Roberto Saviano, prigioniero della verità: quando l’eroe diventa un fantasma

Roberto Saviano, prigioniero della verità: quando l’eroe diventa un fantasma

Roberto Saviano dice di sentirsi solo. E non quella solitudine che si cura con un aperitivo e un paio di amici distratti, ma quella che ti scava dentro, che ti isola anche in mezzo alla folla. Il motivo? L’aveva messo in conto: dire la verità fa male. Ma non aveva forse previsto quanto avrebbe dovuto pagarla cara.

L’uomo che ha osato sfidare la camorra con “Gomorra”, oggi si ritrova a vivere sotto scorta, come in un eterno coprifuoco personale. Ha detto: “Sento di aver sprecato la mia vita”.

Una frase che pesa come un macigno, specie se pronunciata da chi è diventato simbolo dell’antimafia. Ma simboli, si sa, non hanno diritto al dubbio, alla debolezza, al respiro umano. Devono restare eretti, incrollabili. E Saviano, invece, si mostra fragile. E questo, forse, è il gesto più coraggioso che abbia mai fatto.

La società che prima lo ha idolatrato, ora lo accusa di vittimismo. Gli stessi che lo applaudivano dalle poltrone dei festival oggi storcono il naso se si azzarda a parlare di burnout, solitudine, depressione. Ma cosa si aspettavano? Che fosse un supereroe di Netflix, senza affetti né paure? Saviano ha smesso di essere un uomo per diventare una maschera. Una maschera che non può sbagliare. Che non può permettersi una crisi. Che non può, in sostanza, vivere.

Il paradosso è servito: l’uomo che ha dato voce agli invisibili è diventato egli stesso invisibile. Prigioniero del ruolo che gli abbiamo cucito addosso. E mentre l’Italia si divide tra chi lo santifica e chi lo insulta, pochi si chiedono: a che prezzo stiamo chiedendo a qualcuno di incarnare la verità?

E allora la domanda, questa volta, non è per Saviano. È per noi:
Quanto siamo disposti ad accettare la fragilità di chi ci mostra il coraggio? O vogliamo solo eroi da spolpare, finché non diventano comodi bersagli?

Vera Tagliente

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