Intervista “Orfani di Femminicidio” a Nodari
Orfani di femminicidio, Francesca Nodari: “Un tema invisibile che si deve urgentemente affrontare”
Orfani di femminicidio, Francesca Nodari: “Un tema invisibile che si deve urgentemente affrontare”
“Orfani speciali”, “bambini invisibili”, “orfani di crimini domestici” sono solo alcune delle espressioni con cui si possono nominare gli “orfani di femminicidio”, bambini e bambine che hanno assistito, a volte per anni, alle violenze del padre nei confronti della madre (o al femminicidio stesso), subendone le conseguenze sul proprio processo di sviluppo a livello emotivo, relazionale e cognitivo.
Un tema ancora troppo spesso dibattuto che chiama a rispondere il welfare state e la mancanza di strumenti e servizi in sostegno a questi bambini.
Di questo ne parliamo con Francesca Nodari, filosofa levinasiana, allieva del grande pensatore tedesco Bernhard Casper.
Specializzata in Filosofia e linguaggi della modernità nell’Ateneo di Trento, ha conseguito, sotto la guida di Casper (Università di Freiburg i. B.), il Dottorato di ricerca in Filosofia presso l’Università degli Studi di Trieste e collaborato con la facoltà di Filosofia dell’Università Milano-Bicocca. Si occupa di questioni che ruotano attorno allo statuto della soggettività e dell’alterità cercando di farne emergere, grazie agli stimoli legati in particolare al pensiero di Levinas, la dimensione incarnata, temporale e finita. È Presidente della Fondazione Filosofi lungo l’Oglio e Direttrice scientifica dell’omonimo Festival. Autrice prolifica e curatrice di prefazioni e postfazioni di testi filosofici, dirige – presso Mimesis – le collane «Chicchidoro» e «Tempo della memoria». Collabora con numerose riviste e La Domenica de «Il Sole 24 Ore». È tra le vincitrici del «Premio Donne Leader 2012», conferitole dall’Associazione internazionale EWMD e, nel 2015, del «Premio Donne che ce l’hanno fatta». Nel 2019, è stata insignita dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, dell’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine Al Merito della Repubblica Italiana. Recentemente, è stata nominata tra le 100 Esperte della sezione di Filosofia del progetto «100 donne contro gli stereotipi».
Spesso, per ignoranza diffusa, si tende a non capire il senso della distinzione della parola “femminicidio” e della parola “omicidio”. Qual è la distinzione e perché è importante questo distinguo?
Purtroppo, l’ignoranza continua a dilagare e questo genera molta confusione, portando le persone a chiedersi quale necessità ci sia nel distinguere un femminicidio tra la marea di omicidi comuni. Questo è un problema culturale serio che va affrontato seriamente e in modo profondo. Se la parola “omicidio” indica le uccisioni dolose, preterintenzionali, premeditate o colpose (categoria in cui rientrano anche donne morte in incidenti stradali o per altri motivi), la parola “femminicidio” – nata nel 2013 – indica precisamente un omicidio doloso o preterintenzionale in cui una donna viene uccisa da un individuo per motivi basati sul genere1. In sostanza, per femminicidio si intende “l’eliminazione fisica di una donna in quanto tale” nella maggior parte dei casi da parte del moroso, del fidanzato, del compagno, del marito o dell’amante. Questo è il fulcro del problema.
Chi sono gli orfani di femminicidio e quale è la loro condizione oggi?
Sono l’effetto collaterale dell’apice in cui sfocia la violenza domestica. I cosiddetti “orfani speciali” o “bambini invisibili”2 sono bambini e bambine rimasti orfani a seguito di un femminicidio, conseguenza estrema, la più grave, del fenomeno della violenza sulle donne. Spesso, nei media, si dimentica di dire che nella maggior parte dei casi le donne che vengono uccise sono contemporaneamente anche madri. Purtroppo quando si parla di violenza di genere c’è il rischio di scadere nella retorica e fermarsi a parlare solo della violenza economica, fisica, psicologica, dello stalking, ma bisogna pensare anche alle conseguenze. È stata proprio Renza Volpini – mamma di Jessica Poli, donna di Canneto sull’Oglio uccisa con trentatrè coltellate dal marito – a dichiarare che l’inaugurazione delle “panchine rosa” rischia3 di diventare un modo retorico per parlare dell’argomento solo per un giorno. Noi non vogliamo che questo accada.
L’uccisione di queste donne è un dramma che colpisce molte persone accanto a loro, in modo più profondo i loro figli e figlie che, nel caso in cui l’omicida sia il loro padre, perdono contemporaneamente entrambe le figure di riferimento genitoriali. Questi bambini o finiscono a carico dei nonni, o di altri parenti o purtroppo finiscono in condizione di possibile adozione. È l’esplosione di un trauma: il padre femminicida detenuto in galera in quanto autore del reato o padre suicida e la madre uccisa. Questi bambini o ragazzi si trovano completamente disorientati e ciò sferra un colpo pesantissimo alla loro crescita impedendogli di realizzarsi anche nel futuro. Sulla vicenda degli orfani speciali grava un vissuto doloroso dietro cui si nasconde il sistema farraginoso e burocratico del nostro Paese, oltre alla solitudine che influisce sempre più sulla sfera soggettiva e personale della nostra società.
Perché è importante parlarne, oggi più che mai?
