Intervista Giacomo Festi

Intervista Giacomo Festi

Chi è Giacomo Festi?

Al momento, uno che vi ringrazia dello spazio concessogli.

Nella quotidianità, invece… una persona piuttosto ordinaria. Lavoro, vivo la vita di tutti, grossomodo. Poi ogni tanto mi frulla in testa un’idea e, tempo libero permettendo, tento di metterla nero su bianco, anche se detta così sembra la pubblicità di un biscotto…

Come e quando ti sei avvicinato alla scrittura e perché scrivi?

Sono da sempre un drogato di storie. Libri, film, fumetti, cartoni animati, spettacoli teatrali… ogni età ha avuto la sua fissazione. Crescendo mi sono interessato al modo in cui ogni media poteva raccontare qualcosa, alle caratteristiche essenziali e uniche di ogni forma d’arte, studio che non si è mai fermato – guai, altrimenti! – ed è forse la parte più bella di questo “mestiere”.

Provai a rendere il raccontare storie un vero e proprio lavoro cercando di diventare sceneggiatore, ma per quanto mi sia avvicinato non sono riuscito nell’intento. Sono così ritornato alla forma primigenia del raccontare, la scrittura, e tra un tentativo e l’altro sono riuscito a completare il primo romanzo e a farlo pubblicare. Da allora, tra alti e bassi, ho continuato.

C’è stata una pausa nella tua produzione, però. Come mai?

Sì, quasi quattro anni di assenza prima di EXCURSUS VITAE

Una serie di fattori, in realtà. Una piccola crisi personale e col “mezzo”, poi ho dovuto trovarmi quello che i genitori chiamano un “lavoro vero” e per forza di cose sono dovuto ritornare sui banchi di scuola. A studi finiti, sono caduto in uno strano loop personale e creativo, e ancora dopo è scoppiata la pandemia che ha costretto tutti a uno stop forzato.

Insomma, non c’è stato da annoiarsi.

Come vedi ora quel periodo?

Per assurdo mi ha fatto più bene di tanto altro. Stare lontano da qualcosa che amo mi ha costretto a interrogarmi su cosa significhi per me, perché io voglia scrivere e cosa. Ho dovuto ricominciare da zero, ma sono ritornato con più entusiasmo che mai e non si è esaurito per nulla.

Mi diverto, e penso solo a quello.

E cosa vuoi scrivere? Quali sono i libri che dobbiamo aspettarci?

Ho sempre amato l’estremo, ma agli inizi mi sentivo bloccato nel trattarlo, anche se c’erano ugualmente dei timidi accenni. Adesso non ho più filtri, non temo di sporcarmi le mani, ma i trent’anni mi stanno insegnando anche a mantenere la giusta distanza per trattare in egual misura la delicatezza insita in ogni storia, anche la più violenta.

Tutto sommato ho sempre scritto di personaggi che vogliono essere amati. Null’altro. Credo sia questo a legare le persone di tutto il mondo.

Qual è il tuo ultimo libro?

Rosso fuori, nero dentro, pubblicato dai tipi della Edizioni Leucotea.

Vuoi dirci di cosa parla?

Racconta la storia di Giustino, un reduce di guerra che passa le sue giornate coltivando i propri campi e vivendo nel morboso ricordo della defunta sorella Anna. A sconvolgere la sua routine sarà l’arrivo di una carovana di zingari, che subito incolperà di alcuni piccoli furti, e il ritorno dell’ex cognato, giunto a proporgli di far parte di un nuovo partito, guidato da un giovane volenteroso…

Altro non vi dico. Dovrete leggerlo per scoprire le disastrose conseguenze che seguiranno (ride).

Come ti è venuta l’idea per questo romanzo?

EXCURSUS VITAE è stato un libro dalla lavorazione piuttosto travagliata, vista la sua particolarità. Avevo bisogno di lavorare su una trama molto più lineare per preservare una parvenza di sanità mentale (ride), inoltre mi ha permesso di riversare in quelle pagine molte delle mie paure.

