Cosa porta la vita a scegliere di non essere più?

Cosa porta la vita a scegliere di non essere più?

Cosa spinge sempre più persone negli ultimi tempi a decidere di strapparsi la vita di dosso. Ǫuando è iniziato il loro viaggio verso la non vita?

Il viaggio non credo proprio sia del singolo ma dell’umanità tutta. Il viaggio non la colpa, o meglio, il viaggio che porta alla colpa.

Viaggio inteso come viaticum, provviste per il cammino e colpa, da cello, spinta a mal fare, occasione di danno.

Dunque, va da sé che se il mondo non dà le giuste provviste per il cammino si viene spinti a disperare e non a sperare, tendere cioè alla meta.

Ora sono convinta che il problema oggi sia la meta:

una meta unica talmente lontana da generare frustrazione e senso di inadeguatezza o tante mete che, una volta raggiunte, non soddisfano e spostano l’asticella sempre più in là, generando insoddisfazione.

Tutto è infondato in partenza:

è bene avere desideri, scintille che ci indicano la direzione, come le stelle ai naviganti, non a caso de- sidera significa strada verso le stelle, ma non siamo noi a definire il termine, il fine ultimo, la meta.

Oggi tutti fissano la propria o le proprie mete, che poi c’è da discutere anche se siano davvero le proprie o meno; dopo averle fissate iniziano il loro cammino avendo lo sguardo fisso su di esse e qualsiasi cosa si frapponga tra loro e la meta è uno strappo, una lacerazione, un dolore profondo. Essendo diventato il dolore un tabù esso non trova più rimedio tra le provviste del cammino che il viandante porta con sé.

Basti pensare che davanti ad una persona che soffre per una malattia terminale si pensa all’eutanasia o che davanti alle prime difficoltà a lavoro lo si cambia senza affezione né senso di appartenenza o ancora in un rapporto di amore oppure amicizia la prima divergenza sostanziale si trasforma in motivo di distacco definitivo.

Insomma nel kit del viandante si spera ci sia una pozione magica per il dolore e non attrezzature per poterci passare attraverso e sopravvivere.

Ǫuando la meta, tutta umana, è lontana, non si trova l’antidoto al dolore che inevitabilmente dirompe nella vita di ognuno, si dispera, cioè non si tende più a nulla, ci si immobilizza.

Certo nelle sabbie mobili l’unico modo per non sprofondare velocemente è restare immobili ma serve comunque qualcuno che arrivi a salvarci, che ci lanci una corda.

Abbiamo bisogno degli altri che magari abbiamo nel loro kit del viaggiatore quella corda, quel modo di uscire da quelle sabbie mobili del dolore ma anche di un desiderio, di una strada verso le stelle su cui tornare a camminare e soprattutto abbiamo bisogno di una linea di fede, come nella bussola, che indica sempre il punto fisso verso cui guardare:

la prua è fissa e predeterminata, non la decide il comandante.

Egli ha desiderio di procedere la navigazione correttamente e si serve della bussola, a volte perde rotta per poi correggere il tiro, é tutto un gioco di squilibri e riequilibri.

Se perdere la rotta portasse il comandate a terminare il viaggio allora nessuna nave o nessun aereo porterebbe più passeggeri a destinazione.

Allora è la mancanza di una linea di fede, di un punto fisso che porta la vita a scegliere di non essere più.

foto unavaligiariccadisogni.it

Redazione

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