Compensazioni CO₂: dove finiscono i soldi?

Compensazioni CO₂: dove finiscono i soldi?
Indigeno dell'Amazzonia foto Ediel Rangel

CO₂, compensazioni che non compensano: ecco come vengono spesi i soldi delle “coscienze verdi”

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Cos’è una compensazione di carbonio?

In teoria, è un meccanismo virtuoso: chi inquina può bilanciare la propria impronta ambientale finanziando progetti che riducono o assorbono una quantità equivalente di CO₂. Un credito di carbonio equivale a una tonnellata di anidride carbonica evitata o rimossa dall’atmosfera.

Ma nella pratica, questo sistema è diventato un gigantesco mercato in cui le promesse ecologiche si scontrano con una realtà fatta di disuguaglianze, speculazioni e spesso illusioni.

L’illusione verde

Molte aziende propongono la possibilità di “azzerare” le proprie emissioni con un clic. Booking.com ti consente di compensare il tuo viaggio, EasyJet di volare “a impatto zero”, Shell di fare il pieno con una piccola donazione aggiuntiva. Anche giganti come Amazon, Nestlé, Microsoft e TotalEnergies si sono impegnati pubblicamente nella “neutralità climatica” entro il 2040 o il 2050.

A gestire questi progetti ci sono enti certificatori come Verra, Gold Standard o South Pole. Loro rilasciano i crediti, controllano i progetti, e spesso li vendono tramite broker globali. Ma chi verifica davvero che quei progetti abbiano un impatto?

Nel gennaio 2023, un’inchiesta congiunta di The Guardian (approfondisci qui), ha rivelato che oltre il 90% dei crediti forestali approvati da Verra non corrispondevano a reali riduzioni di emissioni. Secondo l’inchiesta, molti progetti dichiaravano di proteggere foreste che in realtà non erano minacciate da deforestazione. Si trattava, in pratica, di “crediti fantasma”, usati però da aziende come Disney, Gucci, BHP e Shell per dichiararsi “carbon neutral”.

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Il lato nascosto della compensazione: chi perde la terra

Ma il lato più inquietante di questa vicenda non è tecnico. È umano.

Molti dei progetti di compensazione si sviluppano nei Paesi del Sud globale: Africa, Sud America, Sud-Est Asiatico. Qui le terre vengono acquistate o “protette” per piantarci alberi, creare monocolture o installare impianti per biocarburanti. Il problema è che quelle terre non sono vuote. Sono abitate da comunità indigene, piccoli agricoltori, pastori nomadi, famiglie che vivono lì da generazioni.

In Brasile, per esempio, nella regione del Pará, un progetto gestito dalla società Carbonext (collegata a grandi clienti internazionali) ha delimitato 135.000 ettari di foresta amazzonica. In teoria, per proteggerla. In pratica, secondo un’inchiesta di Mongabay e InfoAmazonia del 2023, gli abitanti locali sono stati esclusi dalle decisioni, bloccati nell’accesso a risorse vitali come il legname, la pesca e le coltivazioni tradizionali.

Con la perdita della terra, molte comunità cambiano alimentazione: si passa dal cibo autoprodotto a quello industriale, spesso importato. Riso bianco, farina raffinata, bevande zuccherate. Le conseguenze sono devastanti per queste popolazioni che non sono abituate a questi cibi: malnutrizione, diabete e aumento della mortalità infantile. Inoltre e’ necessario considerare  la lenta perdita della loro cultura che finisce, col tempo, per annientare completamente la popolazione.

“Ci promettono un futuro verde, ma per noi è solo miseria,” ha raccontato in un’intervista a DW News una leader indigena del Mato Grosso, dove un progetto REDD+ ha escluso i coltivatori dalla propria area sacra. “Ci dicono che è per il clima. Ma il nostro clima sta cambiando da quando sono arrivati loro.”

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Biocarburanti: il green che brucia il futuro

Un altro grande settore di compensazione è quello dei biocarburanti, venduti in Europa come alternativa pulita al diesel o alla benzina. Si coltivano piante come canna da zucchero, olio di palma e soia. Dalle piante si ricava carburante “neutro”, poiché teoricamente la CO₂ emessa nella combustione è quella assorbita dalla pianta. Ma il ciclo non è così semplice.

