Erano gli anni sessanta. “Non è mai troppo tardi”

Erano gli anni sessanta. “Non è mai troppo tardi”

di Filippo De Fazio

Erano gli inizi degli anni sessanta, gli italiani erano attratti dai fenomeni del momento: la TV, la nuova FIAT Cinquecento, le vacanze estive, il mangiadischi, il boom economico e i loro disperati tentativi di diventarne parte integrante. Chi se lo poteva permettere si regalava un mobile-bar con l’interno a mosaico in tessere di vetro, magari una lampada Pipistrello di Gae Aulenti, una Bolla di Venini disegnata da Tapio Wirkkala o, ancora, una radio Brionvega modello TS502.

Della cultura con la “C” maiuscola, agli italiani importava davvero poco. C’era, a ricordarne l’importanza, giusto qualche programma televisivo che diligentemente la Rai, con il suo unico canale disponibile, provava ad inoculare ad una popolazione con un grado di istruzione decisamente al di sotto della media europea.

Il più famoso di tutti era “Non è mai troppo tardi” condotto da Alberto Manzi. Andava in onda dal lunedì al venerdì, appena prima dei programmi serali. Si proponeva di insegnare la lettura e la scrittura agli italiani fuori età scolare, totalmente o parzialmente analfabeti.

Un altro programma che provava ad elargire cultura seppur in maniera indiretta, era il celebre “Controfagotto” di Ugo Gregoretti. Quasi sperimentale ed assolutamente innovativo per la tv di quei tempi, sfoggiava, tra collaboratori e autori, firme illustri come Piero Angela e Ugo Zatterin. Si occupava di raccontare i modi, gli usi e i costumi del momento, con un taglio tra il documentaristico e la cronaca.

Ancora, Studio Uno, programma-contenitore di musica e varietà indissolubilmente associato alla figura di Mina, e “L’amico del Giaguaro”, a firma di Italo Terzoli e Bernardino Zapponi, in cui ad ogni puntata veniva proposta la parodia di un film celebre. Lo presentava un giovanissimo Corrado Mantoni coadiuvato nelle rappresentazioni attoriali da Gino Bramieri, Marisa Del Frate, Raffaele Pisu e Roberto Villa.

Con tutte queste “distrazioni” va da sé che gli italiani di quegli anni non potessero essere poi troppo interessati all’editoria pura, quella dei libri. Ma i tempi stavano diventando maturi per quell’editore che avesse una visione d’insieme più ampia, che sapesse individuare quei coni d’ombra nella cultura vigente e, di conseguenza, provare ad illuminarli. Quell’editore rispondeva al nome di Arnoldo Mondadori, che aveva già nel 1948 aveva immesso sul mercato una “Selezione” di articoli di cronaca, cultura e costume della società statunitense, ricavandoli dal “Reader’s Digest”, un periodico distribuito negli States fin dal lontano 1922, tradotti in italiano. All’epoca quell’esperimento non riscontrò il successo auspicato, fu solo dal 1959 in poi, quando il grande editore decise di accentuare la presenza italiana tra le rubriche del suo libricciolo che il numero delle tirature prese il volo. Il successo arrivò gradatamente, ma dirompente: per molti italiani quelle furono le prime vere letture che li introdussero, anche se solo dalla porta di servizio, nel mondo della cultura. Per alcuni, i più curiosi, rappresentò il traghettamento verso la vera e propria letteratura. Nelle edizioni a seguire restò sempre presente quella certa selezione da opere statunitensi, ma vennero anche aggiunte vere e proprie rubriche fisse come “Arricchite il vostro vocabolario”, “Risposte rivelatrici”, il famosissimo e a sua volta citatissimo “Citazioni citabili”. Non mancava una rubrica umoristica: “Ridete e starete sani”. Mantenendo giocoforza quella impronta piccolo o medioborghese tipica dei “suburbs”, conservatrice, puritana e patriottica della costola americana da cui proveniva, “Selezione dal Reader’s Digest” venne accolta con grande favore dai lettori nostrani della stessa estrazione sociale di quelli d’oltreoceano. Da noi, il cliente prototipo era quello che viveva con la sua famigliola in trilocali appena inaugurati grazie al boom economico, appartenente a quel proletariato storicamente spalmato su una piattaforma di rassicurante tradizione conservatrice e religiosa.

