L’Italia ha bisogno di recuperare la sua centralità strategica

L’Italia ha bisogno di recuperare la sua centralità strategica
Fonte immagine: Wikimedia Commons/Twitter

di Donatello D’Andrea

Ci sono stati anni in cui la cura dell’interesse nazionale fuori dai confini contava realmente qualcosa per l’Italia. Da diverso tempo, però, complici governi che hanno trasformato la politica estera in un vezzo o un fastidio e un’opinione pubblica sempre più a digiuno nei confronti di ciò che accadeva fuori dall’uscio della porta di casa, la cura del suddetto interesse è passata in secondo piano. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: l’Italia ha perso (o sta perdendo) la sua centralità strategica e, di riflesso, la sua influenza sulla scena politica mondiale.

Prima, però, di concentrarsi sui modi attraverso cui Roma potrebbe ovviare, o cercare di arginare, questo fondamentale problema sarebbe opportuno dotarsi di una cartina geografica e comprendere quanto davvero conti l’Italia nei confronti del suo estero vicino e del mondo.

La prima domanda, dunque, è: “quanto conta l’Italia da un punto di vista strategico e geopolitico?“. In realtà, il Belpaese è uno stato che possiede un’incredibile importanza strategica nello scacchiere internazionale.

cartina geografica Mediterraneo
Come si può facilmente notare, l’Italia si trova perfettamente al centro del Mar Mediterraneo. Da questa posizione derivano oneri e opportunità importanti.

Rispolverando la semplice geografia di base, è possibile notare che l’Italia occupa una posizione di per sé strategica perché si trova perfettamente al centro del Mar Mediterraneo. Questo è un mare fondamentale perché collega, attraverso gli stretti di Suez e di Gibilterra, l’Oceano Atlantico con gli oceani Pacifico e Indiano. E considerando che quasi il 90% delle merci mondiali circola per mare, è possibile comprendere quanto il nostro Paese sia geograficamente importante.

Una volta giunte a Suez, le merci per procedere verso Gibilterra, devono attraversare obbligatoriamente lo stretto di Sicilia, quella porzione di mare che separa l’Italia dalla Tunisia. Si tratta di una responsabilità importante, la quale avrebbe dovuto ritagliarci un ruolo di primo piano nella distribuzione delle merci verso l’Europa centrale e settentrionale delle merci che arrivano dall’Africa e soprattutto dall’Asia. Seppur l’Italia possieda dei porti importanti per lo smercio di volumi, in realtà le strutture non risultano essere adeguate al ruolo che ci compete.

Lo stretto di Sicilia è un crocevia fondamentale del Mediterraneo.

L’Italia, però, non deve fronteggiare soltanto l’inadeguatezza delle proprie strutture portuali ma anche dei problemi di ordine squisitamente politico. Negli ultimi anni il Mediterraneo è diventato un mare profondamente instabile a causa di diversi stati che stanno attuando una politica molto aggressiva. Uno di questi lo si conosce molto bene, la Turchia di Erdogan. Ma non è l’unico. Ad esempio, l’Algeria, da cui l’Italia sta acquistando grandi quantitativi di gas in questo periodo, per ovviare alla dipendenza energetica dalla Russia, ha proclamato una sua ZEE (Zona economica esclusiva, cioè una zona di acque internazionali che un Paese si assegna in modo tale da sfruttarla in modo esclusivo) che arriva quasi fino alle coste della Sardegna. Nel frattempo, Russia e Turchia si confrontano e penetrano sempre all’interno della caotica Libia, erodendo la decennale influenza italiana sulla politica locale e generando, al contempo, una grande instabilità interna.

Si può facilmente comprendere che i dossier aperti sono molteplici e il fatto che l’Italia li stia ignorando rappresenta un problema molto grave e che potrebbe compromettere l’influenza del Belpaese nei confronti del suo estero vicino.

Anche sul fronte europeo le cose non vanno benissimo. L’UE, di cui l’Italia è uno dei 6 membri fondatori, non è soltanto un’istituzione sovranazionale economica ma è anche un catalizzatore dei rapporti con le altre potenze europee, su tutte Francia e Germania. Per quanto l’Italia venga, però, bistrattata dagli intransigenti “falchi rigoristi” del Nord Europa per la sua tendenza a spendere molto e male, un’eventuale fallimento economico italiano avrebbe come conseguenza il fallimento dell’intera area economica europea e importanti – se non decisive – ricadute sulle economie degli altri Paesi europei. Basti ricordare che Roma rappresenta la terza economia del continente e la seconda manifattura europea. Non si tratta di un Paese qualsiasi.

Per questo motivo, l’Italia dovrebbe imparare a sfruttare il suo importante ruolo all’interno del consesso europeo, in nome del suo annuale – e storico – contributo alla crescita dell’Unione Europea e dell’Eurozona. Un cambio di approccio, inoltre, non sarebbe una cattiva idea. L’Italia considera l’integrazione comunitaria come un obiettivo, mentre Francia e Germania come un mezzo per perseguire i loro interessi (economici i tedeschi, politici e militari i francesi). Adottare il pensiero della seconda scuola, quella franco-tedesca, per rafforzare il proprio ruolo strategico aiuterebbe il Belpaese a migliorare la sua posizione, portando sul tavolo le tematiche che ritiene fondamentali (come l’immigrazione).

