E se i bronzi di Riace fossero lentinesi?

E se i bronzi di Riace fossero lentinesi?

A cura del critico Melinda Miceli

Nel 1972 il mare di Riace restituisce alla terra i superbi corpi di due magnifici atleti, colossi bronzei. I capolavori balzano subito agli onori della cronaca come una delle scoperte più importanti del secolo. Raffiguranti due nudità maschili, uno apparentemente più giovane e l’altro più maturo, i bronzi di Riace restavano d’identita’ sconosciuta. Alcuni studiosi sostenevano che la stauta A, Tideo, potesse essere opera dello scultore greco Fidia o della sua cerchia, realizzata intorno al 60 a.C., che la statua B, Anfiarao, fosse da collegare a Policleto, realizzata perciò, verso il 30 a.C..

Le ipotesi sulle 2 statue colossali si susseguirono sino ad arrivare a sostenere una loro provenienza greca come bottino riportato a seguito della conquista romana. Nel 1999 per i Bronzi di Riace appare  una nuova rilettura dello storico dell’arte Paolo Moreno che ha rivisto il ruolo del bronzista Agelada di Argo, e Alcmene di Lemmo, maestro di Mirone e di Fidia; il bronzo denominato A mostra notevoli somiglianze con l’Atlante di una metopa del tempio di Olimpia, realizzata pare da Alcamene. Secondo lo storico il cosiddetto bronzo B sarebbe Anfiarao, indovino del re Adrasto, costretto secondo la leggenda, a partecipare alla spedizione dei sette a Tebe.

Secondo l’archeologo lentinese Salvatore Ciancio, uno degli scopritori in assoluto dell’antica Leontinoi, c’è un nesso tra la città di Leontinoi e i celebri Bronzi di Riace, soprattutto se si tiene conto della figura e delle opere di Pitagora Leontino.

Dal Pisano Baudo apprendiamo: “il famoso statuario dalla cui rinomanza menarono vanto gli antichi sia stato Pitagora Leontino e non Pitagora di Reggio della Magna Grecia è una questione ormai risolta; un fatto pienamente accertato. E ci reca somma mereviglia come mai la Nuova Enciclopedia Italiana Popolare abbia potuto attribuire a Pitagora di Reggio le opere e i meriti del nostro Pitagora.”.

Il Pisano Baudo che tanto ispirò lo stesso Ciancio, così definisce il Pitagora Leontino: “Fu egli perciò il rappresentante principale di quella scuola di sviluppo nella statuaria, che precedette le scuole di arte perfetta stabilite in Atene ed in Argo da Fidia e Policleto.”. Era quindi già polemica sulla questione prima ancora che, a distanza di un secolo dall’uscita degli scritti dell’illustre canonico lentinese, Sebastiano Pisano Baudo, un subacqueo romano, Stefano Mariottini, scoprisse nell’agosto del 1972, nel mare che fu delle due Sicilie, all’altezza di Riace, i due statuari corpi. Ancora a proposito di Pitagora Leontino, Plinio il Vecchio offriva alla storia: “L’avere primo fra tutti sapere condurre ad una notevole finezza i metalli e i marmi, rilevando nella statua i nervi, le vene ed imitando al naturale i capelli.”.

Il Ciancio è sulle stesse posizioni di Pisano Baudo il quale, però, a prescindere dall’apparizione dei Bronzi, aveva in precedenza già cantato le lodi dell’impareggiabile arte bronzea del Pitagora Leontino, fiorita nel V° sec. a.C. A Lentini, in Sicilia, nella Grecia e nella Magna Grecia. Il passo di Plinio, in effetti, circa il primato tecnico e artistico del Pitagora Leontino nei confronti degli altri due Pitagora non ammette equivoci di sorta. L’intuizione del Ciancio parte anche e soprattutto dal fatto che nel V° sec. a.C. Leontinoi era una grande, ricca e colta polis greca.

Oltre ad avere, una scuola bronzea, aveva anche una scuola di retorica e un’altra ancore di medicina, guidate, queste ultime, rispettivamente da Gorgia e da Erodico che Platone ricordò dettagliatamente nel suo “Gorgia”. Ecco perchè il Ciancio rileva, che la perfezione anatomica e le proporzioni fisiche, Pitagora Leontino avrebbe potuto apprenderle presso la scuola del medico leontino Erodico, la cui medicina era applicata alla salute e all’anatomia degli atleti.

La nave greca che trasportava i Bronzi non raggiunse mai il porto di Atene. Se navigò dal porto di Leontinoi, raggiunse la zona dell’odierna Riace Marina dopo una notte e un giorno di viaggio. Tanto impiegava una nave oneraria per coprire tale tragitto.

Il  fascino dei bronzi sopravvisuto ai secoli, custodito dal mare è tutt’ora alimentato dal mistero dell’ identificazione e dalle leggende. Tutto cio’ li rende un frammento di uno dei puzzle più affascinanti e complessi con cui la storia si sia mai confrontata.

Redazione

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