all’interno che all’esterno le nude pareti in laterizi che permettono di leggere all’ osservatore attento le travagliate vicissitudini storiche accadute lungo i secoli a questo luogo benedetto gelosamente conservato dalla memoria e dalla devozione dei padovani.

Tra le opere all’interno vanno ricordate due splendide tele Di Pietro Liberi (1675-78): Sant’Antonio con il bambino e La Deposizione esposta in sacrestia. Sotto l’altare della cella del transito la statua di Sant’Antonio Spirato di Rinaldo Rinaldi, allievo prediletto del Canova.

Il grande organo Mascioni (1933-42), che occupa l’abside, restaurato nel 2003, è suddiviso in tre corpi ed è dotato di 3000 canne: è stato suonato da alcuni dei più grandi organisti contemporanei nelle annuali rassegne musicali. Per l’alta qualità del suono e l’acustica, il santuario è usato per registrazioni musicali.

Ai lati della navata si aprono il transetto e le cappelle. Nella terza di sinistra riposa il corpo della beata Elena Enselmini; nella prima di destra si trovano parte delle ceneri e alcune reliquie del beato Luca Belludi.

Beata Elena Enselmini – Nata a Padova nel 1208, apparteneva alla nobile famiglia Enselmini. Entrò, ancora giovinetta, nell’ordine di Santa Chiara nel monastero dell’Arcella e, secondo la leggenda, ricevette l’abito dallo stesso San Francesco. Sant’Antonio, giunto a Padova, fu suo direttore spirituale e formatore. Fortemente malata, privata dell’uso della parola, superò con fermezza una profonda crisi spirituale. Ebbe numerose visioni che comunicò con il linguaggio dei segni. Morì nel 1231, pochi mesi dopo Sant’Antonio.

Beato Luca Belludi – Nato da nobile famiglia, entrò nell’ordine francescano a 25 anni, secondo la tradizione ricevendo il saio da San Francesco. Di cultura elevata, forse frequentò l’università patavina. Divenne amico di Sant’Antonio, di cui fu discepolo fedele, tanto da essere chiamato «Luca di Sant’Antonio». Fu tra i redattori dei Sermones del Santo. Secondo una leggenda, le sue preghiere e l’intervento in sogno del Santo liberarono Padova dalla tirannia di Ezzelino Da Romano nel 1256. Morì il 17 febbraio 1286: il suo corpo fu deposto nella stessa urna che aveva contenuto il corpo di Sant’Antonio, da cui fu traslato solo nel 1971. I suoi Sermones Dominicales sono conservati nella biblioteca antoniana della Basilica del Santo.

 

Nomi e curiosità delle otto campane del santuario dell’Arcella

Prodotte dalla prestigiosa e antica fonderia Cavandini di Verona, le campane furono accolte nel 1922 dalla popolazione e benedette dal vescovo Pelizzo. Dalla più piccola alla più grande, le otto campane hanno una storia particolare e dei nomi prestigiosi: quelli dei personaggi legati alla vita di sant’Antonio.

Il campanile fu completato, dunque, nel 1922 su volere dell’allora parroco Ludovico Bressan il quale, rivolgendosi agli arcellani era solito dire «Io ho fatto il campanile, voi fate le campane».

Così, dopo aver raccolto i fondi, i fedeli si rivolsero all’antica e prestigiosa fonderia “Luigi Cavandini” di Verona (la stessa che realizzò la “campana dei Caduti” di Rovereto) che fabbricò otto campane tutte adornate con fregi e scritte latine. Il 27 agosto 1922, dalla ferrovia, dove arrivarono, fino al santuario, le campane furono caricate su carri e accompagnate da tutta la popolazione in festa nel lungo corteo. Poi, furono consacrate dal vescovo Luigi Pelizzo prima di essere issate e fissate sul campanile.

Durante il Transito di sant’Antonio, dall’alto del campanile del santuario in Arcella, i rintocchi delle campane, seguite dalle altre delle chiese di Padova, riecheggiano nelle vie della città per annunciare l’inizio della festa dedicata a sant’Antonio, morto il 13 giugno 1231. Le campane rievocano un suggestivo passo dell’Assidua, la più antica biografia del santo, scritta un anno dopo la sua morte, nella quale si narra che nel momento in cui il religioso francescano spirava a Padova, le campane di Lisbona, la sua città natale, suonarono spontaneamente per annunciare la “nascita al Cielo” di Ferdinando, divenuto per sempre sant’Antonio di Padova.

A suonare per prima è la campana più piccola, il “do”, quella dei “fanciulli” perché furono proprio i bambini a correre per le vie della città annunciando a tutti la morte di Antonio.  Proseguendo, c’è poi la nota “si” dedicata alla beata Elena Enselmini, e, a seguire, il “la” della campana che porta il nome di Luca Belludi, frate di grande cultura e amico fedele che assistette il taumaturgo da Camposampiero fino al quartiere settentrionale di Padova, scortando il carro trainato dai buoi.

La quarta campana è il “sol”, intitolata a san Ludovico d’Angiò, principe e figlio del re di Napoli, morto a 23 anni, e che si fece francescano rinunciando al trono, ricevendo, così, l’ammirazione di sant’Antonio per la sua testimonianza di povertà. La campana è, inoltre dedicata al parroco Ludovico Bressan. La quinta, il “fa”, ricorda san Francesco, sia quale fonte di ispirazione di Antonio di cui divenne ardente seguace, sia perché lo stesso convento dell’Arcella venne fondato da Francesco di ritorno dall’Oriente. Segue, poi, la sesta campana, la nota “mi” che ha il nome di san Giuseppe, patrono dei moribondi, mentre la settimana, il “re”, è dedicata alla Madonna e all’inno “O gloriosa Domina sublimis inter sidera” che Antonio intonò in punto di morte. Chiude la fila di campane, l’ottava e anche quella più grande, il “do grave”, intitolata a sant’Antonio che nell’Arcella chiuse gli occhi e la sua vita terrena».

 

Monica Montedoro

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