È più che mai urgente parlare di questo argomento perché, se fino al 1997 si poteva ancora parlare di alcune tutele, oggi assistiamo ad un vuoto normativo che lascia da soli sia gli orfani sia i caregiver (in questo caso spesso nonni o parenti fino al terzo grado) che si fanno carico. In Italia ci sono due leggi: la LEGGE 7 luglio 2016 n. 122, che all’articolo 11 prevede il “diritto all’indennizzo in favore delle vittime di reati intenzionali violenti, in attuazione della direttiva 2004/80/CE”4; e la legge 11 gennaio 2018 n. 4 , che tutela gli orfani a causa di crimini domestici. Due leggi importanti in quanto lo Stato non può lasciare sole le vittime, ma che al contempo presentano lacune profondissime.
Affinchè le persone colpite possano accedere agli aiuti di queste leggi, devono presentare due documenti: il documento di archiviazione (persona ignota) e la sentenza definitiva di condanna. Però la realtà dei fatti ci dice chiaramente che il 40% degli uxoricidi e dei padri femminicidi si suicida e così vengono meno questi due documenti, quindi anche i requisiti necessari per poter accedere agli aiuti delle leggi in questione. Il legislatore non ha previsto questa situazione e quindi i caregiver si trovano a dover badare a questi “bambini invisibili”, avendo in carico la totalità delle spese, senza aiuti. Si tratta di un gap da colmare.
Ci sono dati che mostrano il livello di drammaticità del fenomeno?
Ad oggi non esiste un censimento nazionale sugli orfani di femminicidio. La rete di Numero Donna di Milano, dal 20 novembre 2024, sta lavorando per monitorare la situazione. La drammaticità del fenomeno si può notare invece dai dati dell’Osservatorio Nazionale di NonUnaDiMeno aggiornati al 22 novembre 2024: su 106 femminicidi nel 2024 in Italia, 10 casi sono avvenuti in Lombardia (14,4%) di cui 3 a Brescia. Di questi, 9 sono i casi di “violenza assistita”, ovvero quando i figli hanno assistito alla violenza che il padre ha commesso sulla madre. In 43 casi l’assassino era il marito, il compagno o convivente; mentre in 27 casi l’autore del reato si è poi suicidato. In tutto quest’anno siamo a 46 nuovi orfani speciali minori.
Recentemente avete organizzato un evento importante alla Fondazione Filosofi lungo l’Oglio su questo argomento. Chi se ne sta occupando a livello nazionale?
Sì, il 29 novembre 2024 si è tenuto, presso la nostra sede, l’incontro “Non basta dire basta! Femminicidio e orfani speciali” che ha visto tra i relatori, oltre alla sottoscritta, anche Maria Rita Parsi (psicoterapeuta e psicopedagogista di fama internazionale), Francesco Pisano (avvocato penalista e consulente legale del Progetto Respiro) e la testimonianza di Renza Volpini5, mamma di Jessica. La signora Volpini, oltre a fare da caregiver a suo nipote – che ha subito da minorenne la normalizzazione della sparizione della madre da parte del padre femminicida – è uno dei tanti esempi di chi non ha mai ottenuto aiuto da parte dello Stato. Nonostante ciò, qualcosa di sta muovendo. Oltre alla rete Numero Donna di Milano, l’avvocato Pisano ci ha parlato del Progetto Respiro che si sta sviluppando nell’Italia insulare e nel centro-sud in supporto ai “bambini invisibili” e ai loro caregiver con l’obiettivo di trattare il tema della solitudine e colmare le mancanze da parte dello Stato. Nel frattempo le regioni Lazio, Campania e Lombardia hanno annunciato che destineranno soldi per far fronte ai casi di orfani speciali e caregiver.
Quale contributo può dare il mondo della cultura a riguardo?
La cultura non può stare zitta, perché se sta zitta si rende corresponsabile. Se parla deve dare parola alle competenze e alle esperienze oltre che a sensibilizzare sul tema visto che, come dimostra il caso di Giulia Cecchettin, si è abbassata l’età media degli uomini che uccidono. Sempre più sono uomini giovani ad uccidere le morose, le ex-morose o fidanzate. Tanto tempo è passato dalle prime lotte contro la violenza di genere, eppure il clima continua ad essere omertoso. La soluzione è superare una certa mentalità separatista. Come ha ricordato Maria Rita Parsi: “uomini e donne insieme contro una mentalità belligerante”.
La cultura può sottolineare l’importanza della parola dal punto di vista sia terminologico sia etimologico: la parola che salva. Il dolore solitamente rende muti e quindi, mettendo da parte i formalismi, la parola può salvare prima con l’ascolto, lasciando che siano le vittime a parlare, poi con il conforto e l’aiuto. Oggi nella nostra società dell’iperconnessione, dell’apparenza, dell’indifferenza e della competizione vi è una cesura delle relazioni umane. Quello che ogni anno cerchiamo di fare con il Festival Filosofi lungo l’Oglio è denunciare che le relazioni sono in pericolo perché si stanno affievolendo. Con i dispositivi digitali siamo sempre più connessi, ma sempre meno vicini e costretti, come direbbe l’antropologo Marc Augè, a vivere solo “promesse di relazioni” o “relazioni di superficie”.
Il nostro è un modo sempre più “freddo” dove il corpo viene ipocritamente ostentato ma solo virtualmente, mentre la corporeità viene meno e gli occhi interdicono le relazioni di prossimità. Un mondo “freddo” nelle relazioni diventa il terreno fertile della violenza fisica e del linguaggio dove le persone vengono considerate cose, mentre l’uccisione diviene quasi un gioco. Dobbiamo rimettere al centro l’importanza dell’altro senza sottovalutare i comportamenti dell’altro, assumendo comportamenti più inclini alla convivialità e alle relazioni. Questo può avvenire grazie agli incontri che si organizzano e alla sensibilizzazione. Dobbiamo diventare consapevoli di cosa è la nostra società e di cosa significare abitare il nostro mondo, dando gli strumenti per affrontarli.
Lorenzo Poli