La sfida del ministero del Mare

La sfida del ministero del Mare
Fonte immagine: Getty Images

di Donatello D’Andrea

Seppur la sua creazione abbia suscitato una certa ironia, in realtà il Ministero del Mare potrebbe essere una mossa azzeccata da parte del nuovo governo di Giorgia Meloni.

Chiunque conosca un quid di storia mediterranea – e abbia un minimo di dimistichezza con la geografia – sa benissimo che un ministero del mare servirebbe al paese come il pane.

Lo dice, appunto, la geografia. L’Italia è una penisola, con migliaia di km di coste, immersa per 3/4 nel Mediterraneo ed occupa una posizione centrale all’interno di un bacino fondamentale per i commerci mondiali con canali come Suez e Gibilterra che muovono migliaia di tonnellate di merci ogni anno.

Per avere un’idea del valore del commercio marittimo per l’Italia, pensare al fatto che Roma in UE è al secondo posto, dopo Berlino, per produzione di valore aggiunto sul trasporto marittimo (16%). A giugno 2022 l’import-export via mare dell’Italia ha sfiorato i 184 miliardi di euro con un aumento del 42% rispetto all’anno precedente. L’aumento più importante si è avuto nel Mezzogiorno, dove il traffico commerciale vale 41 miliardi di euro, cioè il 53% in più rispetto all’anno precedente.

Inoltre, vari Paesi del G20 hanno un ministero del mare: il Canada, l’Indonesia, il Messico, l’India, la Corea del Sud e anche l’Unione Europea, con il commissario per l’ambiente, gli oceani e la pesca. La Corea e l’India sono penisole. Tutti i Paesi a vocazione marittima hanno un focus sul mare. Noi no.

Per anni la nostra classe dirigente ha voltato le spalle al mare, dedicandosi completamente al Nord Europa. È vero che la Mitteleuropa rappresenta un terzo del nostro export, ma urge ricordare che circa il 25% del nostro PIL e 200mila imprese, sopravvivono grazie al mare.

I politici della Prima Repubblica avevano capito l’importanza di prestare attenzione alle coste. Fino al 1993 è esistito il ministero della Marina Mercantile, Enrico Mattei aveva cercato la prosperità italiana nel Nord Africa, Aldo Moro e la DC facevano geopolitica dialogando con i Paesi del Mediterraneo orientale e avevano trasformato l’Italia nell’interlocutore per eccellenza per i Paesi che si affacciavano sulla costa del mare nostrum.

Il declino definitivo del ruolo di Roma nel Mediterraneo è cominciato proprio con la fine del Ministero della Marina Mercantile. Al cauto protagonismo si è sostituito l’ingiustificata assenza.

Continuare a guardare soltanto al Nord significa condannarsi alla marginalità politica e geopolitica. I porti italiani, tra le infrastrutture più grandi e importanti del Mediterraneo, hanno bisogno di una svecchiata e di ingenti investimenti – la congestione è ancora un grosso problema – per competere con quelli egiziani e spagnoli. Il ruolo crescente della Turchia sta mettendo a dura prova i piani di ENI e, in generale, dell’Italia sui dossier più caldi (Libia).

Inoltre, la tutela della biodiversità e dell’ecosistema marittimo hanno bisogno di un ministero del Mare, in grado di combattere l’inquinamento e la pesca illegale, salvaguardando, al contempo, settori che dipendono interamente dalla prosperità delle nostre acque.

Ovviamente non è detto che il futuro ministero del governo Meloni potrà ambire ad occuparsi di tutto ciò – molto dipenderà dalle deleghe – ma è importante che qualcuno torni a parlare del ruolo dell’Italia nel Mediterraneo. Si spera soltanto che sia la volta buona e non l’ennesima occasione persa.

Redazione Radici

Donatello D'Andrea

Classe 1997, lucano doc (non di Lucca), ha conseguito la laurea in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali e frequenta la magistrale in Sistemi di Governo alla Sapienza di Roma. Appassionato di storia, politica e attualità, scrive articoli e cura rubriche per alcune testate italiane e internazionali.

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