READINESS2030, non solo guerra

READINESS2030, non solo guerra

Non si parla d’altro. Con il ReArm Europe (da ieri Readiness2030) la Presidente della Commissione europea, la “Bomb- er – Leyen” (Fratoianni docet) , è ormai considerata la più grande guerrafondaia della storia.

Ma oltre a questo apparente e sfrenato bisogno di conflitto , cosa dice questo piano?

I punti in questione sono ben cinque e non si limitano al solo riarmo. Molte discussioni sono nate attorno alla scelta del nome di questo piano, che sembra focalizzarsi su un aspetto specifico. Basti pensare che, per chi legge, una singola parola potrebbe evocare immediatamente un’idea: guerra. Tuttavia, le cose non stanno esattamente così. Cerchiamo di analizzare nel dettaglio cosa prevede ogni singolo punto, perché forse, quando si parla di difesa e riarmo, non si fa necessariamente riferimento alla guerra.

Il primo punto riguarda le deroghe al patto di stabilità. Ogni Paese membro dell’Unione Europea non dovrebbe avere un deficit superiore al 3% del PIL, ovvero non può spendere più di quanto incassa, se non per una percentuale superiore al 3% del suo prodotto interno lordo. Inoltre, il debito nazionale non deve superare il 60% del PIL. Se uno di questi limiti viene superato, è compito del Paese adottare misure per riportarsi entro i limiti stabiliti dall’UE.

La proposta della Commissione è di poter superare momentaneamente queste soglie solo per investimenti riguardanti la difesa. Dunque garantire una maggiore flessibilità e un aumento della spesa.

Il secondo punto del piano riguarda la creazione di un sistema che permette agli Stati membri dell’Unione Europea di prendere prestiti comuni per acquistare insieme materiali per la difesa, come armi e munizioni. L’UE ha previsto un totale di 150 miliardi di euro per questa iniziativa, così i Paesi possono comprare risorse in modo più economico e coordinato.

Un acquisto comune con costi contenuti. Un punto per favorire la cooperazione e il coordinamento tra gli Stati membri.

Al terzo punto,i leader italiano hanno alzato il muro. L’idea della Von der Leyen era quella di usare i fondi destinati alla coesione sociale – quei fondi utili per riparare alle disparità presenti nelle regioni meno sviluppate in Europa, oltre che a promuovere lo sviluppo economico e sociale- per finanziare la difesa.

“Difesa sì, ma non a discapito delle persone”, ha commentato la segretaria del partito democratico Elly Schlein. Più radicale Conte che ha individuato il rischio di “minare il progetto di solidarietà”, alla base dell’Unione europea.

Mentre la Meloni, inizialmente accusata di accettare questo spostamento di fondi, ha tagliato corto dicendo che “L’Italia non intende distogliere un euro da fondi coesione per la difesa”.

La Commissione europea ha quindi messo sul tavolo un fondo di 150 miliardi attraverso la creazione di uno strumento finanziario ad hoc: si utilizzano i soldi del bilancio comunitario.

Un’altra proposta che mira alla collaborazione tra gli Stati membri.

Il quarto punto consiste nella mobilitazione di capitali privati. Oltre ai fondi pubblici europei, anche le imprese private vengono coinvolte nel finanziamento delle spese militari, un’utile strategia per diversificare le fonti di finanziamento e ampliare la base finanziaria.

Dulcis in fundo, l’ampliamento del ruolo della Banca Europea per gli Investimenti.

Principalmente, la BEI si occupa di infrastrutture, energia e sviluppo. Ora, però, può destinare fondi anche alla difesa.

Ma difesa non vuol dire solo armi. Infatti, il primo investimento approvato dal Consiglio

d’Amministrazione della BEI ammonta a 6 miliardi ed è destinato alle linee ferroviarie, alle risorse idriche e all’ammodernamento delle imprese.

È necessario, dunque, ampliare lo sguardo e definire il termine “difesa”: esso rappresenta l’insieme degli apparati destinati a tutelare l’integrità del territorio di uno Stato, la sicurezza della sua popolazione e il mantenimento delle sue istituzioni civili.

L’integrità del territorio di uno Stato non dipende solo dalla quantità di proiettili a disposizione, ma anche dalle tecnologie impiegate, che spaziano dalle infrastrutture digitali ai droni; dai sistemi di sorveglianza, come radar e droni; alle supply chain, ovvero le catene di fornitura di cibo, acqua e beni essenziali.

Insomma, quando si parla di investimenti nella guerra e nella difesa, è fondamentale comprendere a fondo le proposte che vengono fatte, il loro modus operandi e gli obiettivi che perseguono. È necessario guardare alle sfumature che ci permettono di non restare in superficie e di giudicare avendo a mente tutti i fattori che compongono la realtà.

In terzo luogo, von der Leyen ha annunciato di voler “usare il potere del bilancio europeo” e permettere agli Stati membri, qualora lo volessero, di ridestinare i fondi di coesione forniti dall’Ue alle spese militari. Infine, oltre a prevedere la mobilitazione di capitali privati, ReArm Europe amplierà il ruolo della Banca europea per gli investimenti (Bei), che da ora finanzierà anche i progetti legati al settore della Difesa.

Federico Giorgetti

Redazione

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