In Indonesia, secondo Greenpeace e The New York Times (inchiesta pubblicata a novembre 2022), oltre 3 milioni di ettari di foresta tropicale sono stati convertiti in piantagioni per olio di palma destinato ai biodiesel europei. Le torbiere, ricche di carbonio, sono state prosciugate, con incendi spesso incontrollabili. Anche qui, le popolazioni locali vengono espulse, con la complicità di governi e grandi investitori. I bambini crescono senza accesso alla foresta, senza cibo, senza cultura. In Paraguay, progetti di eucalipti “per la cattura del carbonio” (sostenuti da crediti venduti in Europa) hanno distrutto pascoli e spinto interi villaggi a migrare verso le città, dove finiscono nei quartieri marginali, senza lavoro né salute.

Chi ci guadagna?

Dietro questa corsa ai crediti di carbonio ci sono aziende e fondi di investimento. Alcuni nomi noti: Shell, BP, TotalEnergies, ma anche marchi come Apple, che acquistano milioni di crediti per dichiararsi climaticamente responsabili.

Nel 2022, South Pole, uno dei più grandi venditori mondiali di crediti, è stato coinvolto in uno scandalo legato al progetto Kariba REDD+ in Zimbabwe. L’inchiesta di Follow the Money e Climate Home News ha mostrato come la maggior parte dei benefici promessi alle comunità non sia mai arrivata. I fondi corrispondenti a decine di milioni di dollari sono finiti altrove.

pergamena con scritta

“Il mercato del carbonio è diventato una nuova forma di estrattivismo,” ha dichiarato l’economista ambientale Diego Pacheco in un report delle Nazioni Unite. “Non si estraggono più oro o petrolio, ma crediti. E le vittime sono le stesse.”

Il problema di fondo è semantico. “Neutralità climatica” suona bene. Ma cosa vuol dire? Molte aziende la interpretano come una bilancia: puoi inquinare qui, basta piantare un albero là. Ma il clima non funziona come una partita doppia. Servono tagli reali, non compensazioni simboliche. Il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) ha sottolineato che il ruolo delle compensazioni deve essere residuale, usato solo per le emissioni impossibili da evitare. Ma oggi è diventato il centro di molte strategie aziendali. Il greenwashing non è solo una questione d’immagine. Ha effetti reali, spesso devastanti.

Mentre il Nord del mondo dice di “neutralizzare” le sue emissioni, il Sud globale perde terre, salute e autonomia. Gli alberi crescono. Ma le comunità si ammalano. La compensazione, in molti casi, serve più a pulire le coscienze che l’atmosfera.

Tutto questo in nome della sostenibilità. Ma essere sostenibili non significa crearsi un alibi per continuare a inquinare a debita distanza. La sostenibilità e’altro, e’ trasparenza, cambio di prospettiva ma, soprattutto, giustizia sociale. In un prossimo approfondimento, parleremo delle alternative che mettono al centro le comunità, e non i bilanci. Ma già oggi, possiamo scegliere con più consapevolezza: chiedere a chi vende compensazioni dove vanno davvero i nostri soldi, sostenere progetti locali verificabili, e smettere di credere che basti pagare per non inquinare.

Alessandra Gentili

4 pensieri su “Compensazioni CO₂: dove finiscono i soldi?

  1. Articolo interessante e molto chiaro, non è facile comprendere i meccanismi che ruotano intorno a questa corsa a Green da parte delle aziende…

    1. In effetti non e’ affatto chiaro. Anche gli operatori del settore hanno difficoltà a comprendere i meccanismi. Per non parlare degli ambientalisti i quali, come puoi ben immaginare, incontrano dei muri insormontabili quando tentano di fare luce. Tuttavia, come hai potuto leggere, diverse organizzazioni di giornalismo di inchiesta sono riuscite a smascherare alcune reti di aziende che usavano la compensazione come copertura, allo scopo di trarre profitto.

  2. Il vero rispetto per il territorio non puó prescindere dal profondo rispetto di chi vive in questi territori(uomini, animali e biodiversità) Questi propositi green sono dei grandi imbrogli…. 😔😔😔

    1. Grazie del tuo commento Valerio, sono d’accordo con te riguardo al fatto che il rispetto per il territorio passa per il rispetto di tutte le forme viventi che vivono all’interno di esso. Riguardo all’imbroglio, purtroppo sembra proprio sia così! E’ incredibile come anche quando proviamo a creare progetti per la nostra salvezza, ci “perdiamo” inseguendo il denaro. Sembra quasi che non abbiamo la piena coscienza che, in quell’ambiente che vogliamo salvare, e che finiamo puntualmente per sfruttare, ci siamo dentro anche noi.

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