Angelo De Gubernatis biografo di Manzoni
A soli cinque anni dalla morte del grande romanziere del XIX secolo Alessandro Manzoni, nel 1878 esce questo studio biografico di Angelo De Gubernatis.
Proprio in questi giorni su La7 Corrado Augias il giornalista amante dei libri ha parlato di Manzoni con lo scrittore Carofiglio
Un libro su Manzoni, anzi uno studio biografico sul più grande romanziere de l’Ottocento italiano, un primato nel mondo. Angelo De Gubernatis, il nostro autore di oggi, è stato un linguista e scrittore che fu candidato al Premio Nobel per la letteratura, forse anche per aver scritto Storia Universale della Letteratura in 18 volumi.
Sicuramente i cultori della letteratura lo conoscono.
Il libro su Manzoni lo scrive nel 1878, dopo appena cinque anni dalla morte del grande romanziere.
Come se volesse cogliere l’occasione dell’enorme emozione diffusa in Italia e nel mondo per quella dipartita e l’estremo interesse suscitato dall’opera manzoniana.
Del resto la vita del nostro autore è per certi aspetti parallela a quella del suo illustre riferimento. Lui è del 1840-1913, Manzoni del 1785-1873.
Quando De Gurbernatis era impegnato nel 1865 con numerose riviste, il vate era vivo e da 40 anni c’erano i Promessi sposi che, risciacquati nell’Arno, erano diventati il primo libro scritto nella lingua italiana ufficiale.
Insomma alta cultura nella soffitta dei libri.
Una biografia di Manzoni ragionata da un fine letterato. Non è un mattone, sono 130 pagine e gusterete lo stile.
Il libro è tratto dalle letture fatte dall’autore alla Taylorian Institution di Oxford nel maggio dell’anno 1878. Un’altra annotazione di costume contemporaneo: vi ricordate la polemica sorta anche all’interno del Carroccio leghista dopo la sparata del senatur contro il Manzoni? Allora a difenderlo scese in campo Tosi.
Noi lo difendiamo con il suo biografo.
“Non sorridete, o Signori. Io so bene che gli stranieri, i quali hanno fatto i loro primi, in verità, non molto divertenti esercizi d’italiano sopra i Promessi Sposi e sopra le Mie Prigioni, riguardano come stranamente idolatrico il nostro culto manzoniano.
Lo so, e se credessi che la loro opinione avesse buon fondamento, me ne turberei; poichè, in verità, se il Manzoni fosse per noi un idolo, innanzi ad un idolo lo vedrei solamente possibile una di queste due altitudini: adorare tacendo con gli occhi chiusi, che non è il miglior modo per veder bene; o passargli accanto sdegnosi, sprezzanti, correndo via, che non è, di certo, un modo di veder meglio.
Io ammiro grandemente il Manzoni, ma non l’adoro, e però, quantunque pieno di riverenza a tanta umana grandezza, oserò accostarmele e studiarla, anco perché stimo che giovi il vedere come un uomo non solo sia nato, ch’è merito di natura, ma come abbia saputo egli stesso divenire e mantenersi grande”.
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