2 Giugno 2025 – Festa della Repubblica: tra parate e nostalgia, l’Italia si guarda allo specchio

2 Giugno 2025 – Festa della Repubblica: tra parate e nostalgia, l’Italia si guarda allo specchio

Altare della Patria, Roma. La banda suona l’inno, le Frecce Tricolori solcano il cielo con la solita impeccabile coreografia. Le istituzioni sfilano compite, la gente applaude.
È il 2 giugno, Festa della Repubblica.
Ogni anno, il copione si ripete come un rito laico che cerca di tenere insieme passato e presente, memoria e identità.
Ma a 79 anni dalla nascita della Repubblica italiana, viene spontaneo chiedersi: cosa resta davvero di quello spirito fondativo?
E soprattutto, cosa significa questa giornata per chi l’Italia l’ha lasciata da tempo?

Una festa, tante Italie

Mentre Roma celebra, migliaia di italiani all’estero scorrono le foto delle parate sui social o ascoltano con un misto di orgoglio e malinconia le note dell’inno nazionale da un fuso orario lontano. Secondo l’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero), sono oltre 6 milioni i cittadini italiani residenti fuori dal Paese, e la cifra è in crescita.
Non si tratta più solo di expat di lusso o cervelli in fuga, ma di intere famiglie, giovani in cerca di lavoro, pensionati in cerca di dignità.

Per loro, il 2 giugno è un promemoria silenzioso: della patria lasciata, delle opportunità mancate, ma anche dell’identità che, volenti o nolenti, continua ad accompagnarli come un passaporto culturale incancellabile.

Repubblica, sì. Ma di chi?

Nel 1946, l’Italia scelse la Repubblica con un referendum popolare. Fu una scelta coraggiosa e, per l’epoca, rivoluzionaria.
Oggi, però, quella “cosa pubblica” appare spesso distante, ingessata, incapace di includere davvero tutti.
E non parliamo solo dei soliti “italiani dimenticati”, quelli delle periferie o delle province interne.
Parliamo anche degli italiani all’estero, che votano con difficoltà, vengono coinvolti solo per interesse elettorale e ricevono dallo Stato attenzioni episodiche, spesso simboliche.

C’è chi ha fondato piccole comunità culturali, chi continua a insegnare Dante nelle scuole di Buenos Aires o Toronto, chi organizza manifestazioni per far sentire la voce di un’Italia che non è solo confini e cittadinanza, ma anche appartenenza.
Eppure, di loro si parla poco nelle celebrazioni ufficiali.
Sfilano truppe, ma non sfilano i nomi di chi tiene viva l’italianità oltreconfine con mezzi propri.

La Repubblica da esportazione

L’Italia, paradossalmente, è uno dei Paesi più “esportati” al mondo.
Cucina, moda, arte, cultura: tutto fa sistema, tranne le politiche per chi rappresenta l’Italia fuori dai confini.
La Repubblica dovrebbe essere anche loro, non solo per nostalgia folkloristica, ma per diritto. E invece?

In Australia, si discute ancora del mancato riconoscimento di titoli di studio italiani. In Germania, molti lavoratori italiani lamentano l’assenza di supporto consolare per questioni pratiche. In Argentina, una generazione di oriundi si trova abbandonata in un limbo burocratico tra cittadinanza promessa e realtà negata.

E allora, cosa celebriamo oggi?

Una Repubblica vera non si misura dai fuochi d’artificio, ma da quanto è capace di includere anche chi è lontano, fisicamente e simbolicamente.
Il 2 giugno non può essere solo una cartolina.
Deve essere un’occasione per chiedersi se la parola “Repubblica” ha ancora un senso pieno, o se è solo un’etichetta lucidata una volta all’anno.

E se invece fosse proprio dagli italiani all’estero che dovremmo ripartire?
Da chi porta l’Italia nel mondo senza chiedere nulla in cambio, se non un po’ di ascolto e rispetto.

Il 2 giugno celebriamo la Repubblica. Ma siamo sicuri che la Repubblica celebri davvero tutti i suoi cittadini? Anche quelli che ha spinto – o costretto – a cercare altrove il proprio futuro?

Vera Tagliente

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