Il Sentire Viscerale: Una Visione Espansa

Il Sentire Viscerale: Una Visione Espansa

Immaginiamo una persona immersa in un ambiente naturale, tra le differenti nature delle cose. Cammina in un bosco, il terreno è umido sotto i piedi, l’aria è carica dell’odore di terra e foglie in decomposizione. Improvvisamente, un suono – forse un fruscio – attiva una reazione immediata. Non è il pensiero a guidare l’azione: il corpo si muove, il cuore accelera, la testa si gira verso la fonte del rumore. Questo è un esempio di sentire viscerale: un processo che avviene al di là della razionalità, una reazione che non ha bisogno di essere interpretata (anche se lo si fa) ma che è immediata e diretta. 

A: «Il pensiero mi inganna, lo sento chiaramente. Non posso fidarmi della razionalità per comprendere ciò che sono».

B: «E allora da cosa parti? Se non il pensiero, cos’è che ti guida?».

A: «Il corpo. Il battito del cuore, il respiro, il nodo allo stomaco quando percepisco un pericolo. È lì che trovo la mia verità!»

B: «Eppure, anche questa percezione viscerale, quando la racconti, diventa pensiero».

A: «Forse sì, ma è un pensiero che nasce da un sentire, non da una costruzione astratta. È una riflessione che scaturisce dalla materia».

La scienza contemporanea ci offre un terreno fertile per comprendere il sentire viscerale. La scoperta che il cuore contiene una rete complessa di neuroni suggerisce che il corpo possieda meccanismi di percezione e decisione che non passano esclusivamente attraverso il cervello (o meglio, passano in questo filtro, ma qui non si compongono).

Studi mostrano che:

Il cuore invia segnali al cervello che influenzano le emozioni e i processi cognitivi.

Le decisioni possono essere influenzate da risposte fisiologiche che precedono la razionalizzazione, comunemente intesa.

L’arte è una forma di sentire viscerale che si traduce in un’esperienza condivisa. La musica, in particolare, stimola il corpo nella mente. Un crescendo in una sinfonia o un ritmo tribale colpiscono il cuore, fanno battere i piedi, muovono le mani – senza che il cervello debba interpretare o capire. L’arte non “spiega,” ma “mostra,” e questo è il parallelo diretto con il sentire viscerale: esperienza immediata, non mediata.

La filosofia cartesiana separa mente e corpo, relegando la pima al dominio del pensiero e il secondo a una macchina biologica.

Questa dicotomia è falsa, noi sosteniamo:

Il corpo è mente; la mente è corpo. Ogni pensiero è un prodotto della materia vivente, non un’entità separata o superiore.

La sofferenza non è “psichica” o “fisica,” ma un’esperienza integrata. Dolore non è improprio. Sofferenza è idealistico, sulle mosse platoniche, cristiane, cartesiane.

Le teorie cognitive spesso trattano le emozioni e il pensiero come processi distinti dalla corporeità. Questo approccio ignora il fatto che le emozioni nascono nel corpo e sono intrinsecamente legate alla nostra fisiologia. Il sentire viscerale sfida questa visione riduttiva, proponendo un modello integrato in cui corpo e mente sono un’unica realtà materiale.

La società moderna cerca di eliminare il dolore attraverso la medicina e la tecnologia. Ma il dolore non è un nemico da combattere: è una parte essenziale dell’esperienza umana.

 Accettare il dolore: Il dolore viscerale, che sia fisico o emotivo, è un messaggio del corpo. Non dobbiamo ignorarlo o reprimerlo, ma ascoltarlo.

 Riconnettersi al corpo nella cura: La medicina dovrebbe riconoscere l’unità di corpo e mente, trattando il paziente come un tutto, non come una somma di parti. Organismo unitario e individuale. Ancor più, unitario individuale. Non pezzi d’organo. Non pezzi d’organismo.

L’educazione dovrebbe insegnare a sentire, non solo a pensare. L’ascolto del corpo, la consapevolezza delle proprie reazioni viscerali, può portare a una società più empatica e meno alienata.

L’“istinto” viene spesso usato per indicare reazioni innate, automatiche. Ma questo termine è limitante e riduttivo, poiché implica una mancanza di complessità o consapevolezza.

La “pulsione” è più adeguata a descrivere il movimento interno che ci spinge ad agire, dall’agire necessario, primigenio, primario, originario, originale, originato al pensiero non pensato. A differenza dell’istinto, la pulsione è radicata nella materia ma aperta a interpretazioni individuali e culturali. Non è solo una risposta biologica, ma un processo dinamico che attraversa corpo mente.

A questo punto, capiamo, comprendiamo, ci portiamo in questo luogo a dover seguitare a un tempo con l’abbandono di mente, sostenendo non esista una “mente”. Percorreremo linguaggio, sull’utilizzo del lessema, per convenienza, ma se diciamo mente, in luogo di cuore, e diciamo mente in luogo di corpo, facilmente superiamo il concetto di mente, non sentendoci parte di una sostituzione possibile e fattibile, in quanto il linguaggio mente e, alle volte, non restituisce materiale sostanza ontologica.

 Pulsione di vita e pulsione di morte: Questi termini freudiani possono essere reinterpretati come forze materiali che guidano l’esistenza: il desiderio di espandersi e il desiderio di tornare al nulla.

Il “carattere” è spesso inteso come una qualità intrinseca, ma è in realtà una costruzione culturale. Non c’è un carattere stabile o universale; ogni comportamento è una manifestazione del corpo in un contesto specifico.

La “personalità” è un’altra etichetta che riduce la complessità dell’essere umano. È un concetto che tenta di cristallizzare ciò che è fluido, di definire ciò che non può essere definito.

Non siamo carattere o personalità: siamo corpo. Ogni nostro atto, pensiero o emozione è radicato nella materia, non in un’identità astratta.

Se il pensiero pensato è un ostacolo, come possiamo usarlo per superare sé stesso?

La risposta è che il pensiero non va eliminato, ma trasformato:

  • usare il pensiero come strumento per distruggere le illusioni che esso stesso crea
  • riconoscere i limiti del pensiero senza rifiutarlo completamente

La coscienza, se vista come entità separata, diventa un ostacolo. Ma se la comprendiamo come un fenomeno emergente dalla materia, possiamo accettarla come parte del nostro essere corporeo, senza idealizzarla.

di PsykoSapiens, counselor psicosociale

Paola Cecchini

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