Italiani sì, ma non troppo: il Governo taglia il cordone ombelicale con i trisavoli

Due generazioni e poi arrivederci. La cittadinanza italiana non è più un’eredità infinita ma una concessione a tempo (e solo ai minorenni con santi in paradiso).
Avviso ai nostalgici dell’antenato col baffo e la valigia di cartone: da oggi la cittadinanza italiana non si eredita più come il servizio buono della nonna.
Con la conversione in legge del Decreto 36/2025, il Parlamento ha messo il sigillo a una riforma che fa piazza pulita dello ius sanguinis a oltranza.
Tradotto: se volevi diventare italiano perché tuo bisnonno faceva la pasta fatta in casa a Rosario, ormai sei fuori tempo massimo.
Da adesso, la cittadinanza si trasmette solo per due generazioni.
La terza? Solo se minorenne, e solo se i pianeti si allineano.
Gli altri si arrangino: magari con un DNA test o un abbonamento a “Ulisse – Il piacere della scoperta”.
Dalla saga familiare all’esame di realtà
Per decenni, l’Italia ha regalato passaporti come bomboniere di matrimonio: bastava un parente emigrato e un certificato di battesimo, e oplà, eri italiano.
Anche se non parlavi una parola della lingua, pensavi che “Montalbano” fosse un piatto tipico e credevi che il Colosseo fosse a Napoli. Ma ora, basta.
La linea dura del governo è chiara: il sangue italiano scade.
Dopo due generazioni si coagula.
E chi non ha avuto la prontezza di reclamare la cittadinanza entro il 27 marzo 2025 dovrà accontentarsi del bisnonno nei racconti di famiglia, non sul passaporto.
Italianità a gettoni: ogni 25 anni tocca dimostrare che esisti
Come se non bastasse, arriva anche il bollino “utente attivo”: per conservare la cittadinanza serve rinnovare i documenti, votare, pagare tasse.
Una specie di “se non usi la cittadinanza, la perdi”.
Un’idea quasi geniale, se non fosse che lo Stato italiano spesso riesce a perdersi da solo tra PEC non lette, uffici chiusi e pratiche smarrite nei meandri del nulla.
Chi ci guadagna? Chi ci perde?
Applausi dalle poltrone sovraniste, che da anni chiedevano un freno alla cittadinanza “usa e getta”, vista come una scorciatoia per entrare in Europa passando dalla finestra (magari con vista su Sanremo). Ma dall’altra parte si solleva il grido delle comunità italiane all’estero, che si sentono tradite come un amante mollato via WhatsApp: “Dopo tutto quello che abbiamo fatto per voi, ecco come ci ripagate?”
E non è finita.
Perché mentre chiudiamo le porte ai pronipoti dell’emigrazione, non le apriamo comunque ai figli dell’immigrazione.
Il referendum dell’8-9 giugno propone di ridurre da dieci a cinque gli anni di residenza per ottenere la cittadinanza.
Ma intanto migliaia di ragazzi nati e cresciuti in Italia restano stranieri in casa loro, spettatori di un Paese che li vuole solo quando fa comodo.
Moralino della favola (amara):
In Italia la cittadinanza non è più una questione di sangue, ma nemmeno di vita.
È diventata un cartellino da timbrare, un privilegio da meritare, un favore da negoziare.
Ma una cosa è certa: se sei italiano dentro, non bastano due generazioni a cancellarlo.
E se non lo sei mai stato, neanche dieci leggi ti renderanno davvero parte di questa tragicommedia nazionale.
Domanda finale (col veleno):
Tagliare il cordone ombelicale con gli italiani all’estero è un atto di maturità o solo l’ennesima dimostrazione che l’Italia sa rinnegare il suo passato, ma non costruire il suo futuro?