La Siria al centro del ciclone

La Siria al centro del ciclone
Moschea degli omayyadi, uno dei luoghi di culto più importanti della Siria. Foto DianneKet78 per pixabay

Il Paese arabo conoscerà mai la pace?

di Raffaele Gaggioli

Tredici anni, oltre 600.000 vittime e 4,6 milioni di profughi in tutto il mondo. Questi tre numeri ben dimostrano l’assoluta brutalità della guerra civile che ha sconvolto la Siria dal 2011 al 2024.

Oltre alle vittime umane, il conflitto ha ovviamente devastato le infrastrutture e l’economia del Paese arabo. Il collasso del sistema sanitario e di quello idrico nazionale ha portato alla diffusione di malattie come il colera e la poliomielite. Le sanzioni occidentali contro il governo siriano hanno poi reso ancora più difficile il processo di ripresa economica, al punto che nel 2022 i prezzi dei generi alimentari erano aumentati quasi dell’800%.

La diffusa povertà è stato il fattore chiave che ha portato alla caduta di Assad verso la fine del 2024, nonostante il dittatore sembrasse aver vinto militarmente contro i suoi nemici negli anni precedenti. Nel dicembre di quell’anno, l’organizzazione jihadista Hay’at Tahrir al-Sham (HTS) diede inizio ad un’operazione militare che in appena due settimane sconfisse le forze armate del dittatore, costringendolo a fuggire in Russia.

Entro la fine di quell’anno, il leader jihadista Aḥmad Ḥusayn al-Shara era diventato di fatto il nuovo presidente della Siria, una nazione da decenni diplomaticamente isolata e tagliata fuori dall’economia internazionale. Nonostante il suo passato fondamentalismo, al-Shara ha più volte dichiarato di aver adottato posizioni più moderate nei confronti delle minoranze presenti in Siria e di aver abbandonato la sua precedente ostilità contro l’Occidente.

La crisi non è ancora finita

All’epoca della sua presa al potere, sulla testa di Al-Shara pendeva una taglia da 10 milioni di dollari a causa della sua precedente alleanza con al-Qaeda. Non solo questo rendeva quasi impossibili nuove aperture diplomatiche di Damasco verso l’Occidente, ma rischiava di fomentare ulteriormente le tensioni tra le varie minoranze etniche e religiose in Siria.

I problemi di Al-Shara iniziarono ancora prima che le sue forze conquistassero Damasco. Nel dicembre del 2024, le forze armate israeliane iniziarono a bombardare i depositi d’armi governativi della Siria per impedire all’HTS di impadronirsi dell’arsenale chimico di Assad.

Questi bombardamenti furono poi seguiti da un’operazione via terra, volta ad occupare il versante siriano del monte Hermon, sulle alture del Golan. Sebbene Tel Aviv insista tuttora che si tratti di un’occupazione strategica per la creazione di una zona cuscinetto, molti membri del governo israeliano stanno attualmente promuovendo l’invio di coloni ebraici nella regione.

L’incapacità del nuovo governo di difendere i suoi territori non ha fatto altro che aumentare le tensioni in Siria, dove il conflitto politico è inevitabilmente connesso a quello etnico/religioso. L’ascesa di Al-Shara è infatti coincisa con lo scoppio delle violenze nella zona costiera della Siria. Gli Alawiti, lo stesso gruppo etnico-religioso da cui provenivano Assad e la maggior parte dei suoi ministri, sarebbero attualmente vittime di veri e propri linciaggi per mano di milizie fondamentaliste legate al nuovo governo.

Damasco

Secondo Damasco queste violenze sarebbero state innescate da milizie alawite ancora fedeli ad Assad, ma secondo le fonti locali e l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani (SOHR) Al-Shara starebbe permettendo a gruppi armati a lui fedeli di uccidere e torturare con impunità migliaia di civili. Secondo le stime, solo nel mese di marzo sarebbero stati uccisi circa 1.500 alawiti, mentre un numero imprecisato avrebbe abbandonato la Siria in favore del Libano.

Le milizie legate al nuovo governo siriano starebbero anche prendendo di mira i Drusi, gruppo etno-religioso monoteista presente in Siria, Israele ed Iraq, per motivi religioso-politici. Non solo sono considerati apostati, ma molto di loro servono nelle forze armate israeliane e la comunità drusa in Siria è stata accusata di aver favorito l’invasione israeliana del monte Hermon.

Vi è infine il problema curdo. Il Nord-Est della Siria è controllato da Rojava, stato separatista organizzato secondo principi antitetici a quelli del nuovo governo siriano (confederalismo democratico, emancipazione femminile e inclusione delle minoranze). 

La fortuna ha iniziato a girare?

Eppure, nelle ultime settimane le fortune della Siria sembrano essere radicalmente mutate. L’Unione Europea e gli Stati Uniti hanno infatti deciso di sospendere le sanzioni contro Damasco e di riprendere i contatti diplomatici. I motivi di questa decisione sono molteplici.

Bruxelles è disposta a sostenere al-Shara per assicurare la stabilità della Siria ed evitare una nuova crisi dei rifugiati simile a quella del 2014. A differenza di Assad, al-Shara è anche ostile all’influenza russa in Medio Oriente e la sua ascesa al potere ha comportato la chiusura delle basi navali russe in Siria.

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Gli Stati Uniti lo sostengono in quanto al-Shara è alleato con la Turchia e l’Arabia Saudita, due dei più importanti alleati americani in Medio Oriente, ed è nemico giurato della Repubblica Islamica d’Iran. La sua presa di potere in Siria taglia inoltre le fonti di rifornimento per Hezbollah, gruppo terroristico libanese attivo in Libano già indebolito dalla guerra con Israele.  

L’ultimo colpo di fortuna in ordine di tempo è la notizia che il Partito dei Lavoratori Curdo (PKK) ha annunciato la fine delle ostilità contro il governo turco e la sua dissoluzione. La fine del gruppo, accusato dai suoi oppositori in Turchia di incitazione al separatismo e al terrorismo, isola ulteriormente Rojava, aprendo la possibilità di una soluzione militare o diplomatica da parte di Damasco.

Certo, la strada per la ricostruzione del Paese è ancora in salita. Servono tra 250 e 400 miliardi di dollari per ricostruire la Siria, mentre secondo le stime la sua economia ne vale attualmente circa 21. Non rimane che vedere cosa farà lo jihadista ora alleato con l’Occidente.

Redazione Radici

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