Immigrazione: la doppia morale che ci fa comodo

Ah, l’immigrazione. Argomento spinoso, tema caldo, terreno minato dove ogni parola può far scoppiare un inferno di polemiche. Eppure, se ci fermassimo un attimo a riflettere, ci renderemmo conto di quanto sia evidente la doppia morale che ci guida. Da un lato, siamo pronti a lodare e celebrare gli italiani emigrati all’estero, dipingendoli come eroi, ambasciatori di una cultura che il mondo intero ha imparato ad amare. Dall’altro, ci tapperemmo le orecchie e chiuderemmo i porti di fronte a chi cerca di emigrare verso di noi. Difficile non vedere l’ipocrisia, no?
Prendiamo il nonno che partiva per l’America con la valigia di cartone. Ecco un eroe. Un uomo che, con il sudore della fronte, ha costruito la sua fortuna lontano da casa, dando lustro al nome dell’Italia all’estero. Eppure, il giovane africano che attraversa il Mediterraneo con la speranza di una vita migliore, di fronte a noi diventa subito un “invasore”. Un “problema”. Qualcuno di cui disfarsi rapidamente, meglio se dietro un bel muro o con qualche legge che lo spinge lontano dai nostri occhi.
Eppure, la storia che tanto amiamo raccontarci e raccontare agli altri è piena di italiani che hanno cercato fortuna fuori dai confini nazionali. E non stiamo parlando solo di generazioni passate, ma anche di chi ha preso l’aereo negli anni ’80, ’90, e 2000, alla ricerca di un futuro che in patria sembrava non esserci. Eppure, questi italiani sono stati visti come ambasciatori, come gente che portava la nostra cultura nel mondo. Ma attenzione, non appena qualcuno con il passaporto sbagliato tenta di fare lo stesso percorso, la narrazione cambia radicalmente. Perché, che strano, la cultura che noi amiamo portare nel mondo diventa improvvisamente un peso da cui dobbiamo liberarci.
Non è forse la stessa disperazione, la stessa ricerca di un futuro migliore? Eppure la narrazione cambia. Gli stessi italiani che nel Novecento emigravano verso le Americhe sono gli stessi che oggi vedono i porti chiusi a chi tenta di fare lo stesso viaggio. Una vergogna bella e buona. Perché la nostra memoria storica sembra dimenticare chi siamo stati, chi siamo ancora. E preferiamo girarci dall’altra parte, rifiutando di riconoscere la dignità degli altri, mentre ci compiaciamo della nostra.
E la domanda resta: memoria corta o convenienza lunga? Meglio ignorare la verità per evitare il confronto. Siamo bravi a raccontarci la nostra storia, a lodare gli italiani che hanno fatto fortuna fuori, ma siamo così pronti a ignorare il fatto che anche oggi, nel 2025, ci sono persone che cercano quella stessa fortuna. Ma non con il passaporto giusto, e quindi diventano subito il nostro “problema”.
Ecco la realtà: oggi come ieri, siamo tutti figli della stessa disperazione. Solo che adesso, quando la disperazione non ha il passaporto giusto, preferiamo guardare altrove. E questa, cari signori, è l’ipocrisia più grande.
Vera Tagliente