Buddismo stoicismo e Magno Alessandro

Buddismo stoicismo e Magno Alessandro

Di Apostolos Apostolou

Esiste una relazione tra stoicismo e buddismo? Molti dicono che esiste. Cerchiamo trovare qui la relazione tra stoicismo e buddismo. La filosofia stoica si sviluppa in tre discipline: logica, fisica ed etica, distinte e insieme strettamente connesse fra loro. Il termine “stoico” nel linguaggio popolare indica ancora oggi una persona che sopporta coraggiosamente le sofferenze e i disagi. La dottrina etica pone al suo centro un concetto di virtù intesa come esercizio di ragione, e di vizio come passione, cioè come incapacità di pensare e ragionare. L’uomo virtuoso è colui che vive in modo razionale, comprendendo la ragione del tutto, e quindi anche secondo natura, essendo la natura espressione della ragione universale che pervade e governa il mondo.
Gli stoici sostennero le virtù dell’autocontrollo e del distacco dalle cose terrene, portate all’estremo nell’ideale dell’atarassia, come mezzi per raggiungere l’integrità morale e intellettuale. realizzando una sorta di indifferenza (adiaforia) verso i singoli aspetti della realtà. In greco antico ci sono tre parole che usano gli stoicismi (αοχλησία, αμεθεξία, αδιαφορία). L’evidenza si basa in particolare sull’assenso ( synkatáthesis ) che la mente dà alla rappresentazione di un dato fenomeno. [1] A differenza quindi della dottrina epicurea, la conoscenza non si fonda sulla semplice sensazione ( àistesis ), né sull’impressione che questa provoca nell’anima ( phantasía ): entrambe infatti, per via della loro instabilità, non potrebbero dare alle proposizioni il carattere di scienza che invece è necessario per poter distinguere correttamente il vero dal falso; uno attivo, heghemonikòn, che consiste nelle anticipazioni mentali, cioè previsioni basate su conoscenze già acquisite, ma in grado di avere un ruolo di guida, e uno passivo, hypàrchon, che è appunto il semplice dato sensibile. [2]
Mentre, tuttavia, per Zenone di Cizio l’evidenza-assenso riguardava unicamente la coscienza interiore di sé stessi o autocoscienza (oikeiosis) nella quale soltanto può aversi conformità alla legge universale del Lògos, con Cleante essa diventa comprensiva (kataleptikè) anche dei piani ontologici della realtà esterna, perché il Lògos che muove il pensiero razionale dell’uomo è in fondo lo stesso situato a fondamento dell’universo. Come sostiene Stefano Arcella – «Un primo spunto di comparazione può prendere le mosse dalla dottrina buddhista dell’impermanenza che ha un rilievo centrale nell’insegnamento del Sakyamuni, comparandola con le riflessioni presenti negli Stoici romani quali Seneca, Epitteto e Marco Aurelio. L’esame comparato del rapporto desiderio-dolore e del tema del distacco nelle due correnti spirituali sarà soltanto consequenziale rispetto a quello sulla visione del mondo, poiché senza quest’ultima, tutta la linea d’ascesi e di condotta nei due sistemi non può avere una chiara ed esauriente spiegazione. Tale confronto consentirà di cogliere affinità e differenze che saranno poi inquadrate nei rispettivi contesti storico-culturali e nell’ambito delle diverse “impronte” che connotano la cultura indiana e quella romana. Il Sakyamuni, nel sermone di Benares – quello della “messa in moto della Ruota della Legge” – espose, quale frutto della sua illuminazione spirituale, le Quattro Nobili Verità e poi, in alcuni sermoni immediatamente successivi, la dottrina dell’impermanenza. Egli spiega che tutte le cose “sono sprovviste di un essere proprio” perché impermanenti e passano di stato in stato, incessantemente. L’impermanenza è strettamente