Concetto di endofasia e il suo utilizzo positivo per la ricostruzione dell’immagine corporea

(di Yuleisy Cruz Lezcano)
L’endofasia è un concetto che si riferisce al linguaggio interiore, alla conversazione che una persona ha con sé stessa. Si tratta di un dialogo interno che, a volte, può essere consapevole o inconscio, e che ha un forte impatto su come percepiamo noi stessi e il mondo intorno a noi. L’endofasia può assumere diverse forme, come pensieri, frasi ripetute, immagini mentali o sensazioni corporee, e gioca un ruolo cruciale nel modo in cui reagiamo agli eventi della vita, specialmente quelli traumatici. L’endofasia può essere utilizzata come strumento per recuperare il controllo sulla propria percezione del corpo e ricostruire una visione positiva di sé.
Dopo un trauma significativo, come lo stupro, questa voce interiore subisce un mutamento profondo, influenzato dal dolore, dalla disconnessione e dalle difficoltà emotive che accompagnano l’esperienza traumatica. Il trauma da stupro altera il rapporto con il corpo, l’identità, e la propria percezione del mondo, trasformando radicalmente la natura dell’endofasia. Dopo un trauma da stupro, l’endofasia tende a riflettere il conflitto interno, il disorientamento e il dolore. La persona può sperimentare una profonda disconnessione dal proprio corpo, un senso di vergogna e colpa, e il dialogo interiore può diventare un fiume ininterrotto di pensieri distruttivi o di tentativi di autogiustificazione. In molti casi, la voce interiore può assumere toni critici e colpevolizzanti, con frasi come “Non sono più io”, “Il mio corpo è solo un oggetto”, “Sono sporca”, o ancora “Non posso fidarmi di me stessa”. La vergogna e la paura spesso permeano l’endofasia, creando una distorsione della propria immagine corporea e un allontanamento da sé. Inoltre, l’endofasia può diventare uno spazio dove si riflettono la solitudine, il dolore e la sensazione di impotenza, ma anche la volontà di proteggersi e di ritrovare un senso di controllo. Tuttavia, in molti casi, il dolore può portare a una difficoltà nell’esprimere o nel verbalizzare i propri sentimenti. La voce interiore può essere confusa, disordinata, e i pensieri difficili da formulare in parole chiare e coerenti.
Per quanto espresso nei paragrafi anteriore, consiglio vivamente la scrittura, che può diventare uno strumento fondamentale per trasformare l’endofasia in traccia culturale, in un atto simbolico che permette di dare forma a ciò che è stato vissuto, offrendo un linguaggio per il dolore, ma anche per la guarigione. Trasformare il dolore in testimonianza letteraria significa prendere quella voce interiore, carica di emozioni ed esperienze difficili da esprimere, e restituirle una forma che non solo canalizza il dolore, ma lo rende accessibile e condivisibile con gli altri. Questa trasformazione richiede un processo di consapevolezza e distacco, in cui l’endofasia, pur rimanendo un’esperienza profondamente personale, viene elevata a strumento di memoria e narrazione collettiva. In questo modo, la voce interiore non è solo un meccanismo di auto-comprensione e sopravvivenza, ma diventa un atto culturale che contribuisce a dare voce a chi ha vissuto il trauma, creando un legame tra individuo e comunità.
