Cucinare

Cucinare, un’azione che tradizionalmente apparteneva alla sfera femminile. I tempi moderni e contemporanei hanno ampliato l’orizzonte di chi si può trovare dietro ai fornelli, e oggi ben affermati sono cuochi e chef anche maschili… E ben vengano!
Cucinare è un atto che abbonda di sfaccettature. Può essere espressione di amore e di cura verso l’altro; per alcuni è una necessità – o forse no, e lasciamoci sollevare il dubbio dai cibi già pronti che troviamo quotidianamente davanti ai nostri occhi, o bocche, come dir si voglia –, per altri cucinare è una passione, per altri ancora un lavoro come tutti gli altri.
Nella saga La Villa delle stoffe, della scrittrice Anna Jacobs, ci sono intere situazioni narrate nella grande cucina dei Melzer, famiglia di imprenditori tessili. Fornelli, piatti, ingredienti sono un tutt’uno con le vicende dai retroscena dolci, a volte amari, a volte piccanti. La cucina è sì il luogo di preparazione del cibo, spazio per ingredienti e sapori, ma è anche il luogo fisico di confidenze, di scontri… È quell’angolo della casa in cui in qualche modo tutti si ritrovano.
Chi non ha mai fantasticato, rendendoli quasi verosimili, sui profumi delle torte di Nonna Papera? Un’intera generazione è cresciuta immergendosi fantasticamente in quelle torte, in quel riferimento domestico impersonificato dalla nonnina tutta grembiule, occhiali e piume.
Vogliamo parlare di Julia Child? Il film Julie&Julia racconta lo sviluppo e l’intreccio, anche se mai sancito da un incontro di persone, di due esistenze parallele. La prima, quella di Julia Child, colei che ha fatto della cucina una sua vera professione invitando il popolo americano a conoscere il raffinato gusto della cucina francese. La seconda, è l’esistenza di Julie Powell che si tuffa nel mondo della cucina per sopravvivere alla monotonia di un lavoro da scrittrice, che lievita poi proprio attraverso gli esperimenti culinari sulle ricette di Julia. La cucina per Julie e Julia è canale di conoscenza e relazione che rimarrà solo tra i canali di comunicazione, che il destino non l’ha resa propriamente concreta, ma non l’ha certo spogliata di genuinità.
La stessa cosa accade un po’ oggi, quando attraverso i programmi televisivi le cuoche, i cuochi, chi più classici e chi più estrosi, si presentano nelle nostre case. È una relazione che rispecchia a tratti quella tra Julie e Julia: si ricalcano i passaggi di preparazione, ci si mette alla prova cimentandosi in piatti che sono semplici, facili, a volte elaborati e magari non diventano così belli, così perfetti e colorati, ma hanno comunque invitato a mettersi in gioco e anche in relazione, seppur a distanza, attraverso un’azione molto semplice. Se prestiamo attenzione e aggiungiamo un pizzico di creatività, cucinare è un’azione graziosa, divertente e può rendere consapevoli di quanto sia manifestazione di un proprio piacere e di un proprio gusto.
La cucina è stata spesso racconto di storie di cuoche, di osti, di tradizioni racchiuse e tramandate di pentola in pentola, di quaderni e taccuini scritti a mano. Conservo io stessa, gelosamente, la copia di una zia di famiglia e, credetemi, non c’è nemmeno una goccia di olio, di strutto, di grasso… Ogni pagina è candida, come se la narrazione della ricetta non fosse fatta sul campo, ma si fosse dedicata a scrivere la storia dei gusti, dei sapori, degli ingredienti come se fossero personaggi.
Una mano che diventa mano di scrittrice dopo che le dita hanno toccato, hanno raccolto o hanno tastato quel preciso alimento, per poi sceglierlo, maneggiarlo e prepararlo sapientemente, quindi cucinarlo e infine servirlo. Nella calligrafia resa dolce ai miei occhi, che ne incontrano il tratto appartenente a quella che oggi potremmo chiamare etichetta vintage, è racchiusa tutta la sapienza e la maestria che ha caratterizzato quella precisa cucina.
Sì, i ricettari raccontano una storia universale attraverso personaggi e luoghi unici e singolari; ingredienti e abbinamenti sono le voci di tradizioni e, a mio avviso, ognuno di noi, se ci pensa bene, ne custodisce uno proprio. Semplice o complesso che sia, ognuno ha il sapore e la ricetta del proprio cuore.
Ah, la cucina! Un mondo libero, un mondo universale, un mondo creativo, un mondo bizzarro, un mondo chic, un mondo povero, un mondo che ognuno vive a suo piacere, un mondo che appartiene a tutti noi.
C’è chi lo rende protagonista di esperienze sensoriali che rendono la pietanza celebre quasi fosse una star; chi invece si diverte con gli ingredienti, dando sfogo all’estrosità. E la lista sarebbe ancora lunga, diversa magari solo per piccoli dettagli, ma certo potremmo riempire intere pagine.
C’è un aspetto, infine, che rende nobile il binomio donna-cucina, ed è un aspetto che ha del razionale, e del geniale. Sapete che diversi prototipi di strumenti e accessori che oggi utilizziamo, devono la loro nascita al genio inventivo delle donne?
The book of Ices è un libro speciale, e non racconta del ghiaccio inteso come contesto ambientale, bensì sono pagine date alla stampa negli ultimi anni dell’’800 che riportano illustrazioni della prima macchina per fare il gelato, con ricette per tutti i gusti, anche un po’ bizzarre. Agnes Marshall è l’autrice, una cuoca inglese a cui si deve la progettazione del prototipo della macchina per il gelato, che sarà poi brevettata dal marito Alfred. E questa è una bella cooperazione tra marito e moglie, un riconoscersi nel proprio valore.
Un altro nome è quello Lillian Moller Gilbreth, donna di epoca più recente – ci troviamo nella metà del ‘900 –, che conduce una ricerca il cui soggetto è il movimento, affiancando la formazione in psicologia alla formazione in ingegneria. Cosa c’entra quindi la cucina? Il coinvolgimento di Lillian è segnato principalmente da una sua trasformazione di pensiero, frutto delle competenze e della propria esperienza come madre – è madre di 12 figli – che la spinge a ripensare lo spazio cucina in maniera efficiente e con il focus sul corpo. A lei, infatti, si deve non solo la disposizione dello spazio della cucina a L, al fine di permettere maggior fluidità ed efficienza di movimento, ma con minuzia studiò anche il posto giusto per i ripiani, per gli oggetti perché ogni elemento doveva garantire l’efficienza ed evitare il più possibile lo spreco di tempo.
Gilbreth partiva dall’analisi dettagliata dei singoli movimenti che si svolgevano nella preparazione dei piatti. Ecco come cucinare richiama ingredienti, creatività, ingegno, spazi, cura, confidenze, storie… e quanto di più?
Francesca Girardi