Fermiamo Biden e Zelensky

Oltre la follia esistono Biden e Zelenski che creano una dimensione che cancella il futuro!

A settantasette anni dai bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki l’America adotta gli stessi propositi, ma con una tattica diversa afferma il mantra “aggredito ed aggressore” e rapidamente convince l’Europa, ben rappresentata e governata dalle banche d’affari filoamericane, ad allinearsi alla volontà belligerante.

Hiroshima con una bomba all’uranio e Nagasaki con una al plutonio furono distrutte, a guerra finita, per sperimentare due ordigni completamente diversi, mentre la radio trasmetteva la voce dell’imperatore giapponese che annunciava la resa, .

L’America ebbe così la certezza che la bomba di Hiroshima era capace di annientare settantamila persone il primo giorno e duecentomila nei seguenti cinque anni, mentre un po’ meno a Nagasaki. Un inutile e criminale spettacolo di chiusura di una guerra già finita, quale esito ultimo del progetto Manhattan che coinvolse migliaia di persone, con un investimento stimato in 2,5 miliardi di dollari.

Questo accadeva il 6 Agosto del 1945, ma ancora non soddisfatta, l’America dopo otto giorni bombardò Tokyo per ben quattordici ore consecutive e oltre mille bombardieri scaricarono sessantamila tonnellate di bombe sulla capitale giapponese.

Tutto questo lascerebbe pensare ad una America spietata che per propri fini speculativi non dà valore alla vita umana, ma non è così, la realtà potrebbe essere molto peggio.

Basti considerare che attraverso gli studi cinematografici di Hollywood gli americani hanno convinto il mondo di essere i buoni e gli indiani i cattivi, che loro non erano gli invasori e gli aggressori, mentre gli indiani erano i perfidi e crudeli selvaggi che non volevano cedere le loro terre ai pistoleri immigrati d’oltreoceano.

A quel tempo il mantra “chi è l’aggredito e chi è l’aggressore” non trovava la giusta accoglienza come oggi.

Per gli anni a venire torna utile richiamare alla memoria la Global Research che pubblica un documentato studio di James A. Lucas sul “numero di persone uccise dalla ininterrotta serie di guerre, colpi di stato e altre operazioni sovversive effettuata dagli Stati uniti dal 1945 ad oggi: esso viene stimato in 20-30 milioni.

Circa il doppio dei caduti della Prima guerra mondiale, senza contare un numero in quantificato di morti, probabilmente centinaia di milioni, provocati dal 1945 ad oggi dagli effetti indiretti delle guerre: carestie, epidemie, migrazioni forzate, schiavismo e sfruttamento, danni ambientali, sottrazione di risorse ai bisogni vitali per coprire le spese militari.”

Parliamo di guerre e colpi di stato, mossi da interessi speculativi su vasta scala, effettuati dagli Stati uniti in oltre trenta paesi asiatici, africani, europei e latino-americani, fra cui Siria, ex Jugoslavia, Corea, Vietnam, Iraq, Afghanistan, Angola, Congo, Sudan, Guatemala, Cambogia, Laos, Arcipelago Indonesiano e molti altri paesi.
Praticamente un paese in cui quel cinturone con le colt è radicato nel Dna e resta ragione di vita!

Oggi, a muro di Berlino caduto e dopo anni dalla scomparsa dell’Unione Sovietica, invece di sopprimere quella Nato, il cui fine unico era quello di contrastare l’URSS, attraverso una lenta e subdola strategia, si afferma il posizionamento dell’Alleanza Atlantica intorno alla Russia, circondandola.

Tutto questo per paura della Russia o del suo presidente di turno ?

No !

Considerati i trascorsi Americani sembrerebbe molto più plausibile l’interesse verso quelle che sono le “terre rare”. Parliamo dei materiali cosiddetti tecnologici, alla base di innumerevoli realizzazioni industriali, militari e civili, quali lo scandio, l’ittrio, i lantanidi ed altri, ormai indispensabili per la realizzazione di sistemi di precisione missilistica, per i magneti degli altoparlanti, dei microfoni, dei cellulari, per le pale ed i magneti delle turbine eoliche, per i magneti delle batterie delle auto elettriche, per le cellule fotovoltaiche, nonché per la programmata svolta green e per la preparazione della strategia dello sviluppo dell’energia a idrogeno.

Le vicende a cui assistiamo non fanno parte di una storia degli ultimi mesi ma di un braccio di ferro fra Biden, Putin e l’Ucraina che ha origini molto più lontane.

