Ha vinto il populismo contro il popolo e senza responsabilità

Ha vinto il populismo contro il popolo e senza responsabilità

Markus Krienke

Inutile chiedersi se senza la guerra in Ucraina, Draghi sarebbe rimasto Presidente del Consiglio. Probabilmente sì. Anche se le tensioni tra i partiti e all’interno degli stessi erano visibili già durante l’elezione del Presidente della Repubblica a gennaio. Nessuno, però, si sarebbe aspettato un precipitarsi della situazione in così poco tempo, con i tre leader populisti dentro il governo come protagonisti: Conte, Salvini e Berlusconi. Il populismo che ha vino alle urne nel 2018 ma nel frattempo ha perso buona parte dei consensi nella popolazione e da Draghi rischiava a essere fagocitato, con lo sguardo fisso a Mosca e con il fianco forte dei Fratelli d’Italia ha decretato la fine di un governo certamente tecnico, ma comunque con il sostegno del popolo (anche se i sondaggi registravano ultimamente un continuo calo di approvazione).

Draghi con la consapevolezza di non essere democraticamente eletto, ha voluto esercitare la sua responsabilità di fronte al popolo italiano basando il suo governo e le decisioni di importanza epocale per l’Italia sul consenso più ampio possibile delle forze politiche nel parlamento. Ed era proprio questo meccanismo che non ha funzionato. E ciò proprio per la mancanza di qualità delle forze politiche in parlamento, prive del senso di responsabilità: come si è dimostrato in modo chiaro ed inequivocabile nel lasciare l’aula al momento del voto di fiducia.

Mai come in questo momento, forse, vediamo alla luce del giorno l’abisso tra il sovrano, cioè il popolo, e la rappresentanza politica. «A chiederlo sono soprattutto gli italiani» (Draghi): non la caduta del governo certamente ma la stabilità, un lavoro concertato delle forze politiche per portare avanti le riforme necessarie del Paese e per garantirgli in questo modo un futuro. In altre parole, la realizzazione del Pnrr di cui Draghi stesso finora è stato il garante. Almeno fino all’anno prossimo, almeno in mesi decisivi come questi. Per una volta, infatti, «a chiederlo» non era soprattutto l’Europa ma gli italiani. Gli italiani, lo dimostrano i numeri, vogliono uscire dalle logiche populiste e assumersi le responsabilità di uno dei Paesi più importanti dell’UE. È la classe politica che si è dimostrata incapace a realizzare queste indicazioni con responsabilità e lungimiranza. Di Maio, Gelmini, Renzi e altri hanno compreso senz’altro questa esigenza: potranno essere loro i volti di una nuova politica?

Il rigassificatore (Piombino), il termovalorizzatore (Roma), le liberalizzazioni (spiagge e taxisti), non sono temi di destra o sinistra ma di un Paese che vuole modernizzarsi o no, e sa comprendere le vere priorità nazionali in un contesto internazionale in rapido cambiamento. Inoltre, non è solo la questione energetica lunga la quale bisogna oggi garantire l’autonomia del Paese, ma è anche la sostenibilità delle finanze, che con oltre 150% del debito pubblico e l’innalzamento di interessi internazionali (a partire dalla BCS) e spread, sarà una grande sfida per il prossimo governo.

Molte, quindi, le incognite. I numeri certamente stanno da parte dei Fratelli d’Italia di Meloni che nell’ultimo periodo non si è più posizionata contro l’Europa e l’Euro. Ma come abbiamo visto proprio ieri, nei populismi il passato può riemergere con la velocità della luce. Il populismo è tutt’altro che morto, anzi, ha trasformato l’Italia in una post-democrazia. E ciò non è una buona notizia per l’Italia, e tanto meno per l’Europa.

Redazione Radici

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