Solo allora potrete dimenticarci

Solo allora potrete dimenticarci
«Non comprendo, non sopporto che si giudichi un uomo non per quello che è, ma per il gruppo a cui gli accade di appartenere» scrisse Primo Levi. 
E tutta la vita ci avrebbe messi in guardia: «Al termine della catena» c’è sempre il Lager, l’annientamento, lo sterminio. Così è, la storia dell’umanità.
Quella vergogna oggi ancora esiste, ed è anzi persino più funerea: perché c’è stata Auschwitz nel cuore della “nostra” Europa e perché da allora si è detto, prima timidamente, poi convintamente e poi addirittura istituzionalmente: «Mai più».
Ma gli ottant’anni trascorsi da allora, con l’elenco interminabile di orrori che va da Hiroshima all’Algeria, dal Vietnam al Ruanda, dalla Jugoslavia all’Afghanistan, dalla Siria a Gaza, sembrano dirci, con Levi, che siamo ancora lì, e che la nostra volontà, che sia «buona», «nulla» o «scarsa», «non abbia valso a difesa».
La prima pattuglia russa giunse in vista del campo verso mezzogiorno del 27 gennaio 1945, dell’ultimo giorno di Auschwitz, sabato, quello destinato verificarne e a celebrarne la “liberazione”, e quindi la spettacolosa fine del regno della morte voluto, programmato e costruito dal nazismo al centro dell’Europa. Nel KZ AuschwitzKonzentrationslager Auschwitz, aveva trovato la morte per opera dei nazisti, a partire dal giugno 1940, un numero imprecisato di esseri umani – forse un milione e centomila, probabilmente un milione e trecentomila: uomini e donne, in grande maggioranza ebrei (più di un milione di vittime), rom e sinti, sovietici di varie nazionalità, oppositori politici, cittadini polacchi, omosessuali, anziani e bambini. I rom, al pari degli ebrei (e dei sinti), testimoniavano un’antica e radicata passione omicida del nazismo.  (continua cliccando sul titolo)
Il sistema di deportazione è stato inaugurato da Meloni e Edi Rama  (nella foto: abbracciati) nel 2023 con un accordo fra l’Italia e la sua ex colonia Albania. Sono realizzati due centri in territorio albanese a spese italiane, dove i migranti catturati in mare a 500 Km di distanza vengono deportati: dapprima nel porto di Sh?ngjin e poi nella vicina cittadina di Gjad?r configurata come un Cpr (Centro di permanenza per i rimpatri) volto a detenere in carcere i migranti in attesa di essere respinti nei Paesi di origine. Il tutto è una violazione della Convenzione di Ginevra e delle Convenzioni internazionali di diritto del mare: ultimo anello di una catena che, imprigionando le persone migranti in una speranza negata, è lo specchio perfetto delle politiche italiane ed europee in materia di flussi migratori. Un modello, sì, ma di disumanità.
Sfogliate il libro delle nefandezze umane. Alla pagina dell’anno 1619, mese di agosto, troverete l’immagine di schiavi denudati e incatenati in fila per entrare nella stiva della nave Sao Joao Baptista e poi della White Lion, i bastimenti negrieri che dalle spiagge dell’Angola portavano i primi 33 schiavi a Jamestown, Virginia. Quello era il viaggio di andata. E ora confrontate quella immagine, dipinta 406 anni fa, con la fotografia rilasciata dalla Casa Bianca del 47° presidente Donald Trump, intitolata “Deportazione!”, dove la scena è clamorosamente capovolta, ci sono una trentina di disgraziati in fila indiana e in catene, come si addice agli schiavi, che stanno salendo dentro la stiva dell’aereo da trasporto militare per essere espulsi, buttati via, come si fa con gli avanzi di un pranzo durato 4 secoli. Uomini in divisa e armati di fucile mitragliatore controllano la partenza degli schiavi rinominati “clandestini”, proprio come quattro secoli fa i trafficanti bianchi, armati di mazze e spade controllavano gli arrivi dei “selvaggi” appena razziati dai villaggi africani. Dopo quei 33 schiavi in America ne sono arrivati tra i 9 e i 15 milioni, nessuno è in grado di conteggiare uomini e donne che valevano qualcosa in vita e nulla da morti. Hanno lavorato nei campi prima della canna da zucchero poi in quelli di cotone a costo zero, se si esclude il cibo per il sostentamento delle braccia. Generando una formidabile ricchezza nell’America dei pellegrini bianchi che di genocidio in genocidio, sgomberarono le terre dell’oro e della frontiera. Fino a decollare verso i fasti economici della Rivoluzione industriale proprio come i cugini dell’impero britannico che prelevavano schiavi dall’Africa all’Oriente. L’abbiamo chiamato progresso, ce ne vantiamo, convinti come siamo che la crudeltà servita ieri e rinnovata oggi, resterà per sempre nel conto dei debiti sospesi. (Pino Corrias)
Modello Israele. Si immagini ora un uomo  (come quello nella  foto) a cui, insieme con le persone amate, vengano tolti la sua casa, le sue abitudini, i suoi abiti, tutto infine, letteralmente tutto quanto possiede: sarà un uomo vuoto, ridotto a sofferenza e bisogno, dimentico di dignità e discernimento, poichè accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere se stesso; tale quindi, che si potrà a cuor leggero decidere della sua vita o morte al di fuori di ogni senso di affinità umana; nel caso più fortunato, in base ad un puro giudizio di utilità. Si comprenderà allora il duplice significato del termine “Campo di annientamento”…  Clicca qui Primo Levi. ( rete ambientalista)

Redazione Radici

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