Durante la presidenza di Barack Obama, dopo le drammatiche vicende dell’insurrezione popolare, quale “eversione democratica” di piazza Maidan, guidata dalle fondazioni americane e sedata nel sangue, Joe Biden, Vice Presidente degli Stati Uniti con delega per la politica internazionale, nel 2014, si stabilì per un periodo a Kiev a sostegno dell’appena insediato e fragilissimo governo ucraino.

Cominciarono così i rapporti economici fra la famiglia Biden e l’Ucraina.

Da lì a poco Hunter Biden, figlio di Joe, viene assunto con uno stipendio di cinquantamila dollari al mese dalla Burisma Holdings, la maggiore compagnia energetica dell’Ucraina e nel paese subito si afferma la politica americana, volta all’emanazione di leggi anti russe ed alla persecuzione della popolazione del Donbass, che sosteneva fortemente l’annessione alla Russia.

Zone, purtroppo, ritenute ricche di giacimenti di gas e di minerali rari e per questo finite nel mirino della Burisma Holdings. Da qui nasce una guerra sanguinaria, fra truppe , milizie ucraine e residenti del Donbass, che ha causato oltre quattordicimila vittime.

Durante la Presidenza di Trump, gli interessi americani verso l’Ucraina si placano, ma con Joe Biden, nuovo presidente degli Stati Uniti, la situazione in Ucraina ricomincia a scaldarsi e su dietro preciso ordine viene rispolverato, dal suo facente funzioni ucraino Zelenski, il nemico Putin, subito dato in pasto ai media di potere.

Ci ritroviamo immediatamente coinvolti, per volontà politica di un premier banchiere filoamericano e di una Europa asservita ai poteri finanziari statunitensi, in una guerra dai possibili risvolti tragici.

La strategia usata dagli americani non è l’attacco diretto, ma lo strisciante logorio per mezzo di rifornimenti di armi ad un paese non facente parte della Nato, ma cosiddetto “aggredito”.

Una strategia sfacciatamente terroristica a cui l’Europa assiste silente e compiacente, preannunciata da Biden ancor prima dell’inizio della guerra:

“Se la Russia invade, non ci sarà più un Nord Stream 2. Metteremo fine a questo“ ma a saltare in aria non è solo l’importante gasdotto, infatti dopo qualche giorno viene fatto brillare anche il ponte, sia stradale che ferroviario di diciotto chilometri, costruito pochi anni fa dalla Federazione Russa per unire la Russia alla Crimea.

Una strategia terroristica volta ad indurre Putin a far uso della bomba nucleare, per poi scatenare quell’inferno mondiale utile all’America per appropriarsi, a questo giro non dei soli pozzi di petrolio o del tesoro di Sadam Hussein, ma di tutta l’ex Unione sovietica e delle sue terre rare.

Biden, Zelenski e Putin, così si chiama la nostra fine… mentre comodi in poltrona ci cibiamo della strumentale volontà dei media.

La storia si ripete e per volere dei burattinai ci ritroviamo bianchi o neri, novax o provax, putiniani o atlantisti, tutti l’uno contro l’altro…
ma se esiste un aldilà ci ritroveremo presto tutti a ridere della nostra stupidità.

L’obiettivo Crimea potrà anche essere contendibile tra alcuni mesi se la guerra prosegue con il passo attuale e se l’Occidente continua a rifornire Kiev come adesso. Ma resta a rischio di una reazione nucleare russa. Probabile ,come ha già fatto capire Biden,che l’America non voglia correre il rischio di un’Armageddon e al momento giusto freni Zelensky, che per adesso e nel prossimo futuro continuerà a sostenere con vigore, semplicemente riducendo il flusso di armi.

Ma cosa sta succedendo?

Sono successe tre cose abbastanza singolari negli ultimi giorni che hanno a che fare con il posizionamento degli Usa rispetto al conflitto in Ucraina. In tutti e tre i casi c’entra un giornale, il New York Times, e in due di questi casi c’entrano dei retroscena a fatti di cronaca. La prima notizia è che giovedì alcuni funzionari dell’amministrazione americana hanno confidato al NYT che ritengono che ci sia la mano di “una parte del governo dell’Ucraina” dietro all’assassinio di Darya Dugina, avvenuto lo scorso 20 agosto in un sobborgo di Mosca.

Sempre il New York Times, in un altro articolo, rivela un altro fatto interessante..

