Ponte sullo stretto di Messina
di Francesco Grò
La storia della politica italiana è costellata di infatuazioni, proposte poi abbandonate e grandi ritorni: le riforme elettorali, il taglio delle tasse, l’abolizione del CNEL e chi più ne ha più ne metta.
Ma tra tutti, il Ponte sullo stretto di Messina non ha mai abbandonato i sogni e le speranze dei governi.
Cavallo di battaglia di Berlusconi, è tornato di recente in grande stile con il ministro delle infrastrutture, Matteo Salvini.
Fonte di discordia tra i partiti, irrinunciabile per alcuni e cassabile per altri. Il progetto potrebbe nascondere vantaggi e opportunità di un certo interesse. Lo dice uno studio sull’impatto economico del ponte sullo stretto, realizzato e pubblicato dalla società Openeconomics.
Questa azienda, spiega il co-fondatore e Managing Director, Gianluca Calvosa: “affianca istituzioni e imprese nel design di politiche e programmi di investimento a sostegno della transizione energetica e dello sviluppo inclusivo”. Openeconomis, continua: “ha maturato una vasta esperienza nell’analisi degli effetti economici, sociali e ambientali di progetti complessi”.
Su questa base, lo studio afferma che l’impatto economico del Ponte è di poco più di 20 miliardi di euro, anche se sono previsti 12 miliardi e 300 milioni per il suo completamento.
Quel che risulta interessante, come sostengono gli economisti, è che il progetto potrà contribuire al PIL nazionale per 19,7 miliardi di euro. Questo comporterebbe un saldo positivo per il Sistema Paese poco più basso di 7,5 miliardi.
Inoltre, per costruire il ponte serve mano d’opera pronta all’azione. Ecco che si apre la prospettiva di 33 mila nuovi posti di lavoro negli otto anni previsti per il completamento del progetto. Si ritiene che le entrate fiscali derivanti da quest’opera pubblica saranno pari a circa 8,8 miliardi. I redditi maggiori delle famiglie arriveranno fino a 18,7 miliardi.
Il moltiplicatore della spesa calcolato da Openeconomics risulta pari a 1,83, quindi per ogni euro speso per realizzare il Ponte, in Italia si produrranno 1,83 euro di PIL.
Un progetto dalle prospettive allettanti, ma c’è di più.
Il suo reale potenziale, secondo gli studi fatti, è che dei 19,7 miliardi di euro prodotti, beneficeranno tutte le regioni d’Italia. Anzi, paradossalmente il sud è quello che ci guadagna, economicamente, di meno.
Facendo due calcoli: in Lombardia, regione lontana dallo stretto e che non gode di benefici diretti, l’impatto dell’opera pubblica raggiungerà i 5,6 miliardi, ovvero il 29% dei benefici totali. Nel Lazio 3,7 miliardi, il 19%.
La Sicilia si attesterebbe ad una cifra modesta di 2,1 miliardi, quindi l’11% e in Calabria 1,9 miliardi, ovvero il 10%.
Tutte le altre regioni beneficeranno nel complesso del 32% di impatto sul PIL, pari a poco più di 6,3 miliardi.
Diffuso anche l’aumento dell’occupazione. In Lombardia si prevedono 9.337 nuovi posti di lavoro, nel Lazio 6.628 e circa 6 mila in Sicilia e Calabria.
Se si guarda anche alla percentuale dei maggiori redditi familiari, la Lombardia è di nuovo al primo posto con il 27%, seguita dal Lazio al 18% e tra Sicilia e Calabria si arriva al 22%.
Campania e Puglia risultano essere i fanalini di coda, quasi completamente marginalizzate dall’impatto economico del progetto.
Nella prima l’impatto sul PIL sarà di 796 milioni di euro con 1.403 nuovi posti di lavoro. Nella seconda 482 milioni sul PIL e 857 nuove occupazioni.
Francesco Grò