La molteplici “sfide” nell’esperienza migratoria familiare

La molteplici “sfide” nell’esperienza migratoria familiare

di Miriam Gigliotti

La famiglia può essere considerata uno dei luoghi principali di costruzione sociale della realtà, uno spazio fisico, relazionale, ma anche simbolico. È a partire dal contesto familiare, dalle relazioni e dal sistema valoriale che lo caratterizzano, che vengono attribuiti significati agli eventi della vita, i quali spesso non hanno unicamente una valenza soggettiva, ma anche sociale, come per esempio la nascita di un figlio, sposarsi, vivere un lutto familiare. La famiglia è da considerarsi un sistema evolutivo di relazioni complesse, un’entità costituita dall’interdipendenza delle sue parti che si trasforma nel tempo.

È al suo interno che si dispiega la divisione del lavoro, delle competenze, dei valori, dei destini personali[1]  ed è sempre al suo interno che nascono interazioni costanti, storie, esperienze condivise, strategie di orientamento reciproco e di “sensemaking” messe in atto da ogni componente di questo sistema.
Le storie vissute ma anche raccontate in famiglia diventano occasioni per costruire, ricostruire la realtà non solo familiare, ma anche individuale, soggettiva, dando significato a ciò che si è e a ciò che si vive, creando nella famiglia un contesto di apprendimento/trasmissione, nel quale ogni componente impara a vivere, a crescere secondo modalità trasmesse e apprese in questa micro-cultura, strutturando comportamenti ed identità.
Senza narrazione e senza storie non c’è famiglia”,  afferma L. Formenti[2] , perché è anche grazie a questa che ogni individuo costruisce la sua personale storia.

Si comprende allora quanto la famiglia sia il luogo privilegiato della trasmissione essendo il luogo in cui avviene la socializzazione primaria caratterizzata da una costante interazione tra le diverse generazioni.
Ma cosa si intende per “trasmissione intergenerazionale”?
Come spiega A. Muxel[3]  essa può essere considerata un vero e proprio processo che si concretizza in un passaggio, più o meno volontario, da un individuo ad un altro, da un luogo ad un altro, da un sistema sociale ad un altro, come anche da un tempo ad un altro, creando un legame tra individui così come tra tempi storici differenti.
“Trasmettere” a livello familiare ed intergenerazionale pone i suoi protagonisti di fronte ad un paradosso iniziale: riuscire a trasmettere ciò che si è ricevuto in eredità, ma contemporaneamente riuscire a trasformare questo bagaglio posizionandolo tra la conservazione ed il mutamento.[4]

K. Mannheim, nel suo testo “Das Problem der Generationen[5], considera la “continuità” come “Fonds des Lebens”, cioè come base, capitale, bagaglio di fondo dell’esistenza, processo che garantisce stabilità e, per l’appunto, continuità alla vita sociale.

Sarebbe però limitato affermare che sia solo la famiglia ad occuparsi e preoccuparsi dei processi di trasmissione intergenerazionale.
Anche il mondo esterno a questa, come la scuola, le diverse reti sociali, gli stessi mass media, giocano un ruolo ed un potere fondamentale nel percorso biografico degli individui.

Si comprende allora quanto il cambiamento di contesto sociale, com’è il caso delle famiglie di migranti, possa rappresentare un passaggio decisivo anche (ma ovviamente non solo) nei processi di trasmissione familiare, intergenerazionale, oltre che sociale.
Differenti sono infatti i cambiamenti, le difficoltà che queste famiglie si trovano a vivere: il cambiamento dello status sociale e la conseguente perdita di privilegi di cui godevano nella società di origine, la separazione dai propri cari e dalla rete sociale di supporto e riferimento con la conseguente destabilizzazione della vita familiare e la necessità di riorganizzare quest’ultima, il cambiamento del sistema scolastico, il cambiamento nelle relazioni di genere, con una complessiva parziale perdita di controllo delle relazioni e pratiche quotidiane.

Si comprenda allora quanto l’esperienza della migrazione possa influire in modo significativo anche nella trasmissione tra generazioni, nelle modalità e nei contenuti con cui questa avviene, sia all’interno della famiglia che all’esterno di questa.
La lingua d’origine in particolar modo, riveste un ruolo prioritario in tale processo, essendo una degli elementi fondamentali dell’identità culturale, lo strumento attraverso il quale viene – tra gli altri aspetti – trasmessa anche la storia, la memoria familiare, attraverso il quale i figli possono continuare a parlare con i nonni.