Il quotidiano accusa lo stesso governo americano di incoraggiare o perlomeno permettere un invio di armi “sconsiderato” all’Ucraina da parte di intermediari privati. Il quotidiano, documenti alla mano, ha svelato in particolare il tentativo da parte di due cittadini privati residenti negli Stati Uniti, Martin Zlatev e Heather Gjorgjievski, di vendere 30 milioni di dollari di razzi, missili, lanciagranate e munizioni a Kiev. Per farlo e aggirare i vari ostacoli e divieti, i due sarebbero passati attraverso molti intermediari, e diversi stati stranieri.

Terzo fatto. Ieri ancora il NYT accusa il governo ucraino di essere dietro all’esplosione del ponte di Kerch, che collega la Russia alla Crimea. Anche qui, vi dico prima due parole su quello che è successo. Sabato un camion che percorreva il ponte verso la Crimea è esploso, e il fuoco ha raggiunto tre vagoni che trasportavano carburante su un treno merci, facendoli esplodere a loro volta. Dopo l’esplosione sono crollate due campate della parte del ponte percorsa dai veicoli, mentre quella percorsa dalle ferrovie è rimasta in piedi…

Al punto in cui si è arrivati serve un’iniziativa politico-diplomatica che fermi il conflitto. Ci vorrebbero iniziative di carattere straordinario, profetico, che colpiscano e disorientino, e proprio per questo possono aprire a nuove prospettive e avere qualche efficacia, ma è difficile metterle in atto.

La guerra, posso affermarlo con la certezza di quanto ho vissuto, non risolve nulla; al massimo sposta nel tempo lo scoppio dei problemi. È stata impressionante la cecità dei decisori politici che, pur sapendolo, vi hanno ricorso negli anni passati, come foglia di fico che nascondeva in realtà l’incapacità di affrontare i problemi attraverso il dialogo politico e la costante e tenace azione diplomatica.

I leader politici dovrebbero riscoprire la forza potente del dialogo che dovrebbe essere alla base di ogni civile convivenza. Permette di capire le ragioni altrui, scoprendo spesso che non sono né banali né infondate. Una politica che non crede più nella forza del dialogo e nell’iniziativa diplomatica è una politica cieca, senza speranza, senza futuro.

l’Ucraina ha un piede ad ovest e l’altro ad est, in una duplice trazione verso aree sia europee che russe. Potrebbe quindi più facilmente garantire la propria unità territoriale, la convivenza tra differenti comunità linguistiche, il proprio progresso e sviluppo con ampie relazioni sia ad ovest che ad est, non diventando membro della Nato né dell’Unione eurasiatica trainata dalla Russia ma vivendo una neutralità attiva riconosciuta, aperta a rapporti politici, economici, culturali con entrambe le entità.

Un’Ucraina neutrale e aperta a cooperazioni a trecentosessanta gradi potrebbe perfino rappresentare un punto magnetizzante tra Ue/Occidente e Russia, affievolendone le tensioni.

Ma La realtà ha preso tutt’altra direzione..

Iniziative che potrebbero essere efficaci sono spesso rifiutate anche per una certa arroganza e mancanza di visione e di umiltà, a partire dall’azione diplomatica e dal dialogo politico. Indipendentemente dal fatto che Putin mentisse e che il piano di invasione e annessione dell’Ucraina fosse già definito, anzi proprio per rendere inefficace tale piano sarebbe stato necessario prendere sul serio la richiesta russa a Usa e Nato di avere garanzie “a lunga scadenza e giuridicamente vincolanti” sul non allargamento della Nato, sulla rinuncia a posizionare nuovi armamenti vicino alle frontiere russe. La trattativa avrebbe probabilmente tolto a Putin molta della sua aggressività rendendo più difficoltosi il suo disegno e la sua menzogna, almeno temporaneamente.

Non c’è stata negli anni ’90 intelligenza politica e leader politici all’altezza, con visioni lungimiranti e capacità di ridisegnare e proporre un nuovo ordine mondiale che tenesse insieme Nord-Sud e Est-Ovest definendo il ruolo in esso dell’Europa e dell’Occidente.

Sarebbe doveroso, oltre che indispensabile, riprendere e attualizzare quell’Agenda per la pace. Servirebbero donne e uomini illuminati e coraggiosi nella loro funzione e azione politica, con una visione alta e lungimirante, profondamente e intensamente convinti e capaci di convincere.

Zelensky ha affermato di volere andare fino in fondo.

Noi, società civile che anela alla pace e le istituzioni europee e internazionali che dovrebbero garantirla quanto lontano e con quanta forza e impegno siamo pronti ad andare?

Antonio Peragine

direttore@progetto-radici.it

Antonio Peragine

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