Da anni sono inquietato dall’andazzo intrapreso dal mondo, dal populismo dilagante, dal razzismo, dai diritti delle donne e delle minoranze che vengono nuovamente ostracizzati e da come siano proprio gli ultimi a essere giocatori e pedoni in tutto questo. Mi sono voluto soffermare proprio su quest’ultimo aspetto. È facile bollare qualcuno per un commento infelice e retrogrado, ma non ci si ferma mai a pensare cosa abbia portato delle persone a ragionare in quel modo, se hanno avuto le mie stesse opportunità o altro. Non dovremmo limitarci solo a condannare l’opinione (per quanto indifendibile), ma pensare che a dirla è stata una persona come noi, con la sua storia.

L’ultimo periodo ci ha incattiviti un po’ tutti e sono avvenuti schieramenti e divisioni, anche dalle frange più impensabili. La frase «Nell’altro vedo mio fratello» dovrebbe essere applicata su larga scala e per davvero.

Il titolo fa riferimento a quello?

Fa riferimento al colore del sangue quando è dentro o fuori dal corpo… ma è anche una frecciatina sui colori politici e sul male insito dentro di noi, a cosa può scatenarlo.

A suo modo, è una storia di fantasmi. Pure nella realtà abbiamo un ritorno dei non-morti…

È un libro molto violento. Fa parte della ricerca dell’estremo di cui ci hai parlato?

Diciamo che tempi violenti necessitano anche di messaggi violenti. Il pubblico va scosso. Ci stiamo anestetizzando su più fronti e dobbiamo imparare a maneggiare le emozioni forti.

Poi uno deve divertirsi come può.

Non temi una qualche censura? Cosa ne pensi del tanto discusso “politicamente corretto”?

Cosa dovrei temere? Di non poter dare del n****o o del f***o a qualcuno? Se questa è una libertà, allora io posso bestemmiare.

Non vedo per cosa possano condannarmi. Per la violenza? Ogni personaggio è parte attiva nel suo ciclo narrativo, la violenza nel mio libro significa che ognuno può esserne vittima o fautore. Alcuni potranno ritenerla eccessiva, ma quello dipende dalla sensibilità personale.

Più che sul politicamente corretto, penso a quanto velocemente stiano cambiando i tempi. Pure io faccio sempre più fatica a stare dietro i nuovi sviluppi. Non posso dire di comprendere tutto, ma capisco abbastanza da sapere quanto sia difficile essere al mondo, ergo, non sono nessuno per criticare le scelte altrui o il modo in cui vuole essere riconosciuto. Rifletto piuttosto su quando sarò io il boomer lamentoso, quello è uno scenario interessante.

Se proprio devo esprimere una mia preoccupazione, dico che siamo sempre meno abituati all’analisi, allo studio e alla comprensione. Non si può bloccare il progresso – d’altronde l’umanità è passata da nomade a sedentaria – ma siamo abituati a risposte subitanee, non c’è più un’educazione allo studio e all’analisi degli sviluppi intorno a noi. C’è il rischio che i tempi diventino troppo rapidi anche per i soggetti del cambiamento.

Il tuo quindi è un libro politico?

È un libro anarchico.

Hai qualche curiosità da dirci in merito?

Tutti i miei libri sgraffignano i cognomi dalla storia dell’arte. Avevamo Bernini in Storia di uomini invisibili, Gentileschi in Vita da scarabocchio e Mantegna in EXCURSUS VITAE.

Ghelarducci, Luridiana e Ferrucci invece non appartengono a nessun artista. Sono le menti dietro il famoso scherzo delle Teste di Modigliani. Essendo il mio libro una parodia della nostra storia, ho voluto prendere in prestito i nomi dei burloni artistici per eccellenza.

Stai lavorando a un nuovo romanzo?

Io sono sempre al lavoro su qualcosa, non potrei vivere bene altrimenti (ride). Comunque sì, ho un titolo che ho voluto lasciare momentaneamente da parte e sono alle fasi conclusive di un altro libro. Non posso dirvi nulla, ma… beh, se oseranno pubblicarlo, preparatevi a leggere qualcosa di veramente assurdo!

Un consiglio a chi vuole intraprendere la strada della scrittura?

Innanzitutto, di chiederlo a un vero scrittore.

Dal canto mio, posso dirvi di ampliare i vostri orizzonti il più possibile, di esercitarvi sempre e di accettare le critiche. Ma soprattutto, non abbiate paura di osare. Meglio fallire osando che lasciare un compitino ben fatto, per me.

Redazione

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