Queste caratteristiche lo resero fruibile anche alle età più verdi, che poterono così accedere ai lavori dei grandi scrittori del momento, italiani o stranieri che fossero. Come classico esempio del genuino, ingenuo perbenismo di cui erano ammantati la gran parte dei pezzi, riporto, tra i tanti letti, un commoventissimo racconto su un “povero” pilota americano abbattuto dai Russi “cattivi”. In nessuna parte del riassunto però si riconosceva la provocazione di chi, con un aereo spia, si era infiltrato nello spazio aereo Sovietico: segno di quei tempi, e di quel modo protezionistico di intendere la letteratura.

“Selezione” nella sua lunga storia ha ospitato firme come John Steinbeck, William Faulkner, Frederick Forsyth, J.D. Salinger, Walt Whitman e ha curato estratti da romanzi famosi e importanti come “Dracula” di Bram Stoker e “Anna Karenina” di Tolstoj. Ma anche, non disdegnava di fare l’occhiolino al gentil sesso, all’epoca avvezza ad estratti più frivoli, con rubriche come “Un diamante è per sempre”, corredato da immagini molto romantiche. Ma in onore della varietà degli argomenti trattati, poteva capitare che il “condensato” successivo magari parlasse… dell’antica Ercolano.

Tuttavia, quelli che erano pregi come l’asciuttezza e la condensazione degli argomenti, furono pure, per alcuni, anche i suoi grandi difetti. I “puristi” della lettura additavano severamente lo scempio che secondo loro si perpetrava nei confronti delle trame, con quel rimaneggiamento spesso arbitrario che – a loro dire – alterava il senso delle opere.

Sempre dal 1959 fu possibile sottoscrivere un abbonamento e far sì che “Selezione” potesse arrivare comodamente a casa. Date le sue dimensioni ridotte, non c’erano problemi a infilarlo nelle cassette delle lettere. Il successo di “Selezione” proseguì senza flessioni per almeno tre decenni, al termine dei quali passò da Mondadori alla casa editrice Camuzzi Editoriale, nell’anno 2000: fu il canto del cigno perché intanto i tempi erano profondamente cambiati. La scolarizzazione media era aumentata vertiginosamente rispetto agli anni degli albori di “Selezione” e di conseguenza era cambiata anche l’esigenza dei lettori che non si potevano più accontentare di semplici “estratti”. In più, si erano lanciati nel mercato dell’editoria libraria colossi come “Il Club degli Editori” ed “Eurolibri” che proponevano l’acquisto di best sellers a prezzi concorrenziali e consegna – analogamente a “Selezione” – a domicilio. Senza contare le numerose “collane” di letteratura internazionale a più riprese riproposte da talune testate giornalistiche a prezzi addirittura ridicoli. Alla luce delle tante disdette e degli altrettanti resi, “Selezione dal Reader’s Digest” chiuse i battenti definitivamente nel 2007. Nel 2008, la MK Group, una nuova società editoriale con sede a Trieste, annunciò di avere in programma la pubblicazione e la distribuzione in Italia di un catalogo col nome di “The Reader’s Digest Association”. Il programma però non vide mai la sua realizzazione.

Non ho contezza dell’esistenza di collezionisti di libretti “Selezione”, ma so di collezionisti delle saltuarie edizioni in copertina rigida, vere e proprie antologie di… antologie! La carta di bassa qualità, la rilegatura approssimativa che tendeva a squadernarsi già dopo poche riletture, hanno probabilmente dissuaso anche i più pervicaci catalogatori a conservarne le copie. Probabilmente in qualche polverosa cantina ancora riposa qualche vecchio numero, ma è difficile pensare di ritrovarvi collezioni anche solo vicini alla completezza, dati i tanti numeri pubblicati e i vizi relativi al confezionamento.

Pur con tutti i suoi limiti, e senza aver mai avuto pretese di auliche divulgazioni letterarie, “Selezione dal Reader’s Digest” ha contribuito nell’arco di quattro decadi ad avvicinare una gran parte di popolazione alla lettura e, seppur in maniera rimaneggiata e approssimativa, ad amarla. Si può quindi definirlo un esperimento lungo quarant’anni, che è fallito pur essendo perfettamente riuscito. Riuscito nell’intento di raggiungere i lettori più difficili, quelli non innamorati della lettura. Fallito perché non ha avuto un seguito, neppure su piattaforme non cartacee. Eppure, per chi avesse voluto osare, trasformare quello che nei fatti era già inteso come un vero e proprio “portale” in una piattaforma multimediale conservandone lo spirito, poteva essere un’opportunità alla lunga – chissà – vincente.

Redazione

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