Il “terzo fronte” a cui l’Italia prende parte è quello atlantico, cioè quello che fa capo alla NATO. Dalla fine della Seconda guerra mondiale fino al crollo del muro di Berlino, gli Stati Uniti e l’Alleanza Atlantica hanno prestato molta attenzione all’Italia per due motivi. Il primo è sicuramente quello geografico, dato che Roma si trovava al confine di quella che Winston Churchill definì a Fulton come “la cortina di ferro“, cioè la linea di confine che divise l’Europa in due zone separate di influenza politica (americana ad Ovest e sovietica ad Est). Di conseguenza, l’Italia era un crocevia di spie e di interessi divergenti di Washington e di Mosca. Il secondo motivo è, invece, legato alla presenza del più grande Partito Comunista d’Europa.

Per evitare che l’Italia passasse sotto l’influenza sovietica gli americani hanno esercitato una pesante influenza sui governi italiani, e sulla classe politica in generale, tollerando anche le iniziative geopolitiche di Roma nel Mediterraneo, come, ad esempio, quelle dell’ENI in Nord Africa, il neo-atlantismo e le politiche “arabe” dei vari governi democristiani-socialisti.

Dopo il 1989, l’Italia ha perso la sua centralità strategica agli occhi degli americani, i quali hanno preferito concentrarsi su altri obiettivi molto lontani dal Mediterraneo. Contemporaneamente, l’ascesa della Cina e il progressivo accrescimento dell’importanza economica e strategica dell’Asia hanno spinto Washington a preferire l’Oceano Indiano al mare nostrum. Per recuperare importanza agli occhi degli yankee, i vari governi, tra la fine degli anni ’90 e i primi Duemila, hanno seguito gli USA in guerre che per gli italiani erano assolutamente inutili dal punto di vista strategico.

Con le invasioni russe dell’Ucraina (2014 e 2022), gli americani si sono concentrati sull’Europa Orientale, sfruttando il diffuso sentimento anti-russo e quella perenne sensazione di minaccia che alcuni Paesi dell’Est provano nei confronti della Russia. Ciò ha spinto stati come Polonia, Romania e Ucraina, ad aderire alla causa occidentale e ad entrare sotto l’ombrello protettivo americano e atlantico. Dal canto suo, l’Europa occidentale, dopo incoraggianti ma timidi tentativi di smarcarsi dalle scelte statunitensi in nome di un’autonomia strategica, è tornata sui suoi passi.

L’Italia, comunque, è fuori dal centro nevralgico dell’Alleanza, vessata dall’aggressività turca e dall’ambizione algerina, incapace e senza gli strumenti per affermare la sua centralità nel Mediterraneo. Cosa fare, allora?

Innanzitutto servirebbe che la politica tornasse a parlare di politica estera con cognizione di causa, tralasciando la propaganda e abbandonando il qualunquismo dilagante quando si affrontano temi così complessi. Inoltre, sarebbe utile e necessario educare – e non solo informare, dato che mancano gli strumenti – gli elettori a considerare anche ciò che accade fuori dal proprio giardino, non limitandosi a considerare cause ed effetti di quanto accade fuori dai confini come qualcosa di ininfluente per il futuro della nazione.

Dal punto di vista strettamente politico, una classe politica che si rispetti dovrebbe innanzitutto adottare una legge che dichiari una ZEE per far sentire la sua presenza nel Mediterraneo. Alcuni obietterebbero che ciò potrebbe pregiudicare i rapporti con il nostro nuovo fornitore di gas, l’Algeria, ma anche in questo caso è possibile notare la scarsa lungimiranza e l’incuria attraverso cui la politica ha curato gli interessi strategici. Giungere a un compromesso (il gas per la ZEE) potrebbe essere rischioso perché l’Italia metterebbe in gioco una porzione di mare importante per i propri propositi strategici fondamentali.

Inoltre, ci sarebbe la questione dei cavi sottomarini. Nello stretto di Sicilia passano i cavi che portano Internet in tutta l’Europa. L’Italia potrebbe chiedere agli alleati maggiore attenzione verso il Mediterraneo e acquisire così maggiore prestigio e considerazione.

Infine, c’è la questione europea. L’Italia ha bisogno di costruire alleanze e non distruggere. In sostanza ha bisogno di un quadro di alleanze a livello europeo. In questo caso, il Belpaese con l’ausilio della Francia (a cui Roma si è legata grazie al Trattato del Quirinale) potrebbe cercare di incidere maggiormente sulle dinamiche europee costringendo una Germania politicamente più debole ad accettare politiche economiche meno orientate all’austerity e più espansive.

L’Italia ha di fronte immense difficoltà da affrontare per tornare nell’alveo delle medie e grandi potenze. Le opportunità, però, non mancano. Forse manca quella politica – e quella classe dirigente – coraggiosa e lungimirante in grado di fare delle scelte e prendere delle decisioni.

Redazione Radici

Donatello D'Andrea

Classe 1997, lucano doc (non di Lucca), ha conseguito la laurea in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali e frequenta la magistrale in Sistemi di Governo alla Sapienza di Roma. Appassionato di storia, politica e attualità, scrive articoli e cura rubriche per alcune testate italiane e internazionali.

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