La lunga e tortuosa strada della diplomazia

La lunga e tortuosa strada della diplomazia
Fonte immagine: Informate Digital

di Donatello D’Andrea

Come sostenuto nel precedente articolo, la diplomazia vuole i suoi tempi e ha le sue condizioni. Urge ricordare che gli stati non sono soltanto portatori di convinzioni ideologiche e di visioni etiche ma sono anche, e soprattutto, portatori di interessi. Come per la guerra, anche per la pace una nazione è mossa innanzitutto dal suo interesse particolare. La Russia non tratterà fino a quando non avrà raggiunto il suo scopo, così come l’Ucraina non si siederà al tavolo fino a quando non avrà tutelato il suo di interesse.

Premesso, come sempre, che la strada della diplomazia sia un crocevia lungo, tortuoso, caratterizzato da più fallimenti che successi, per ora, le iniziative diplomatiche, seppur presenti, sono andate incontro a rapide chiusure da parte dei contendenti. Prima del conflitto ci provarono gli americani – la telefonata Blinken-Lavrov dello scorso febbraio – e Macron, il quale ci ha provato fino ad Aprile, a trovare una soluzione diplomatica che contemplasse un ritorno ai confini pre-24 febbraio. Senza successo, ovviamente.

Dinamiche, queste, che si sono ripetute nei mesi successivi, con aperture e chiusure lampo di ogni parvenza di negoziato. Nemmeno gli interventi di Erdogan, accreditato presso il Cremlino come una persona più affidabile rispetto agli europei, e del segretario ONU Guterres (prima a Mosca e poi a Kiev) hanno sortito l’effetto sperato.

Oggi, siamo di fronte all’ennesimo tentativo di mettere sul tavolo uno stralcio di negoziato, grazie alle aperture russe e americane circa un incontro tra Putin e Biden a margine del G20 di Bali, anche per contribuire ad abbassare la tensione internazionale esistente e certificata dal timore circa l’uso delle armi atomiche da parte della Russia. Un occhio di riguardo merita anche l’incontro tra il Presidente russo ed Erdogan previsto per il 13 ottobre in Kazakistan, al summit della Conferenza sulle misure di interazione e rafforzamento della fiducia in Asia (Cica).

Ma la diplomazia non conosce altre strade e non cambia le sue condizioni. Non bastano le aperture, le intenzioni e i buoni propositi. Le cose potrebbero risolversi nell’ennesimo nulla di fatto se perseguite con l’unico scopo di far momentaneamente tacere i cannoni. No, un accordo duraturo ha bisogno di condizioni più forti e durevoli nel tempo, le quali devono incidere anche sul futuro degli interessati. Altrimenti, come per gli accordi debolissimi di Minsk di qualche anno fa, le ostilità potrebbero riprendere da un momento all’altro. Inoltre, dato che la diplomazia è anche una questione di “tempi”, c’è da tenere in considerazione che questo preciso momento potrebbe non essere quello giusto, dato che farebbe passare un messaggio sbagliato circa l’uso della forza per legittimare mire territoriali.

L’unica certezza, per il momento, è che, come scritto mesi fa e ripetuto in uno degli ultimi post, l’elemento umano sta prendendo il sopravvento. Il rancore aumenta, i leader diventano ostaggio del loro personaggio e dei “falchi” che hanno sempre vita facile quando la violenza è al centro della contesa. In queste condizioni la soluzione negoziale si allontana sempre di più.

La questione ucraina non va trattata come qualcosa tra Mosca e Kiev. L’unica soluzione negoziale possibile deve essere simmetrica e va trattata come una questione globale, ben comprendendo i rischi globali derivanti da un’ulteriore escalation del conflitto. Va formata un’alleanza che sia il più ampia possibile.

Ora più che mai va cercato l’appoggio di Cina e India, mettendo da parte gli orgogli vari, facendo loro capire che quanto sta accadendo non conviene nemmeno a loro. In effetti, con il peggioramento della situazione economica internazionale, anche Pechino e Nuova Delhi stanno subendo delle conseguenze non da poco. Non sarà facile superare tutte le perplessità che una trattativa allargata comporta. I due Paesi in questione, soprattutto la Cina – che sulle dinamiche globali è più influente – hanno più volte mostrato irritazione, cercando di smarcarsi da un alleato scomodo. Sembra, però, che per il momento non abbiano alcuna intenzione di una de-escalation, preferendo restare alla finestra. Tocca capire quale sia il prezzo da pagare affinché Modi e Xi Jinping facciano pressione su Putin.

Dunque, da una parte l’Occidente dovrebbe cercare di ricalibrare il supporto logistico all’Ucraina, senza diminuire o toccare le sue capacità di difesa, dall’altro lato Cina e India devono fare pressione su Putin. Bisogna, inoltre, ricordare che ogni pace ha bisogno di un deterrente per il futuro.

L’azione diplomatica non può essere unilaterale. Non esistono soluzioni a basso costo o che comportano rinunce solo da un lato. Qualsiasi altra conclusione va esclusa, non è diplomazia ma qualcos’altro. Inoltre, il principale presupposto per ogni tipo di accordo, che sia di “cessate il fuoco”, una tregua o di pace, deve prevedere il ritiro delle truppe russe dal territorio ucraino.

Come si può facilmente intuire, le condizioni per raggiungere un accordo non sono semplici, anzi. Ogni presupposto è solamente un elemento teorico o ipotetico che potrebbe non trovare alcuna conferma nella realtà dei fatti. Si presuppone, ad esempio, che Cina e India abbiano la stessa intenzione dell’Occidente di evitare una escalation nucleare ma in realtà ci sono tanti modi per evitare che quelle bombe possano interessare i loro Paesi. Oppure, si da per scontato che Putin, anche in presenza di un accordo provvisto di deterrente, rinunci per sempre alle sue mire territoriali sull’Ucraina o sul suo estero vicino. Sono tutte questioni su cui sussiste una nube di incertezza difficile da far diradare. Il coinvolgimento di altri Paesi è soltanto funzionale al fatto che, nel caso in cui si intrecciassero i rapporti, Putin potrebbe trovarsi in una posizione per cui è meno libero di fare di testa propria.

Appare chiaro a questo punto che discutere di diplomazia e di pace, senza tenere conto di quanto sia difficile giungere ad un accordo, anche di breve respiro, sia un’operazione complessa non paragonabile allo sventolare in piazza delle bandiere colorate o a promuovere operazioni di partito finalizzate al solo ottenimento del consenso.

Redazione Radici

Donatello D'Andrea

Classe 1997, lucano doc (non di Lucca), ha conseguito la laurea in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali e frequenta la magistrale in Sistemi di Governo alla Sapienza di Roma. Appassionato di storia, politica e attualità, scrive articoli e cura rubriche per alcune testate italiane e internazionali.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

CAPTCHA ImageChange Image

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.