La Siria a pezzi
di Raffaele Gaggioli
Dopo più di vent’anni di dittatura (di cui la metà passati a combattere contro il suo stesso popolo in una brutale guerra civile), il regime di Bashar Al-Assad sembra essere crollato senza aver sparato quasi nessun colpo. Lo scorso 27 novembre la Coalizione Nazionale Siriana, gruppo politico composto da islamisti e da altri parti dell’opposizione anti-Assad, ha dato inizio ad un’operazione militare nel nord-ovest della Siria.
L’operazione, denominata Deterrenza d’Aggressione, sta avendo finora notevole successo e non sembra destinata a fermarsi. In poco più di due settimane, i ribelli sono riusciti a conquistare le principali città siriane (Aleppo, Homs e Hama) e si troverebbero ora ad un centinaio di chilometri di distanza da Aleppo.
Secondo le ultime indiscrezioni, la famiglia di Assad sarebbe già scappata a Mosca, ma non è chiaro dove il dittatore si trovi in questo momento. Le uniche opzioni del presidente siriano sono raggiungere la famiglia in esilio, essere catturato e ucciso dai suoi nemici, o rifugiarsi nella zona costiera della Siria dove la popolazione alauita (setta religiosa di cui Assad fa parte) è ancora disposta a combattere per lui.
L’improvviso e repentino crollo del regime siriano ha molteplici motivi. Per cominciare, Assad non ha saputo sfruttare la temporanea fine della guerra civile per ristabilire la sua autorità in tutta la Siria o aumentare la sua popolarità. Le sanzioni occidentali e la distruzione causata dalla guerra hanno causato il collasso dell’economia siriana, mentre buona parte del Paese era controllata da diversi gruppi indipendenti da Damasco.
La Coalizione non è l’unico gruppo militare che ha saputo trarre vantaggio dalle difficoltà di Assad. Rojava, stato curdo separatista nella Siria del Nord-Est, ha a sua volta ricominciato le ostilità contro il regime di Damasco respingendo le forze armate governative al di là del fiume Eufrate.
Nel frattempo, anche la città di Daraa, dove nel 2011 iniziarono le proteste che portarono allo scoppio della guerra civile, e altre città nel sud della Siria sembrano essere insorte contro il governo centrale. Sarebbero stati proprio i ribelli nel sud del Paese (denominati Coalizione del Sud) a conquistare la periferia di Damasco, probabilmente causando la fine del regime di Assad.
Negli ultimi giorni sono anche circolate voci di un tentato colpo di Stato contro Assad (forse guidato da suo fratello o dal capo dei suoi servizi segreti). Anche se la notizia non è stata ancora confermata, una possibile purga contro i militari coinvolti con il golpe o semplicemente sospettati di esserlo spiegherebbe la vistosa disorganizzazione ed incapacità delle forze armate siriane.
Infine, Assad si trova attualmente privo di alleati internazionali. Tra il 2014 e il 2022 il suo regime era riuscito a vincere militarmente contro le varie fazioni della guerra civile grazie al supporto di Mosca, Teheran e di Hezbollah. Attualmente, questi tre suoi alleati sono troppo coinvolti in altri conflitti per assistere militarmente il dittatore siriano. Sin dal 2022, la Russia sta usando tutte le risorse a sua disposizione nella guerra contro Kiev.
Allo stesso tempo, l’Iran ed Hezbollah hanno perso troppe risorse nel loro conflitto con Israele per assistere in qualsiasi modo il loro alleato siriano. L’invasione israeliana del Libano sembra infatti aver decimato i membri di Hezbollah e distrutto buona parte dei loro armamenti.
Anche se l’Iran non è direttamente in guerra contro Tel Aviv, la teocrazia mediorientale ha comunque perso molte risorse nel tentativo di sostenere le varie milizie fondamentaliste sparse per il Medio Oriente. Inoltre, né Teheran, né i gruppi armati a lei alleati in Iraq possono intervenire direttamente nel conflitto siriano in quanto le milizie curde di Rojava hanno già conquistato i principali punti di ingresso nella Siria occidentale.
La fine della dittatura di Assad ovviamente non comporterà la fine della guerra in Siria. Rojava e la Coalizione Nazionale Siriana non sono alleate, ma al contrario si sono già combattute in passato.
Il governo turco, principale alleato della Coalizione, non ha intenzione di accettare l’esistenza di uno stato curdo indipendente e nel corso della Guerra Civile Siriana ha più volte bombardato Rojava. Molti analisti sospettano che Ankara spingerà i gruppi da lei sostenuti a dichiarare guerra contro l’enclave curda appena Assad sarà tolto di mezzo.
Anche la stabilità della Coalizione è in dubbio. L’alleanza è formata da gruppi fondamentalisti e altri gruppi politici più moderati, accumunati solo dall’ostilità verso Assad. La rottura dell’alleanza e l’inizio di nuove ostilità tra i suoi membri dopo la possibile sconfitta di Assad è altamente probabile.
Ci sono poi diversi gruppi non allineati né con i curdi, né con la Coalizione. Molte tribù nel deserto siriano e diverse minoranze etniche o religiose non sembrano intenzionate a sostenere nessuna delle due fazioni, ma potrebbero schierarsi con quello che è rimasto del regime di Assad o con generali dell’esercito siriano che potrebbero autoproclamarsi suoi successori. Anche la Coalizione del Sud non è allineata con la Coalizione e le differenze religiose (il sud della Siria è popolata da sciiti, mentre la Coalizione è formata per lo più da sunniti) aumentano decisamente i rischi di ulteriori violenze.
Alcuni analisti temono inoltre un ritorno dello Stato Islamico (aka l’Isis) in Siria. Anche se il gruppo terroristico controlla oramai pochi chilometri di deserto, il caos post-Assad potrebbe permettergli di rialzare la testa e rispandere la sua influenza.
Rimane infine l’incognita rappresentata da Israele. Le recenti dichiarazioni di Tel Aviv indicano che lo Stato ebraico sarebbe pronto a sostenere sia i separatisti curdi, sia quelli drusi (setta religiosa di origine mussulmana presente soprattutto nelle zone costiere della Siria) in modo da indebolire la Siria e di privarla da risorse che potrebbe usare contro Israele in futuro.
Raffaele Gaggioli
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