I genitori, inoltre, non sono così sempre in grado di guidare i figli nel nuovo contesto sociale come lo erano invece prima di emigrare..[6]

Cosa succede allora alla famiglia, alle sue relazioni e dinamiche intra ed extra-familiari, ai rapporti tra i generi e tra le generazioni, nel momento in cui essa o alcuni suoi componenti vivono l’esperienza del distacco a seguito dell’emigrazione?

Quale funzione riveste la famiglia nel progetto migratorio personale, nelle modalità e tempistiche in cui questo viene realizzato?

Si comprende allora il crescente interesse nello studio delle migrazioni suscitato, non solo dal singolo individuo ma anche dalla famiglia in migrazione, i suoi mutamenti relazionali ed intergenerazionali segnati dal progetto migratorio, per quanto per lungo tempo considerati aspetti secondari del fenomeno migratorio, se rapportati agli studi svolti sui flussi migratori per motivi di lavoro.

Basti pensare a tal fine, ai movimenti migratori italiani di massa nel periodo antecedente il primo conflitto mondiale, durante il quale il progetto migratorio era un vero e proprio “affare familiare”. Era la famiglia infatti, che individuava direttamente o indirettamente chi sarebbe stato investito del compito di emigrare per primo, per poi essere, eventualmente, raggiunto dagli altri componenti della famiglia.

Come spiega D. Gabaccia [7] la migrazione ed il transnazionalismo sono stati per lungo tempo “il modo di vivere” del proletariato agricolo italiano. Se negli Stati Uniti l’immigrazione ha da subito assunto una configurazione di tipo familiare, in Europa è solo a partire dagli anni ’70 che da individuale e transitoria si è trasformata in un fenomeno di “familiarizzazione” dei flussi migratori, o “familiy migration, aspetto che però ha iniziato ad essere studiato in modo sistematico soltanto di recente, forse anche a causa dell’irrigidimento delle politiche migratorie sui nuovi ingressi emanate a partire dagli anni ’80.
L’Europa ha infatti privilegiato per decenni la migrazione individuale per motivi di lavoro, una migrazione che fosse temporanea, organizzata in base al sistema rotatorio e volta a soddisfare esigenze congiunturali di manodopera, per poi rimandare i “lavoratori ospiti” nel proprio paese d’origine ed evitare si facessero accompagnare o seguire dai propri familiari, così come accadde ai lavoratori italiani in Germania, piuttosto che in Svizzera (c.d. “Gastarbeiter”).
È con l’arrivo delle famiglie nei contesti migratori che si inizia allora a comprendere come queste ultime non fossero soltanto mosse nella migrazione, da motivi economici, bensì da una molteplicità di aspetti più complessi, andando in questo modo a plasmare e a superare quell’immagine stereotipata del soggetto che emigrava da solo, che gestiva autonomamente il proprio progetto migratorio.
Sempre di più, nello studio dei movimenti migratori, si assiste così a meccanismi di richiamo basati su catene migratorie familiari, parentali ma anche amicali, facendo divenire l’emigrazione familiare una vera e propria “impresa collettiva”.

È in quest’analisi che si inizia inoltre a comprendere come le donne non fossero “unicamente” soggetti emigrati con o a seguito del marito, ma che potessero essere, esse stesse, protagoniste, pioniere di progetti migratori familiari. Questa tematica inizia così a divenire di interesse nello studio delle migrazioni, oltreché all’interno dei gender studies. Altrettanto recenti e di crescente interesse divengono poi gli studi sulle relazioni intergenerazionali, in particolar modo nei paesi con una lunga tradizione migratoria, come la Francia[8], la Germania[9]  – a livello europeo –  gli Stati Uniti[10], il Canada, l’Australia a livello internazionale.

Kofman[11] mette in luce i diversi motivi che rendono necessario mettere al centro della scena migratoria il “la famiglia”: il primo riguarda il fatto che gran parte dei movimenti migratori nascono da motivi legati alla famiglia; in secondo luogo la centralità della famiglia riguarda ogni fase del processo migratorio, quella della decisione di migrare, chi debba partire per primo, quali saranno gli obblighi reciproci tra chi emigra e chi rimane a casa.E’ sempre in seno alla famiglia che si decide se rimanere nel paese di emigrazione o tornare a vivere in quello di origine.

