L’ora più buia

L’ora più buia
Fonte immagine: Kremlin.ru

di Donatello D’Andrea

Venerdì sera Vladimir Putin ha tenuto un discorso in cui ha annunciato l’annessione di quattro regioni ucraine: Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson.

Le sue parole, pronunciate davanti a una platea ricca di personalità di spicco del regime, hanno raggiunto un nuovo apice di violenza verbale contro l’Occidente, sdoganando definitivamente la minaccia nucleare.

Oltre ai soliti riferimenti storici, tra cui spiccano il richiamo al 1945, anno in cui gli USA avrebbero creato un “precedente” circa l’uso della bomba atomica e al bombardamento di Dresda, Putin ha ovviamente, parlato dei referendum “farsa”che secondo lui certificano la volontà delle quattro regioni di entrare a far parte della Russia.

Le parole del Presidente sono, a questo proposito, chiare e decise. La loro scelta è stata «definitiva» e «sono diventati nostri cittadini per sempre». E ha poi aggiunto che la Russia userà “ogni mezzo” per difenderle.

L’Occidente ha risposto con evidente preoccupazione alle parole del Presidente russo, ritenendo che il conflitto abbia raggiunto una nuova fase, in cui i margini di negoziazione si siano ridotti al minimo. Zelenskyy ha ribadito come non sia intenzionato a cedere le regioni, peraltro controllate dall’esercito ucraino, mentre la Nato e l’Ue hanno affermato di non riconoscere quanto accaduto con i referendum.

Dal canto suo, il Presidente ucraino ha anche fatto domanda formale di entrare nella Nato, un gesto simbolico e a cui l’organizzazione non darà seguito, sia per limiti “normativi” – non si possono accettare Paesi con conflitti in corso – sia perché il rischio è troppo alto, si arriverebbe in brevissimo tempo a un’escalation mondiale del conflitto.

Nel suo discorso Putin si è appellato ai Paesi del Sud del mondo, con il fine di coinvolgerli nella sua missione di ridisegnare la geografia politica mondiale. Riprende qui la litania del Nuovo Ordine, non più a trazione occidentale ma “orientale”, che vede la Russia come leader di quei Paesi che cercano un riscatto. Una cosa fuori dalla realtà, non solo per l’esagerata ambizione della Russia, ma soprattutto per il ridimensionamento del suo potere avvenuto in seguito ai magri risultati della guerra. Mosca non ha più nè la forza militare nè quella economica per trainare un progetto così politicamente ampio e ambizioso. I suoi margini di influenza si stanno riducendo anche dall’altro lato degli Urali, con la Cina a farla da padrone a cui Putin si legherà sempre di più per non restare isolato diplomaticamente.

Putin ha, inoltre, usato argomenti cari alla destra ultra-conservatrice (gender, genitore 1 e 2) e ha accusato gli Stati Uniti di aver sabotato i gasdotti Nord Stream.

Con il suo discorso, in definitiva, Putin si mette volontariamente all’angolo sconfessando ogni ipotesi occidentale sul favorire una exit strategy per lui e per la Russia, ha chiuso irrimediabilmente ogni tentativo di risoluzione diplomatica, annettendo unilateralmente delle regioni che non gli appartengono – e solo dopo, conscio dell’impossibilità di dar seguito alla sua richiesta, ha aperto un canale fittizio di discussione con la controparte – e, infine, ha mandato un messaggio interno ai suoi detrattori, precludendogli, attraverso le accuse sul Nord Stream e sulle minacce atomiche, ogni possibilità di scendere a patti con europei e americani.

Ma ciò che conta di più è l’aver riportato definitivamente in auge l’ipotesi dell’uso delle armi nucleari.

Per questi motivi, le sue parole scandiscono una nuova fase del conflitto. L’ora più buia.

Redazione Radici

Donatello D'Andrea

Classe 1997, lucano doc (non di Lucca), ha conseguito la laurea in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali e frequenta la magistrale in Sistemi di Governo alla Sapienza di Roma. Appassionato di storia, politica e attualità, scrive articoli e cura rubriche per alcune testate italiane e internazionali.

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