connessa all’insostanzialità delle cose e dei fenomeni, ossia al loro essere sprovviste di un valore autonomo, al loro non poter essere considerate di per se stesse, essendo tutte il frutto di un concorso di fattori causali, mutando i quali mutano anche le cose. Questa “mancanza d’essere proprio” ( anatta ) della realtà obiettiva ( rupa , “forma”) e di quella soggettiva ( vinnana , “coscienza”) è uno dei capisaldi di tutta la dottrina del Buddha, diventando poi oggetto d’approfondimento in tutta la speculazione filosofica buddhista. Va ricordato, al riguardo, che il filosofo buddista Nagarjuna, nei suoi scritti, parla della “co-produzione condizionata” quale carattere peculiare della genesi di tutti i fenomeni nel mondo della manifestazione e che tale tema è stato particolarmente approfondito ed illustrato dall’attuale Dalai Lama nei suoi scritti e nelle sue conferenze. La retta comprensione di questi insegnamenti è fondamentale sia per un corretto approccio intellettivo a tutto l’insieme della concezione buddista sia per un’equilibrata interiorizzazione ed applicazione dell’ascesi e dell’etica buddista che non ha assolutamente quella connotazione nichilista e disperata che potrebbe apparire ad una valutazione superficiale e di “primo impatto”.»
Ci sono comuni elementi tra stoicismo, buddismo e zen? Sicuramente sì. Nella tradizione di zen abbiamo il seppuku e nella filosofia di stoicismo abbiamo Il seppuku veniva eseguito, secondo un rituale rigidamente codificato, come espiazione di una colpa commessa o come mezzo per sfuggire ad una morte disonorevole per mano dei nemici. Un elemento fondamentale per la comprensione di questo rituale è il seguente: si riteneva che il ventre fosse la sede dell’anima, e pertanto il significato simbolico era quello di mostrare agli astanti la propria anima priva di colpe in tutta la sua purezza.[3]
Il primo atto di seppuku di cui si abbia traccia fu compiuto da Minamoto no Yorimasa durante la battaglia di Uji nel 1180. Alcune volte praticato volontariamente per svariati motivi, durante il periodo Edo (1603 – 1867) divenne una condanna a morte che non comportava disonore. (Quanto riguarda il seppuku come filosofia o meglio come tentazione, può vedere gli studi di T. Deshimary). Infatti il condannato, vista la sua posizione nella casta militare, non veniva giustiziato ma invitato o costretto a togliersi da solo la vita praticandosi con un pugnale una ferita profonda all’addome di una gravità tale da provocarne la morte. Nella filosofia di stoicismo abbiamo con lo stesso mondo un rituale di suicidio che si chiama in greco antico «εύλογον εξαγωγήν».
all’avvento del regno dell’imperatore Asoka 274 – 236. La prima antica testimonianza del buddismo l’abbiamo circa nel 241 a.c., cinque anni dalla morte dell’imperatore Asoka. Come sostiene Claudio Simeoni secondo S. Radhakrishnan in La filosofia indiana, vol 1p.341 ed. Asram Vidya 1998: «Per parlare del buddismo antico si deve fare riferimento ai Pitaka, o “Canestri della legge” le concezioni che sono esposte, anche se non sono esattamente le dottrine insegnate dal Buddha [come può saperlo? Nota mia], ne sono comunque la più attendibile approssimazione di cui siamo in possesso. […] Essi furono probabilmente compilati prima del 241 a.c., anno in cui si tenne il terzo Concilio, e sono senza dubbio le più antiche e autorevoli testimonianze dell’insegnamento del Buddha attualmente esistenti.»