La prima fase è prendere consapevolezza del linguaggio interiore che si ha riguardo al proprio corpo. Dopo un trauma, è comune che l’endofasia sia dominata da pensieri negativi. Bisognerebbe ascoltare questi pensieri senza giudicarli, per capire come la mente sta reagendo al trauma. È fondamentale accogliere questi pensieri con empatia, senza respingerli o negarli, poiché rappresentano una risposta naturale a una ferita profonda. Una volta compreso il contenuto dell’endofasia, si può iniziare a modificarla, sostituendo i pensieri distruttivi con frasi più positive e di supporto. Per esempio, anziché pensare “il mio corpo è stato violato”, si può pensare “il mio corpo è forte e merita rispetto”, oppure “sono una persona che merita cura e amore”. Le parole positive non negano il trauma, ma contribuiscono a riformulare la percezione del corpo, rendendolo un alleato nel processo di guarigione. Un altro strumento utile è l’uso di tecniche di consapevolezza corporea. L’endofasia può accompagnare esercizi di mindfulness, dove si ascoltano le sensazioni fisiche senza giudizio. Pratiche come il respiro profondo, il rilassamento muscolare e la meditazione possono aiutare a ristabilire un legame positivo con il proprio corpo. Per esempio, durante una sessione di consapevolezza, si potrebbe pensare: “Il mio corpo è un rifugio, è un luogo che posso imparare a rispettare e ad amare”. Questo approccio aiuta a riappropriarsi del corpo, che può essere stato vissuto come un nemico dopo il trauma. L’endofasia può essere utilizzata per creare una narrazione di cura e gentilezza verso sé stessi. Invece di criticarsi o colpevolizzarsi, si può usare l’endofasia per coltivare un dialogo di accettazione e comprensione. Ad esempio, “Mi merito di guarire”, “Sono coraggiosa e sto facendo del mio meglio per superare questa esperienza”. Ascoltare il proprio dialogo interiore senza giudicare è essenziale. Dare spazio ai propri pensieri senza cercare di eliminarli o cambiarli subito può essere molto terapeutico. Permettersi di sentire le emozioni senza fretta di modificarle aiuta a normalizzare il processo di guarigione. In questo spazio sicuro, l’endofasia può emergere in modo spontaneo, permettendo alla persona di elaborare il trauma. Quando emergono pensieri negativi, rispondere con empatia può fare la differenza. Invece di ignorare o reprimere questi pensieri, si può rispondere con frasi di sostegno come “Capisco che questo sia doloroso, ma sei più di questo trauma” o “Il tuo corpo è un luogo di resilienza, e tu stai trovando la tua forza”.
Il trauma spesso porta con sé convinzioni limitanti sul corpo e sull’autostima. Utilizzare l’endofasia e provare a scrivere per costruire nuove convinzioni può essere un passo importante. Ad esempio, sostituire sulla carta pensieri come “Il mio corpo è il mio nemico” con “Il mio corpo è il mio alleato nella guarigione” aiuta a ripristinare una visione positiva e di potere personale. La scrittura, intesa come testimonianza letteraria, consente di canalizzare l’endofasia in una forma narrativa che non solo rende conto del trauma, ma lo restituisce anche come testimonianza di resilienza. Scrivere di sé, della propria esperienza di violenza, non è solo un modo per elaborare il dolore, ma diventa un atto formale che ridona dignità alla persona che lo ha vissuto, restituendo il controllo sulla propria storia. Scrivere significa dare un linguaggio a ciò che non è stato possibile esprimere verbalmente, organizzando il caos interiore in un racconto coerente e comprensibile.
La scrittura come testimonianza può avere un duplice scopo: da un lato, essa è un processo terapeutico che aiuta la persona a riappropriarsi della propria storia, dall’altro, diventa una testimonianza che ha valore per gli altri, contribuendo a una narrazione collettiva sulla violenza sessuale. In questo contesto, l’endofasia si trasforma in un “corpo narrativo”, dove il corpo della scrittura diventa luogo di memoria e di restituzione simbolica, capace di dare una voce che trascende l’individuo.
La trasformazione dell’endofasia in traccia culturale permette di dar voce a un’esperienza individuale, rendendola parte di una narrazione collettiva che può contribuire alla comprensione e alla lotta contro la violenza sessuale. La scrittura, quindi, diventa un atto di liberazione, un modo per ricostruire l’immagine di sé, e una testimonianza che onora la forza e la resistenza del corpo e della mente nel superamento del trauma.
fondazione Patrizio Paoletti