Arte come filosofia 11.
“Clair de Lune” di Massimo Sacchetti e “Big Bang” di Gabriele Maquignaz, in mostra rispettivamente all’Hôtel des États e alla Chiesa di San Lorenzo di Aosta. A cura di Daria Jorioz.
Foto 1. di copertina, Gabriele Maquignaz. Big Bang – “Cosmic Journey”. Tecnica mista. Calibro 28.
Queste due esposizioni di opere pittoriche di Sacchetti e Maquignaz, da mesi ormai viste in quel di Aosta, in un mese di giugno ricco di esperienze magnifiche in una terra magnifica come la Valle d’Aosta, magica e misteriosa, selvaggia e rutilante, per tempo, dicevo, mi hanno “tenuto in scacco”, poiché è stato, per me, molto difficile poterle comprendere separatamente, una indipendentemente dall’altra. Perché questa indecisione? Trovo che la loro presenza, il loro stare e il loro vibrare nelle sale che le hanno ospitate, non siano espressione di un discorso singolo, solipsistico e che, al contrario, siano opere totalmente compenetrantesi, ciascuna, a suo modo, parla dell’altra in una danza fluida e continua che non determina disomogeneità nello sguardo e che invoglia a lasciarsi coinvolgere dalla loro calma impetuosità: addirittura avrei potuto ben ammirarle assieme negli stessi spazi espostivi, in condivisione della molteplicità.
Se, da un lato, Massimo Sacchetti esplora una quotidianità di paesaggi per lo più sonori, di rimando alle inquietudini di una terra desolata, innevata o coperta dalla nebbia, di asprezze di montagne aguzze, rocce e burroni improvvisi, grida di aquile e cervi saltellanti, stambecchi, camosci, caprioli e tutta la moltitudine di creature che abitano con noi queste terre, ecco che Gabriele Maquignaz sembra voler esplorare una quotidianità cosmica ed ancestrale, un movimento continuo ed impercettibile ma vivido e caldo di scosse e smottamenti che inondano lo spazio e, dunque, anche la nostra Terra e noi stessi, dai sensi troppo deboli per poter percepire. Ed è così che Maquignaz inventa un modo per mostrarci il vuoto cosmico dal quale tutti proveniamo e nel quale tutti noi ritorneremo, mostrandocelo con una gamma di soluzioni cromatiche che inneggiano a quel “vuoto del creare” a cui accennava Lucrezio e dove immaginiamo anche noi di perderci nella visione di opere improvvise e stupefacenti. Il vuoto creante se stesso; stare nel vuoto, vederlo, sentirne i confini per esser-ci e rendere esso stesso soggetto creante.
Foto 2. Massimo Sacchetti. Clair de Lune – “Inverno”. Garza graniglia di vetro resina, olio su tavola.
Camminare nei boschi, tra gli alberi così alti da toccare il cielo, ascoltando i nostri passi per poi passare al peso delle nostre impronte, il segno del passaggio, presto superato da altre decine di fruscii, orme, ombre, svolazzamenti, tramestii, è da sempre attività che tende a riconciliarci con la Natura, noi esseri umani impronte della Natura stessa. Come tali, siamo noi stessi segno di questa clandestinità, l’effimera portata che la nostra esistenza imprime nell’economia esistenziale del Cosmo, eppure a noi pare tutto a nostro conto e a nostra immagine. Eppure, i dipinti di apparente soavità di Massimo Sacchetti, aprono ad uno sguardo interiore di inedita memoria, permettendo all’osservatore di calarsi completamente nel respiro umido e muschioso di una Natura indomabile, eterea ma presente, aleatoria ma concreta, spiazzandoci nella nostra comoda convinzione di superiorità d’intelletto e di forma, d’immaginazione. È un bene poter passeggiare in questi boschi dipinti su tela; è un bene potersi perdere, essendo il bosco luogo d’elezione della sublime mescidanza con le nostre paure più recondite, quel suono vocalico che ci seduce e ci obbliga a seguirlo nei tortuosi sentieri che sono l’ordito delle trame notturne di tutti gli animali. È impossibile ammirare questi dipinti senza poterne udire la consistenza sonora, quasi musicale, ma ben amalgamata, comunque, con le partiture naturali, ove ciascun rumore è in perfetta sincronia con la nostra immaginazione melodica, in quella perfezione di spazio e di tempo che solo la Natura può osare. È impossibile ammirare questi dipinti senza che riaffiori in noi una nota di selvatici ricordi, come stando dentro un canto sciamanico, come a voler cantare con il fiume e, allo stesso tempo, come a voler essere il fiume intero, senza condizionamenti e senza remore, per un solo attimo.
