Napoli Campione d’Italia. Ma la vera vittoria è un’altra.

Napoli ce l’ha fatta.
Campione d’Italia.
Ufficialmente.
Dopo mesi di attesa, speranze, pronostici e scongiuri, lo scudetto è realtà. Le strade sono un mare azzurro, la città è un’unica, gigantesca coreografia di bandiere, fuochi, lacrime e abbracci. Una festa che non ha bisogno di registi, perché il popolo napoletano, quando si tratta di cuore, non ha rivali.
Eppure, mentre tutti celebrano il trionfo, io resto in silenzio. Non per snobismo, non per disprezzo: semplicemente, perché non tifo. Lo dissi già, e lo ripeto oggi, a festa in corso: non serve una sciarpa per amare la propria città.
Quello che provo, oggi, non ha nulla a che vedere con il calcio. È un’emozione più sottile, più intima. È vedere una Napoli finalmente fiera di sé. Una Napoli che si scrolla di dosso lo sguardo compatito, il cliché del “poveri ma simpatici”, e per una volta viene guardata dall’alto non per giudicarla, ma per ammirarla.
Un pensiero va a chi questa festa la vive col nodo alla gola. Ai napoletani lontani, quelli emigrati per necessità, per disperazione o per scelta. Quelli che oggi si commuovono guardando i video da Londra, Berlino, Barcellona o Toronto, con la voce rotta e il cuore che torna a casa, almeno per un attimo.
Quelli che non hanno mai smesso di essere napoletani, anche quando sono stati costretti a dimenticarlo per farsi assumere.
E allora sì, festeggiamo. Ma con consapevolezza. Perché il calcio resta uno spettacolo, e lo scudetto, alla fine, non cambierà la vita di chi domani mattina dovrà affrontare un ospedale al collasso, un concorso truccato, o una valigia per l’estero.
La vittoria vera – quella che continua a mancare – sarà quando la città riuscirà a liberarsi della camorra, della spazzatura, delle clientele. Quando avremo una sanità che cura, una scuola che forma e un lavoro che trattiene. Quando chi è partito potrà scegliere di tornare, non solo per le vacanze.
Perché Napoli è campione d’Italia. Ma ora deve diventare campione di se stessa.