Giuseppe Rovani in La Libia d’oro

Giuseppe Rovani in La Libia d’oro

La grande attualità del Verismo, questa parte della letteratura italiana che nasce a cavallo dei secoli XIX e XX e ha in Verga il suo massimo esponente.

Qui ci troviamo di fronte a Giuseppe Rovani (1818-1874) che fu uno scrittore e giornalista italiano, noto per la sua adesione agli ideali risorgimentali e alla Scapigliatura milanese.

Dopo un’infanzia difficile, lavorò come istitutore e impiegato alla biblioteca di Brera, ma fu esiliato in Svizzera per aver partecipato ai moti del 1848 e alla difesa della Repubblica Romana. I moti del 1848 milanese riecheggiano in questi giorni nella serie televisiva Belcanto su Rai1

Rientrato a Milano nel 1851, riprese il suo lavoro e collaborò con varie riviste, ma la sua vita personale fu segnata da difficoltà economiche, un matrimonio infelice e problemi con l’alcol.

Letterariamente, criticò il romanzo storico romantico, preferendo un approccio più realistico. Tra le sue opere principali vi sono Lamberto Malatesta, Valenzia Candiano e La giovinezza di Giulio Cesare. Il suo capolavoro, Cento anni (1859-1864), contribuì all’evoluzione del romanzo italiano insieme a Le confessioni d’un italiano di Ippolito Nievo.

Di questo suo accanimento veristico troviamo tracce nel preludio del libro La Libia d’oro.

«Libia d’oro» è il nome di una società segreta che opera prima dell’unità d’Italia per creare un regno con re italiano.

L’autore, pur ferito dalle difficoltà passate, decide di scrivere un nuovo libro, nonostante le avversità del mestiere in Italia, dove i lettori paganti sono pochi e i critici leggono raramente con attenzione.

Quale analogia col presente!

Paragona la sua situazione a quella di grandi uomini del passato, come il Tasso, che visse in povertà, e un altro patriota morto in ospedale.

Tuttavia, trova la forza di continuare, spinto da un’intima vendetta: esporre pubblicamente l’alta e la bassa canaglia che ha operato contro l’umanità nel suo tempo, creando così una sorta di nuovo Inferno dantesco.

Il nuovo libro non sarà un romanzo nel senso tradizionale, ma cercherà di completare la storia piuttosto che alterarla.

Come Il libro dei Cento Anni, userà azione, induzione, fantasia e arte per colmare le lacune lasciate dai documenti storici e far emergere verità nascoste. L’attenzione sarà più sull’atmosfera generale di un periodo storico che sulla precisione assoluta dei dettagli. L’autore avverte i critici troppo rigorosi, paragonandoli a un maestro di scuola che giudica un’intera città per un singolo errore ortografico.

L’autore risponde alle critiche ricevute per aver dato troppo spazio ai malvagi nel suo precedente libro, I Cento Anni, avvertendo che nel nuovo lavoro questo aspetto sarà ancora più marcato.

Contesta chi dipinge il mondo in modo edulcorato, sottolineando che la realtà è dominata da scellerati, stolti e pazzi, mentre i veri galantuomini sono una minoranza quasi inesistente.

Sostiene che l’arte non deve limitarsi a rappresentare solo figure generiche e idealizzate, ma deve anche esplorare le eccezioni e le deformità dell’animo umano, perché rifiutarle significherebbe falsare la verità.

L’arte, unita alla scienza, ha il compito di mettere in luce le malattie morali e psicologiche della società, permettendo una comprensione più profonda della natura umana.

Una lezione di giornalismo, di libera scrittura, di attenzione al vero, oggi quanto mai necessario,  tutti armamenti del buon cronista, un lezione che ci viene dal passato.

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Roberto De Giorgi

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