Primo Levi – «Se questo è un uomo»

Primo Levi – «Se questo è un uomo»

Ieri sera 26 Gennaio 2025, a ‘Che Tempo che fa’ su La7, intervistata da Fazio, Edith Bruck lo ha ricordato come fortemente depresso dal negazionismo in atto, negli anni ’80 dello scorso secolo, dell’olocausto.

Non è un caso che Furio Colonbo, il giornalista scomparso recentemente, solo nel 2005 riusci a suggerire la celebrazione della Giornata della Memoria da parte dell’Onu.

Ma Levi era morto da diciotto anni.

Le spoglie dello scrittore di oggi riposano presso il campo israelitico del Cimitero monumentale di Torino

Anche se, va riferito a riguardo del suo libro, che l’esperienza di Auschwitz, che è la trama del romanzo autobiografico che presentiamo, fu determinate da spazzare qualsiasi resto di educazione religiosa che pure l’autore ammette d’aver avuto.

Il suo è un realismo descrittivo, come si dice di coloro che scrivono in modo asciutto, sintetico ed esauriente quanto basta per comprendere i sentimenti e lo sfondo sociale dell’ambientazione dell’opera.

Una condizione essenziale per raggiungere un vasto pubblico.

Primo Levi, torinese, (1919 – 1987) è stato uno scrittore, partigiano, chimico e poeta italiano, autore di racconti, memorie, poesie e romanzi.

“Se questo è un uomo”, nell’edizione Einaudi che ho io è una ristampa del 1989 che richiama altre due del 1969 e del 1958.

In rete è facile trovare la poesia che fa da dedica al racconto, tanto che si finisce col credere che il nostro titolo sia una poesia.

Anche se lo scrittore è anche poeta, e talvolta la migliore e più affascinante poesia la si trova in un trafiletto, in poche parole.

LA RETE

Se questo è un uomo
Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un si o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.

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In queste giornate di tregua della guerra in Medio Oriente, val la pena di celebrare questa giornata con onestà intellettuale non mescolando la storia di ottant’anni fa con la destra gerrafondaia che governa Israele di oggi. Nè cederemo mai a disquire tra Olocausto e genocidio. La situazione in quella culla della cristianità ha origini antiche, tra la diaspora degli israeliani, il ritorno dopo la guerra e il ruolo dell’Onu. Pezzi di un mosaico complesso che non ammette semplificazioni.

Nel presentare l’opera, lo stesso autore afferma che è stato fortunato per essere stato deportato solo nel 1944, e cioè dopo che il governo tedesco, data la crescente scarsità di manodopera, aveva stabilito di allungare la vita media dei prigionieri da eliminarsi.

Del resto lui aveva anche il vantaggio di essere un chimico che serviva alle industrie belliche.

Proprio la scarsità delle materie prime vide, nel periodo della guerra, accrescere le attività di ricerca sui polimeri plastici per creare nuovi materiali.

Il libro è una pacata testimonianza, non vuole essere un documento di accusa, ne aggiunge altro rispetto a quello che si sa, sui campi di sterminio.

Nella prefazione si fa riferimento alla letteratura sui campi di sterminio, che si può divider in tre filoni: i diari o i memoriali dei deportati, le loro elaborazioni letterarie, le opere sociologiche e storiche.

Il testo di Primo Levi raggruppa tutte e tre le categorie.

E’ la rappresentazione dell’umiliazione e dell’offesa, della degradazione dell’uomo, prima ancora di considerare la sua soppressione nelle sterminio di massa. Visto con l’occhio triste del poeta un libro che parla all’anima.

Roberto De Giorgi

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