Il disastro in Romagna è grande ma altrove siamo sicuri?

Il disastro in Romagna è grande ma altrove siamo sicuri?

Dario Patruno

Il maltempo forzato si è acuito sulle nostre aree appenniniche, e in particolare nel romagnolo, per via di un fenomeno meteorologico che prende il nome di effetto Stau, che si verifica quando una corrente d’aria, mentre risale lungo una catena montuosa, perde parte della propria umidità, che condensa e precipita al suolo sotto forma di neve o pioggia. Lo Stau (parola tedesca che significa “coda”, “ristagno”) è un vento di risalita che si presenta quando una corrente d’aria, nel superare una catena montuosa, perde parte della propria umidità che condensa in precipitazioni (pioggia, neve o altro). Questo fenomeno favorisce maggiori accumuli pluviometrici nelle località poste in prossimità delle catene montuose, soprattutto in quelle sopravento.

In Italia i più imponenti effetti dello Stau.

Al di là della catena montuosa, nel settore sottovento e quindi più riparato, si ha un vento secco e caldo di caduta chiamato favonio o Föhn (o “garbino” nel settore adriatico e in Romagna) poiché l’aria secca si riscalda diabaticamente più velocemente di quanto si raffreddi l’aria umida salendo sopravento. Per questo motivo tra i due versanti delle catene montuose (ad esempio Svizzera e la Pianura Padana oppure regioni adriatiche e tirreniche) troviamo spesso condizioni meteorologiche diametralmente opposte. Nella stagione invernale non è infatti raro osservare temperature fino a 20-25 °C in Pianura Padana e nel versante adriatico grazie a questo vento caldo in discesa dai monti che porta cieli sereni sgombri da nubi e un basso livello d’umidità mentre invece sul versante tirrenico si manifestano temperature fresche e cieli nuvolosi. Stessa situazione tra nord Italia e Svizzera in base alla provenienza delle correnti.

Ma non è abbastanza e questo non spiega a pieno quanto accaduto sul suolo con il ruolo dei fiumi e torrenti che non sono pochi.La provincia di Ravenna ne conta 15 tra fiumi e torrenti. Quella di Forlì- Cesena ne conta 14. I Comuni più colpiti sono i seguenti: Forlì, Cesena, Faenza, Imola, Castelbolognese, Solarolo, Savignano sul Rubicone, Lugo di Romagna, Bagnacavallo, Castel San Pietro Terme, Sant’Agata sul Santerno.

Quali le soluzioni senza girarci intorno.

1) Effettuare interventi di vegetazione ripariale allo scopo di dissipare l’energia di scorrimento della corrente.

2) Lotta assoluta all’incontrollata espansione urbanistica, all’abusivismo edilizio evitando la costruzione di edifici e strutture nell’alveo di piena e nelle adiacenti aree golenali. Le zone golenali sono territori intimamente legati ai corsi d’acqua naturali o prossimi allo stato naturale, interessati dalla dinamica delle acque e periodicamente modificati nella loro morfologia e nel loro aspetto;

3) La vulnerabilità dei nostri territori, che è tale anche a prescindere dall’aggravio dei fenomeni intensi indotto dal cambiamento climatico e i corsi d’acqua fortemente artificializzati sono intrinsecamente fragili. Eventi con portate più elevate di quelle per cui le opere di difesa sono state progettate sono sempre possibili, e ora sempre più probabili. Inoltre basta che una piccola parte dell’infrastruttura vada in crisi, ad esempio che pochi metri di rilevato arginale cedano, per vanificare l’intero sistema di protezione.

4) E’ necessario ricreare sistemi resilienti in grado di assorbire in modo più diffuso i massimi pluviometrici e di ridurre i danni in caso di esondazione, in un ampio spettro di scenari. In questo senso la paura dei corsi d’acqua che abbiamo adesso -come ha detto giustamente Carlo Lucarelli in questi giorni- deve diventare “utile”. Perché eventi di questa natura ce ne saranno ancora e con maggior frequenza, la statistica basata sui dati storici è ormai inaffidabile.

5) Non servono più argini, ma più spazio ai fiumi e meno consumo di suolo. Faccio notare che nelle aree attualmente alluvionate non mancano certo le opere di difesa. Pensare di mitigare il rischio idraulico ricorrendo esclusivamente a infrastrutture in cemento è da sempre un errore. È stato realizzato un sistema fragile e adesso anche sottodimensionato rispetto agli eventi a cui stiamo assistendo. Dobbiamo fare un passo indietro e investire ingenti risorse in un programma nazionale per la realizzazione di interventi integrati, che garantiscano contestualmente la riduzione del rischio idrogeologico, il miglioramento dello stato ecologico dei corsi d’acqua e la tutela degli ecosistemi e della biodiversità. L’acqua più la costringi ad incanalarsi e più si ribella. La natura va compresa e siamo noi che dobbiamo adattarci ad essa.

6) Bisogna arretrare gli argini dai corsi d’acqua -ovunque sia possibile- e anche riconquistare terreni al demanio pubblico. Vanno ripristinate aree di laminazione naturale delle piene, indennizzando gli agricoltori che potranno essere danneggiati dalle esondazioni. Il concetto non è lontano da quello delle casse d’espansione artificiali, ma garantisce allo stesso tempo riduzione del rischio e maggiore naturalità dei fiumi. Eliminiamo adesso le coperture di cemento dai corsi d’acqua prima che lo facciano da soli, ricostruiamo i ponti più alti e proporzionati a portate più elevate, delocalizziamo le aree residenziali e produttive e infrastrutture troppo a rischio. Si deve ristabilire la funzionalità dei sistemi fluviali, utilizzando il più possibile soluzioni basate sulla natura, così come già previsto dagli indirizzi comunitari e anche dal nostro Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici.

Un esempio per tutti

Un esempio per tutti. Il territorio del Gargano è a forte rischio idrogeologico e dal 2021 sono in corso lavori a Faeto per mitigare questo rischio. Speriamo possano concludersi prima delle prossime piogge ed evitare altre inondazioni.

Altri lavori sono in corso a Rodi Garganico e Apricena come si apprende dal sito https://www.dissestopuglia.it/ del Commissario della Regione Puglia per il dissesto idrogeologico.

Non possiamo dire più come diceva il Manzoni “ai posteri l’ardua sentenza” ma a noi tra qualche anno la prova se ciò che è stato realizzato è servito a salvare le case e le nostre esistenze.

 

Antonio Peragine

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