Il matrimonio tra stoicismo e buddismo succede con l’arrivo in India di Alessandro Magno nel 327 – 325 a.c. Claudio Simeoni scrive che Alessandro Magno non arrivò in India solo con le armate, ma anche con filosofi al seguito che ebbero forti e profonde discussioni con filosofi, i gimnosofisti, indiani. Se abbiamo qualche informazione sugli effetti che le discussioni con i gimnosofisti ebbero sui filosofi al seguito di Alessandro Magno, non abbiamo nessun dato sugli effetti che i filosofi al seguito di Alessandro Magno hanno prodotto sui gimnosofisti. I gimnosofisti, i filosofi nudi, erano i pensatori Jainisti. Ricerche dicono che il grande sviluppo del buddismo era con il regno di Menandro I Sotere ( 155 aC – 130 aC ). Menandro I Sotere è stato un sovrano indiano , uno dei monarchi del Regno indo-greco nel nord dell’ India e nel Pakistan tra il 165 o 155 a,C e il 130 aC ; fu tra i primi occidentali a convertirsi al buddhismo , assieme a Demetrio I e ad Agatocle di Battria. Il predecessore di Menandro in Punjab sembra essere re Apollodoto I.
Menandro sarebbe nato a Kāpiśa (oggi Bagram in Afghanistan ). Il suo regno fu lungo e prospero, come attestato da vasti ritrovamenti di monete da lui coniate in un’ampia regione, i maggiori ei più vasti di tutti i re indo-greci. I suoi territori si estendevano dalle regioni orientali del regno greco di Battria (dal Panjshir e Kapisa ) alle moderne province pakistane del Nord Ovest e del Punjab , agli stati indiani del Punjab , dell’ Himachal Pradesh e dello Jammu , con diversi vassalli a sud e ad est, probabilmente fino a Mathura .Menandro era nipote o un generale del re greco-battriano Demetrio I , ma ora si sa che i due sovrani sono separati di almeno trent’anni. Menandro si convertì al buddhismo, come raccontato nel Milinda pañha, un testo buddhista di difficile datazione probabilmente del II secolo a.C. e conservato in lingua pali e in cinese (nel Lùnjíbù al T.D. 1670), in cui il saggio buddhista Nāgasena conversa con il sovrano greco Milinda, che viene descritto come costantemente accompagnato da 500 soldati Yona (ionici, cioè greci) e da due consiglieri di nome Demetrio e Antioco.
Milinda pañha, era una filosofia buddista, sintesi (secondo Nicholas Sims-Williams, “A Bactrian Buddhist Manuscript”) dalla filosofia di stoicismo e dalla filosofia di Democrito e dei sofisti, con gli elementi empiristici e i principi che esistevano il Buddismo. (McEvilly, “The Shape of Ancient Thought”, pagina 503). Anche secondo il professore Chūō, il fenomeno Greco – buddismo era un grande fenomeno d’ arte. In Madhya Pradesh è raffigurato un soldato straniero, con i capelli ricci di un greco e la fascia reale a cingere la testa di un sovrano ellenistico, identificato con Menandro. Esso regge con la destra un rametto di edera, simbolo di Dioniso, e indossa un abito con due file di pieghe geometriche tipiche dell’arte ellenistica; allo stesso tempo sulla sua spada è inciso il simbolo buddhista dei tre gioielli, il Triratana. L’acne del Buddismo come dicono gli storici era in questa periodo. L’influsso greco – buddismo possiamo trovare anche nel pensiero orientale teologico di Evagrius ( Euagrius di Antiochia 370-380). Secondo di H. U. v. Bathasar, ma anche secondo di Ivanka, Evagrius non era mistico cristiano ma buddista. Le influenze erano molte ed esprimevano una costruzione funzionale ad annunciare una “nuova” forma filosofica.

Note:
1 Sharou Lebell, The art of living: The classical manual on virtue. Happines and
effectiveness. Ed. Harper One 2004,p, 25, 32, 46, 71.
Jules Evans Philosophy for live: And other dangerous situations. Ed. Ribel 2012, p, 12,54, 59.
Shunryu Suzuki.Zen,Mind, Beginner’s Mind. Ed. 2011, p, 11, 21, 30.

Apostolos Apostolou. Scrittore e professore di filosofia

Redazione Radici

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