Foto 3. Gabriele Maquignaz. Big Bang – “Blue Dancer”. Tecnica mista. Calibro 28.
E nella nostra passeggiata tra i boschi di Sacchetti, non è difficile imbattersi negli orridi, spesso occupati dalle acque cascanti da rupi altissime, sorta di “buchi al contrario” che vogliono esplorare le immensità intestine della Terra, rivoltandosi come una manica di camicia, con sopra noi tutti a chiederci quale sia il sopra e quale sia il sotto, saltando da una roccia all’altra, da un ramo all’altro, da un’impronta all’altra, in simmetria longitudinale con le coordinate dello sparo. Calibro 28, per la precisione. L’arma che ha causato la creazione, l’origine del sistema solare, l’origine del buco nero, l’origine di tutto è, sì, un suono ma è anche e, soprattutto, un colore o più colori. Gabriele Maquignaz ha sparato al colore. Così, a sangue freddo, colpendolo nel cuore del suo significato, esplodendo in sole forme significanti, producendo un movimento di azione pittorica (action painting) del tutto originale e sbalorditivo. Tale movimento è una sorta di “splatter poetico” che dal barattolo di vernice o dal ciò che lo contiene, si irradia per tutto il circostante, mutuando la propria frenesia dal cannone di una volontà potente e virile, che vuole originare e che vuole permanere, macchiando di vita il mutile bianco incagliato nell’egida della tela. Nuovi buchi neri, blu, rossi, grigi, buchi di vari colori per aprire la mente a nuove domande, ad altri interrogativi, ipotesi sulla nostra esistenza, ipotesi sul nostro essere al mondo e sul nostro essere su altri mondi contemporaneamente, ipotesi su cosa rappresentiamo mentre viviamo e se non siamo, in realtà, noi stessi la rappresentazione della nostra rappresentazione, simulando continuamente la nascita di un “io” che proprio l’arte trasforma spesso in un “noi”. L’esplosione in-naturale che si dinamizza nelle visioni di Sacchetti e di Maquignaz riportano alla mente antichi concetti su ciò che è il “bello naturale”, essendo naturale, per noi, poter ritrovare la Natura rappresentata su una tela, in quel naturalismo artificiale che sempre viene osservato dalle coscienze e, da queste, si tramuta volentieri in forme di silenzi e di sospiri, sospensioni, forse, o perlomeno in attimi di “oblio dello sguardo”, acerba secrezione di amabili concetti sulla rappresentazione di una azione e non di una copia dell’armonia naturale.
Foto 4. Massimo Sacchetti. Clair de Lune – “Notturno”. Tempere su tavola.
Noi determiniamo la Natura come idea nella sua alterità, posizionandola nella definizione di “bello naturale”, poiché Essa si manifesta così, immediatamente, nella sua più diretta forma, è conforme, appunto e, dunque, bella. Ma sarebbe incongruo voler dimensionare il bello naturale al suo spirito, in quanto la Natura ha da essere spirito ma nella sua alterità e non può essere subitaneamente riconducibile a spirito. Dunque, la bellezza naturale è tale solo per noi che siamo in grado di concepirne il significato e la bellezza, di avere, cioè, un’idea di bellezza e non può esserlo per se stessa. Il bello naturale, questa repentina supplica ad un mondo supremo, ha bisogno di una coscienza che gli si possa opporre, un tratto o una tinta in grado di alterarne l’equilibrio attraverso il ritratto di una azione e non la sua duplicazione o imitazione, avvenendo così il miracolo della molteplicità di significati, quella autoptica o certosina vivisezione dell’esistente che troviamo descritta, raccontata e, nei casi più felici, sublimata nei movimenti dei colori, nelle trasfigurazioni, nelle transustanziazioni che rendono il segno che separa la vita di ogni essere vivente meno inintelligibile, lasciandoci pronti alla meraviglia non appena voltiamo l’angolo del sentiero che contiene il nostro cammino.
Foto 5. Gabriele Maquignaz. Big Bang. Calibro 28.
Andrea Cramarossa
“Clair de Lune” di Massimo Sacchetti e “Big Bang” di Gabriele Maquignaz, in mostra rispettivamente all’Hôtel des États e alla Chiesa di San Lorenzo di Aosta. A cura di Daria Jorioz.
Mostra vista il 13 giugno 2024.
- Testo di riferimento: Georg Wilhelm Friedrich Hegel, “Estetica” (Ed. La Scuola).