Quanto è reale la minaccia nucleare di Putin

Quanto è reale la minaccia nucleare di Putin
Fonte immagine: Kremlin.ru

di Donatello D’Andrea

Ormai siamo giunti a questo. Putin, nel suo ultimo discorso, ha inaugurato l’ennesima fase della guerra in Ucraina, sdoganando definitivamente l’uso della bomba atomica come risolutrice del conflitto.

Dall’altro lato dell’oceano, Biden ha accolto con comprensibile timore questa escalation, dichiarando al pubblico di temere l’Armageddon nucleare e avvertendo la Russia circa i rischi di un botta e risposta “non convenzionale”, in nome di una strategia che si conosce dalla Guerra fredda: la MAD, la mutua distruzione assicurata.

Quanto è reale la minaccia di Putin? Questa è la domanda che ormai ha pervaso l’opinione pubblica occidentale, dentro e fuori la bolla dell’informazione in tv e sui giornali.

La risposta più semplice è, ovviamente, un secco “non si sa”. Siamo entrati in una fase del conflitto in cui, il fattore umano sta prendendo il sopravvento, soprattutto in Russia. La minaccia atomica è una tacita ammissione, da parte di Putin, della strutturale debolezza del suo esercito e dell’incapacità di Mosca di risolverla con le armi convenzionali. Non è una prova di forza, anzi, ma di inferiorità.

Per alcuni esperti militari, la minaccia circa l’uso dell’arma atomica era nell’aria da molto tempo, da quando Putin si è reso conto di non poter riuscire a vincere la guerra. Le controffensive ucraine, la debolezza delle armate russe e loro arretramento, hanno soltanto dato modo al Presidente russo di mettere nuovamente sul tavolo la minaccia. Questo dovrebbe aiutare a comprendere che il pericolo di un’escalation, non dipende dalle azioni dei soggetti esterni – UE, USA, Cina ecc – bensì dall’andamento della guerra.

In questo momento Putin, militarmente, è stato messo con le spalle al muro. Ed è qui che sta la pericolosità della minaccia.

Dal punto di vista logico, l’uso dell’arma atomica risolverebbe poco. Non è un mezzo risolutivo se usato contro infrastrutture militari. Lo potrebbe essere – e sottolineo il condizionale – se usato contro infrastrutture strategiche come punti di rifornimento.

Dunque, l’identificazione dell’obiettivo è il primo problema. E di questo se ne deve occupare l’intelligence – cioè la stessa che ha commesso enormi errori di valutazione prima della guerra – poi c’è la decisione vera e propria circa l’utilizzo di armi nucleari. Poi, cosa voglio ottenere con questa mossa?

È probabile che Putin non miri ad unità militari in prima linea, così da permettere ai suoi di sfruttare l’apertura del fronte. I coscritti, privi di un vero addestramento militare, non sarebbero in grado di sfruttare eventuali vantaggi.

Ecco perché si pensa ad un hub di rifornimenti. Qui però sorge un problema: quale vantaggio può offrire un attacco del genere all’esercito russo? In fin dei conti nessuno.

Innanzitutto perché non esiste un solo hub di rifornimento. Di conseguenza il problema che si creerebbe all’esercito ucraino verrebbe subito mitigato. Poi, un attacco del genere non risolverebbe l’impasse militare delle armate di Mosca.

Rimarrebbe soltanto l’effetto psicologico legato all’utilizzo di un’arma non convenzionale. Ma sarebbe un autogoal. Cina e India, gli unici due Paesi semi-alleati della Russia si smarcherebbero di corsa dal gesto, l’Ucraina sarebbe ancora più decisa a proseguire la guerra – e proverebbe a colpire le basi di rifornimento russe, peggiorando la situazione logistica, già non ottimale, dell’esercito di Mosca – e l’Occidente non starebbe a guardare.

L’ottenimento di un vero vantaggio militare richiederebbe l’uso di più bombe atomiche. Ma il mondo si muoverebbe anche con l’utilizzo di un solo ordigno. Putin sa benissimo che l’utilizzo di una  bomba atomica provocherà la certa risposta di coloro di cui ha più paura, cioè gli americani. La risposta convenzionale sarà certa, ma lui non esclude nemmeno quella nucleare.

Forse questo è il più grande freno per il Presidente russo, il quale si trova con le spalle al muro e sta vagliando ogni ipotesi non per vincere la guerra ma per salvare sè stesso e la sua leadership in caso di sconfitta.

Ciò, ovviamente, non esclude che lui possa decidere di usarle ugualmente, ma dal punto di vista logico, a Putin converebbe più continuare a minacciarne l’uso, che ad adoperarle davvero. Perché nel primo caso una risposta ci sarebbe e  potrebbe sancire la sua sconfitta definitiva, nel secondo caso, invece, no.

Ma pare evidente che, in questo preciso momento, la logica non sia il “fattore dominante” nelle menti dei potenti.

Redazione Radici

 

Donatello D'Andrea

Classe 1997, lucano doc (non di Lucca), ha conseguito la laurea in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali e frequenta la magistrale in Sistemi di Governo alla Sapienza di Roma. Appassionato di storia, politica e attualità, scrive articoli e cura rubriche per alcune testate italiane e internazionali.

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