Le piste di atterraggio segrete sulle rotte dell’oro in Brasile

Le piste di atterraggio segrete sulle rotte dell’oro in Brasile
© MAURO PIMENTEL / AFP - Amazzonia, deforestazione

Sono quelle che ha scoperto un team di giornalisti del New York Times: 1.269 piste d’atterraggio in tutta la foresta pluviale dell’Amazzonia brasiliana, molte delle quali fanno parte di reti criminali che stanno distruggendo le terre indigene e minacciando la loro popolazione

Con una lunga inchiesta di un pool investigativo a otto mani, corredata di un ampio servizio fotografico, disegni grafici e piantina, il New York Times documenta che sono “centinaia le piste d’atterraggio segretamente costruite su terre protette in Brasile per alimentare l’industria mineraria illegale di oro”. Sessantuno di queste miniere si trovano solo nel territorio indigeno protetto dello Yanomami.

Sempre il Times ha anche identificato 1.269 piste d’atterraggio in tutta la foresta pluviale dell’Amazzonia brasiliana, molte delle quali fanno parte di reti criminali che stanno distruggendo le terre indigene e minacciando la loro popolazione. La fiorente industria illecita “è cresciuta sotto il presidente brasiliano Jair Bolsonaro”, accusa il quotidiano.

La principale pista d’atterraggio fotografata nel servizio da un’altezza di 2.500 piedi, secondo il NYT è di proprietà del governo brasiliano, “ma i minatori illegali l’hanno sequestrata, utilizzando piccoli aerei per trasportare attrezzature e carburante in aree dove le strade non esistono”.

Secondo il quotidiano americano la tipica operazione di estrazione illegale dell’oro funziona in questo modo: “Gli aerei atterrano su una pista d’atterraggio illegale con carburante, cibo, rifornimenti e lavoratori mentre piccoli veicoli fuoristrada portano rifornimenti all’accampamento minerario”. Infine, “le pompe sparano acqua nel fango per scioglierlo. Altre pompe aspirano il fango dal letto del fiume per essere separato dall’oro”.

Osservano i reporter del quotidiano (Manuela Andreoni, Blacki Migliozzi, Pablo Robles e Denise Lu) che “da quando è entrato in carica nel 2019, Bolsonaro ha sostenuto le industrie che guidano la distruzione della foresta pluviale, portando a livelli record la deforestazione. Ha allentato le normative per espandere il disboscamento e l’estrazione mineraria in Amazzonia e ridotto le protezioni.

Ha anche ridotto i fondi federali e il personale, indebolendo le agenzie che applicano le leggi indigene e ambientali” e “sostenuto la legalizzazione dell’attività mineraria sulla terra indigena”. Tant’è che “solo sulla terra degli Yanomami – circa 37.500 miglia quadrate, più o meno le dimensioni del Portogallo – le forze dell’ordine stimano che 30.000 minatori lavorino illegalmente in un territorio protetto dal governo”.

Documenta ancora il giornale: “Molte delle 1.269 piste di atterraggio non registrate identificate dal New York Times hanno consentito agli aerei di atterrare in aree ricche di oro e minerale di stagno che altrimenti sarebbero quasi impossibili da raggiungere a causa della fitta foresta pluviale e del terreno collinare. Sebbene il ruolo del traffico aereo nelle attività minerarie illegali sia stato ben documentato, il Times ha anche esaminato migliaia di immagini satellitari risalenti al 2016 per verificare ciascuna pista di atterraggio e compilare il quadro più completo mai realizzato della scala dell’industria illegale.

L’analisi del Times ha pertanto potuto rilevare che “almeno 362 – più di un quarto – delle piste di atterraggio si trovano entro 12 miglia dalle aree minerarie del gatto selvatico, una forma di estrazione mineraria fortemente dipendente dal mercurio altamente tossico” e che “circa il 60 percento di queste piste di atterraggio si trova su terre indigene e protette dove è vietata qualsiasi forma di estrazione mineraria”.

Non solo, “dal 2010 al 2020, l’estrazione illegale nelle terre indigene è cresciuta di quasi il 500 per cento e nelle terre protette del 300 percento”, secondo un’analisi di Mapbioamas, un collettivo brasiliano di organizzazioni senza scopo di lucro e di istituzioni accademiche incentrate sul clima. “Con una popolazione di quasi 40.000 abitanti, gli Yanomami, la cui terra si trova a cavallo tra Brasile e Venezuela, è il più grande gruppo indigeno che vive in relativo isolamento in Amazzonia. Un recente studio di Hutukara, un’organizzazione no-profit yanomami, ha stimato che piu’ della meta’ delle persone che vivono nel territorio yanomami brasiliano “sono rimaste ferite dall’attivita’ mineraria illegale”, si legge ancora nell’articolo.

Quanto all’inchiesta, i giornalisti scrivono di aver raccolto le potenziali posizioni delle piste illegali d’atterraggio collaborando con i Rainforest Investigations Network, un progetto d’inchiesta istituito dal Pulizer Center. Sotto Bolsonaro, conclude il quotidiano, “le politiche di protezione territoriale sono state indebolite da un’amministrazione che secondo i critici ha dato la priorità allo sviluppo economico non regolamentato rispetto alle questioni ambientali e indigene”.

AGI

Redazione Radici

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