I guai legali di Tel Aviv
di Raffaele Gaggioli
Alla fine, anche la Corte Internazionale di Giustizia (ICC) ha deciso di intervenire nel conflitto tra Israele ed Hamas nella Striscia di Gaza. Dopo mesi di investigazioni, l’organo giudiziario delle Nazioni Unite ha emanato un ordine d’arresto per il Primo Ministro Netanyahu, l’ex ministro della difesa Gallant e il leader di Hamas Mohammed Diab Ibrahim Al-Masri.
Le accuse contro i tre uomini sono le stesse: attraverso le loro azioni, i tre leader avrebbero ucciso o comunque messo in pericolo la vita di migliaia di civili inermi. La corte dell’Aja ha in particolar modo accusato il governo israeliano di stare deliberatamente causando una crisi alimentare a Gaza, bloccando gli aiuti umanitari internazionali lungo il confine tra l’enclave palestinese e l’Egitto.
Dato che Gallant non ha più alcuna posizione governativa e Al-Masri potrebbe essere già morto, la sentenza sembra essere per lo più rivolta all’attuale primo ministro israeliano.
Per la prima volta nella sua storia, quindi, l’ICC ha emanato un mandato di arresto contro un leader democraticamente eletto ed alleato con l’Occidente. Qualora Netanyahu si recasse presso un Paese il cui governo è tra i firmatari dello Statuto di Roma (ossia che riconosce l’autorità dell’ICC), le autorità locali sarebbero costretti ad arrestarlo per i crimini di cui è accusato.
Questo sviluppo complica ulteriormente sia la relazione diplomatica tra Israele e l’Occidente, sia la posizione politica di Netanyahu dentro Israele.
Israele, infatti, non è tra i firmatari dello Statuto Di Roma, ma molti dei suoi alleati in Europa lo sono. Improvvisamente il Primo Ministro israeliano non può più compiere viaggi diplomatici presso alcuni dei più importanti alleati economici e politici del suo paese.
Francia, Spagna, Olanda, Belgio e Irlanda hanno già dichiarato che rispetteranno la sentenza della Corte Internazionale ed è più che probabile che altri governi europei faranno altrettanto nei prossimi giorni. Anche l’Inghilterra e la Germania, i principali alleati europei di Tel Aviv, potrebbero essere costretti a rispettare la sentenza nonostante la riluttanza dei loro governi.
Il loro sistema giudiziario è infatti indipendente da quello governativo, perciò i giudici di questi paesi potrebbero comunque ordinare l’arresto di Netanyahu e la sua deportazione all’Aja perché venga processato per i crimini di guerra di cui è accusato.
Per ora l’Ungheria, il cui il sistema giudiziario è considerato da molti non indipendente a causa delle interferenze di Orban, è l’unico membro dell’UE che ha apertamente dichiarato che non arresterà Netanyahu qualora si trovasse nel suo territorio. Al contrario, Budapest ha invitato il primo ministro israeliano a visitare il Paese esteuropeo il prima possibile in aperto contrasto con le direttive di Bruxelles.
Gli Stati Uniti, il principale alleato militare ed economico di Israele, ha invece apertamente condannato la decisione del tribunale dell’Aja. Washington non è tra i firmatari del Trattato di Roma, quindi non ha motivo di interrompere i rapporti diplomatici o i rifornimenti militari con Netanyahu.
Il ritorno di Trump alla Casa Bianca potrebbe ulteriormente inasprire la posizione americana nei confronti della Corte Internazionale di Giustizia. Come durante il suo primo mandato, l’affarista newyorkese sembra pienamente intenzionato a sostenere le ambizioni politiche e territoriali di Netanyahu.
Alcuni alleati di Trump hanno addirittura suggerito di sanzionare i singoli giudici della corte e tutti gli stati disposti a eseguire la loro sentenza per costringerli a ritirare il mandato emesso contro il politico israeliano. Questa prepotenza diplomatica potrebbe comunque ottenere l’effetto opposto, allontanando ulteriormente l’Europa dagli Stati Uniti.
Nel frattempo, Netanyahu ha accusato i giudici di essere antisemiti e di stare favorendo Hamas con la loro sentenza. Questa strategia sembra stare già ottenendo dei risultati significativi, visto che buona parte dei politici israeliani (inclusi i membri dell’opposizione) hanno già espresso pieno supporto per il primo ministro.
Tuttavia, i membri della Corte internazionale di Giustizia non sono gli unici giudici di cui Netanyahu deve preoccuparsi. Nonostante i suoi avvocati abbiano cercato più volte di posticipare il processo, il 2 dicembre il primo ministro israeliano dovrà recarsi in tribunale per rispondere riguardo le numerose accuse di corruzione rivolte nei suoi confronti.
Qualora fosse giudicato colpevole, Netanyahu diventerebbe il primo leader israeliano ad essere condannato per un crimine mentre è ancora a capo del Paese. Dato che i suoi tentativi di auto concedersi l’immunità non hanno finora funzionato, Netanyahu potrebbe essere costretto a dimettersi.
Il Primo Ministro più longevo della storia di Israele potrebbe però sfruttare il mandato di arresto dell’Aja a suo vantaggio, presentandosi come l’unica difesa di Israele contro una comunità internazionale sempre più ostile e forse ottenendo così il supporto del parlamento.
Allo stesso tempo, l’indebolimento politico del primo ministro a livello internazionale potrebbe spingere i suoi alleati politici ad abbandonarlo.
Le possibili dimissioni di Nethanyau potrebbero comunque non risolvere la crisi internazionale in cui Tel Aviv si trova coinvolta. La sentenza dell’ICC è stata causata dalla strategia militare adottata da Israele in Gaza, il che rende qualsiasi politico e militare israeliano coinvolto nel conflitto il possibile bersaglio di un nuovo mandato di arresto internazionale.
Raffaele Gaggioli
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