E’ ancora considerando l’importanza della famiglia, che il familiare che si trova lontano da casa, decide di investire i propri guadagni e risparmi per sostenere chi è rimasto in patria, acquistandovi poi una terra, una casa di proprietà, oppure semplicemente inviando rimesse, attraverso gesti simbolici come lettere, telefonate, doni. Sono anche queste azioni, tra le altre, che L. Zanfrini[12] chiama “indicatori di relazionalità” e che permettono a chi della famiglia è già emigrato, sia di dimostrare il proprio senso di responsabilità verso i restanti componenti della famiglia, sia di mostrare a questi ultimi, il significato della propria scelta migratoria, dell’intero progetto familiare, il motivo più profondo di così tanti sacrifici.

(dal FILM con Claudia Cardinale “La ragazza con la valigia”)

[1] Cfr. Saraceno, C., “Sociologia della famiglia”, Il Mulino, Bologna, 1988, p. 11;

[2] Cfr. Formenti, L. “La famiglia si racconta. La trasmissione dell’identità di genere tra le generazioni”, Centro Internazionale Studi Famiglia, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), pp. 22-58;

[3] Cfr. Muxel, A. “Individu et mémoire familiale”, Nathan, Paris, 1996;

[4] Cfr. Lüscher, K., Ludwig, L. “Generationenbeziehungen in Familie und Gesellschaft“, Universitätsverlag (UTB) Konstanz; 2003, p. 372;

[5] Mannheim, K. “Das Problem der Generationen”, in Kölner Vierteiljahreshefte für Soziologie,
n. 7, 1928;

[6] Cfr. Bertaux, D., Delcroix, C., Les transmission en situation extreme”, in Attias-Donfut, C. e Lapierre, N. “Générations et filiation”, Seuil, Paris, 1994, pp. 73-99;

[7] Gabaccia D. “Italian workers of the world: labor migration and the formation of multiethnich states”, University of Illinois Press, Urbana, 2001;

[8]Tra gli altri si ritrova l’opera di Bertaux D. and Thompson P. “Between Generations: Family Models, Myths and Memories”, International Yearbook of Oral History and Life Stories, Volume II, Oxford University Press, Oxford, 1993;

[9] Tra gli altri si ritrova l’opera di Apitzsch U.”Migration und Biographie. Zur Konstitution des Interkulturellen in den Bildungsgängen junger Erwachsener der 2. Migrantengeneration”, Universität Bremen, Bremen,1990;

[10] Tra le opere più significative si trova il lavoro di Portes, A. e Rumbuat, R.G. “ Legacies. The Story of the Immigrant Second Generation”, University of California Press, Los Angeles, 2001;

[11] Kofman, E. “Family‐related migration: a critial review of European Studies” in “Journal of Ethnic and Migration Studies”, XXX, n. 2 pp. 243-262, 2004, in Gozzoli, C., Regalia, C. “Migrazioni e famiglie, Percorsi legami e interventi psicosociali”, Il Mulino, Bologna, 2005, p.56-57;

[12] Zanfrini L. “Leggere le migrazioni. I risultati della ricerca empirica, le categorie interpretative, i problemi aperti.”, Franco Angeli, Milano, 1998, in Gozzoli, C. Regalia, C., op.cit., p. 102.

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[1] Cfr. Saraceno, C., “Sociologia della famiglia”, Il Mulino, Bologna, 1988, p. 11;

[1] Cfr. Formenti, L. “La famiglia si racconta. La trasmissione dell’identità di genere tra le generazioni”, Centro Internazionale Studi Famiglia, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), pp. 22-58;

[1] Cfr. Muxel, A. “Individu et mémoire familiale”, Nathan, Paris, 1996;

[1] Cfr. Lüscher, K., Ludwig, L. “Generationenbeziehungen in Familie und Gesellschaft“, Universitätsverlag (UTB) Konstanz; 2003, p. 372;

[1] Mannheim, K. “Das Problem der Generationen”, in Kölner Vierteiljahreshefte für Soziologie,
n. 7, 1928;

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