Svetlana Gannushkina e la Russia che non vuole la guerra

Svetlana Gannushkina e la Russia che non vuole la guerra
© Artur Widak / NurPhoto / NurPhoto via AFP - Svetlana Gannushkina

Da veterana dei diritti umani in Russia, l’ex professoressa di matematica, candidata in passato al premio Nobel non vuol sentir parlare di indifferenza del suo popolo e racconta degli aiuti che vengono raccolti per il popolo ucraino

“L’inaspettata ondata di solidarietà in corso in Russia nei confronti dei profughi ucraini è una vera e propria forma di protesta della società contro la guerra”. Parla per esperienza diretta la veterana dei diritti umani russa, Svetlana Gannushkina, già candidata al Nobel per la Pace e da oltre 30 anni in prima linea nell’assistenza a migranti e rifugiati di ogni guerra in Russia.

A capo del Centro per i diritti umani dell’associazione Memorial e il Comitato di assistenza civica (Cac), entrambi bollati dalle autorità come “agente straniero”, questa ex professoressa di matematica non vuol sentir parlare di “indifferenza” dei russi verso il conflitto: “Può essere che tanti appoggino la guerra, ma l’empatia per i profughi è molto alta, riceviamo denaro, soldi, vestiti, medicine”, racconta in un’intervista all’AGI nella sua casa sul Buolevard Pokrovsky a Mosca.

La solidarietà dei Russi

Da febbraio ci sono arrivate sei milioni di offerte, con cifre che vanno da pochi rubli fino anche a 200 mila (3.100 euro), è un fenomeno che non avevamo mai registrato per altre emergenze e si spiega col fatto che gli ucraini sono un popolo percepito come vicino e perchè la gente è contraria a questa guerra, ma ha paura di dirlo apertamente”.

La campagna di repressione intensificata dopo l’invasione russa dell’Ucraina, il 24 febbraio, ha decimato le voci di chi in Russia osa esprimersi pubblicamente contro la guerra. Gannushkina è rimasta una di loro.

Da molti considerata l’ultima autorità morale ancora in patria, l’attivista è stata fermata dalla polizia il 6 marzo, nel giorno del suo ottantesimo compleanno, mentre partecipava a una protesta pacifista a Mosca.

Ex professoressa di matematica, negli Anni ’90 ha visto coi suoi occhi conflitti come quello del Nagorno-Karabakh e le due guerre cecene e per il suo impegno ha ricevuto minacce e perquisizioni di ogni genere.

La deportazione che non c’è

Oggi rifiuta di usare anche un’altra parola inflazionata in questa crisi: “deportazione”. “Da febbraio, racconta, “sono quasi 400 mila gli ucraini che solo a Mosca si sono rivolti al Comitato assistenza civica“, racconta, “arrivano da tutto il Paese non solo dal Donbass, in modo indipendente o con i canali del governo russo, ma tra questi non ho mai incontrato un caso di violenza fisica. Certo, ci sono spesso minacce psicologiche, il più delle volte non vi è alternativa, ma c’è anche chi vuole venire qui perchè si identifica con il mondo russo o perché sono sotto l’influenza della nostra propaganda che prefigura loro una vita di benessere una volta qui”.

Non è deportazione anche perché si tratta di persone libere di tornare in Ucraina e anche di trasferirsi in altre regioni russe”, spiega l’attivista che denuncia però un “problema terribile” con gli aiuti economici promessi dalla Russia: “Ogni ucraino dovrebbe ricevere 10 mila rubli una tantum, ma il processo è estremamente lento e in cinque mesi ho visto solo due persone ottenere quei soldi”.

Il Comitato assistenza civica, fino a poco fa, riusciva a dare 5 mila rubli ciascuno, ma il flusso migratorio è così massiccio che ha dovuto limitare gli aiuti solo a invalidi e famiglie numerose.

“In Russia, al di là dello status che riceve un migrante, non è previsto un regolare sostegno economico nè un alloggio”, spiega Gannushkina.

Sulle numerose chat create dalle migliaia di volontari che in modo spontaneo stanno cercando di aiutare gli ucraini, proprio i ritardi nei pagamenti degli aiuti e l’impossibilità di cambiare in rubli i propri risparmi in grivne sono i temi più dibattuti.

L’odissea dei migranti verso la Russia prevede diverse tappe di cui la più insidiosa è forse la fase di ‘filtrazionè, che avviene sia nelle zone occupate dai russi in Donbass, che al confine.

Dove succedono “cose incomprensibili”

Gannushkina denuncia che nei ‘punti di filtrazionè subito oltre frontiera, in territorio russo, “succedono cose incomprensibili”.

“Sembra che lì ogni funzionario di turno si comporti come vuole: alcuni ucraini raccontano che passano i controlli in 15-20 minuti, altri invece vengono interrogati fino a sei ore e picchiati, gli agenti dell’Fsb cercano i segni delle armi sul corpo e chiedono le posizioni delle truppe nemiche; le donne spesso lamentano di sentirsi in pericolo tra armi e battute oscene”.

Qui una persona può letteralmente scomparire. “Se vogliono trattenere qualcuno lo accusano di ‘espressioni non autorizzate’, banalmente di insulti alle forze di sicurezza”, chiarisce l’attivista. “È un classico che si usava anche con i ceceni: ti trattengono per cinque giorni, poi esci e appena metti il piede fuori dalla cella ti accusano di nuovo della stessa cosa, a Krasnodarsky Krai un uomo è stato accusato sei volte di seguito e si è fatto un totale di quasi due mesi di detenzione”.

C’è poi chi viene accusato di aver preso parte ai combattimenti in prima persona ed è un reato penale, aggiunge Gannushkina, notando però che in questo caso si dovrebbe trattare di prigionieri di guerra: non solo però non risulti protetto dalla Convenzione di Ginevra ma finisci diretto “in isolamento in strutture dove nessun avvocato acconsente ad entrare”.

Gannushkina ha incontrato il presidente Vladimir Putin sei volte in tutta la sua vita: “Sa capire bene lo stato d’animo del suo interlocutore e fargli credere che ascolterà le sue richieste ma poi in realtà non farà nulla”, ricorda l’attivista che invita a non credere alle dichiarazioni e promesse che arrivano dal Cremlino.

L’unico obiettivo di Putin è ricreare l’Urss e non si rende conto che lui e non noi agenti stranieri sta distruggendo la Russia come stato moderno. A un Paese servono diversi centri di potere, una società civile sviluppata, che sia non sia per forza un’opposizione ma un interlocutore per lo Stato”, conclude l’attivista sorseggiando l’ultima tazza di tè.

AGI

Redazione Radici

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