Noni e Antonio (San Nicolás)

Noni e Antonio (San Nicolás)

Quando si abbandona la propria terra, il significato stesso del mondo e di sé stessi si spezza; questa nostalgia, che molte volte sembra quasi pazzia, pare alleviata solamente dall’amicizia e dalla solidarietà che supera patrie e frontiere.
Con leggerezza e sensibilità, Marta Susana Ruffini de Petri di San Nicolás mi racconta la storia di Noni e Antonio, arrivati in Argentina senza famiglia e morti senza discendenti.: la testimonianza mi è stata trasmessa il 4 marzo 2003.

“In quale cielo, in quale aroma si persero la lingua e i gesti di altre terre? Nessuno sa il perché della loro venuta fin qua, in questa recondita terra, che è l´America”.
È così che lo scrittore Mario Benedetti si rivolge ai tanti stranieri che vennero in questa terra, di cui molti furono per tante città i primi colonizzatori. Erano uomini pacati, tranquilli, silenziosi, audaci, intrepidi… quante volte, guardando quelle vecchie foto, posiamo lo sguardo su quelle immagini sfocate, che ritraggono quegli uomini con i loro abiti scuri, e gli occhi pieni di speranza.
Alcuni di loro si integrarono al punto da fondare istituzioni culturali o sportive, altri preferirono lavorare nell’anonimato; molti tirarono avanti, combatterono per poter sopravvivere e formare una famiglia; altri non ci riuscirono, strinsero sì i denti, ma avendo sempre nel cuore la terra natale, come una ferita aperta che non si sarebbe più richiusa.
Tra i tanti immigranti che ho conosciuto nel mio paese, ne ricordo due con commozione: Noni e Antonio.
Noni era fabbro; da piccola mi piaceva fermarmi davanti al suo portone ad osservare le scintille che accendevano il grigio del suo grembiule e dei suoi attrezzi: l’officina era proprio a fianco del cortile della casa della mia amica Toti e così molte volte mi fermavo a guardarlo mentre saldava. Mi piaceva l’odore che emanavano i vomeri e i dischi dell’aratro. Noni viveva da solo in una piccola stanza dietro al negozio. Era un chiacchierone, parlava in puro stile maccheronico, mescolando con ingegno e fantasia l’italiano, il creolo e il gergo argentino. Era tifoso del Boca Juniors e aveva fatto suoi molti gesti propri del linguaggio corporale argentino. Eravamo tutti consapevoli della sua passione per la musica e a volte lo si sentiva cantare, mentre lavorava l’acciaio sul fuoco. Io non conoscevo Puccini, lui invece sì e sapeva tutte le sue opere; titoli, autori ed altri particolari divennero ancor più importanti quando si comprò una specie di grammofono che esponeva orgoglioso nel suo negozio.
Il posto era frequentato da amici, in maggioranza contadini che aiutavano a preparare il mate mentre si parlava dei risultati del raccolto o di qualche nuovo arnese sul mercato.
Uno di quelli che più frequentava l’officina era un certo don Cortina; lui diceva che aveva novant’anni, ma mia madre faceva due conti e diceva che ne aveva molti di più. Era creolo, e le maestre della scuola elementare lo avevano invitato a raccontare la sua storia, come testimone e combattente in Paraguay.
Questo era uno degli argomenti favoriti di Noni, che, mentre smartellava il ferro, ricordava il suo arruolamento nel Batallón San Nicolás, le peripezie di Mitre e la resistenza dei paraguayani. Quando penso a queste storie, penso all’integrazione, all’amicizia di due persone che si appoggiavano e si sostenevano: parlavano della campagna dell’esercito in una guerra assurda, considerata alla stregua di Tosca o Madame Butterfly.
Quando si abbandona la propria terra, il significato stesso del mondo e di sé stessi si spezza; questa nostalgia, che molte volte sembra quasi pazzia, pare alleviata solamente dall’amicizia e dalla solidarietà che supera patrie e frontiere.
Fin da piccola conoscevo anche Antonio, lo vedevo passare e potevo osservarlo: andava sempre da solo, era un tipo silenzioso, pensoso; non si sarebbe detto che era un uomo cattivo, da temere, anche se gli anziani avvisavano: Meglio stare attenti con quello, non si sa mai come potrebbe reagire in qualsiasi momento.
Tale consiglio aumentava in me ancor più la curiosità. Quando parlava, si sentiva chiaramente la sua cadenza italiana, anche per il fatto che era un tipo solitario e non parlava molto con la gente. Viveva in una piccola casa, un po’ fuori dal paese, vicino alla ferrovia: era la tipica casa di un uomo solo, lontana dal resto, con pochi alberi….forse per sicurezza, pensavo da piccola.
Lì, nella sua casa, si rinchiudeva tutte le sere al tramonto. A volte lo contattavano per fare qualche lavoro in campagna, comunque sempre cose sporadiche; i camionisti come mio padre, lo chiamavano per il carico e lo scarico di merci, altri per lavori di aiuto muratore; aveva preso parte anche ai lavori di pavimentazione del Percorso 188.
Aveva un aspetto pacato, calmo, ma qualche vicino affermava che lo aveva sentito gridare durante la notte ed era in quei momenti che entrava in gioco la sua lingua natale, con impeto, fino al punto da maledire tutto e tutti, con espressioni dialettali che nessuno era in grado di capire. Decisi di chiedere a mio padre il perché di tutti quei commenti su Antonio; mi spiegò allora che era arrivato dall’Italia molto giovane, che aveva sempre vissuto da solo, che era una persona tranquilla, ma ogni volta che si avvicinava una tormenta, sembrava diventare pazzo. L’aver partecipato alla prima guerra mondiale lo aveva scioccato: i tuoni erano per lui come esplosioni, quasi una minaccia di nuovi bombardamenti. Tutto ciò poteva durare due o tre giorni, poi finiva e l’uomo tornava in sè. Al paese lo sapevano tutti, perciò esisteva come un sentimento di protezione nei suoi confronti ed io imparai a capirlo e ad amarlo.
Il tempo trascorse, io avevo tre bimbi piccoli ed Antonio era una persona conosciuta a casa mia, perché era il giardiniere del piccolo cortile che si affacciava sui campi. Era sempre lo stesso, taciturno e gentile, dai gesti cordiali, con lo sguardo dolce e amico.
In quell’epoca era usanza celebrare alla grande le feste della Patria; con il giusto anticipo uscivano i programmi delle celebrazioni che comprendevano il gioco degli anelli, le corse dei cavalli, ma soprattutto gli spari delle bombe al sorgere del sole, preparati da Andrea, il parrucchiere maiorchino.
Quando succedeva, mi svegliavo di soprassalto, spaventata, ed il mio pensiero andava subito al povero Antonio al quale non doveva certo far piacere la festa, fonte per lui di ricordi così dolorosi, tanto da restare impressi dopo molti anni.
Senza dubbio ci saranno stati molti Noni e Antoni (più di quanti ci immaginiamo) che arrivarono in America senza famiglia e che non ne crearono mai una.
Me li ricordo con un particolare e speciale affetto: sono stati parte integrante del mio paese, sono stati parte di me.

Paola Cecchini

Paola Cecchini

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