Pianto antico

Pianto antico

Di Daniela Piesco Co-Direttore Radici 

La letteratura e la poesia (e l’arte in generale) hanno il dono di leggere le nostre emozioni, i nostri stati d’animo, di leggerci dentro insomma e di interpretare quello che stiamo vivendo anche senza conoscerci. Ecco perché l’arte, seppur nelle sue infinite sfaccettature, è universale: riesce a capire l’uomo a prescindere da tutto..

Ho scelto questa poesia per la piccola Elena :

L’albero a cui tendevi
La pargoletta mano,
Il verde melograno
Da’ bei vermigli fior,

Nel muto orto solingo
Rinverdí tutto or ora
E giugno lo ristora
Di luce e di calor.

Tu fior de la mia pianta
Percossa e inaridita,
Tu de l’inutil vita
Estremo unico fior,

Sei ne la terra fredda,
Sei ne la terra negra;
Né il sol più ti rallegra
Né ti risveglia amor.

Giosuè Carducci affronta in questa sua poesia il tema della morte del figlio Dante quando aveva soli tre anni. La morte avvenne il 9 novembre 1870 e il poeta inserisce questo componimento nelle sue Rime nuove: nella poesia dedicata al figlio morto è evidente il contrasto esistente tra le prime due strofe, in cui il melograno ha fiori vermigli ed è ristorato dal clima estivo di giugno, e le seconde due, dove il fior della pianta percossa e inaridita (cioè il figlio di Giosuè Carducci) è in una terra fredda, dalla quale neanche l’amore potrà risvegliarlo

Il più orribile dei delitti

L’uccisione di un figlio per mano materna rappresenta nell’immaginario collettivo il più orribile dei delitti, ma, al di là della spesso morbosa attenzione dell’opinione pubblica e dei mass media, i dati statistici confermano una realtà consolidata con precedenti storici rilevanti. La stigmatizzazione della donna nel ruolo di madre assassina va ricondotta, quindi, entro un quadro più generale: dopo i movimenti di emancipazione degli anni 70, il sistema tende ancora – o di nuovo – a estromettere le donne da alcuni ambiti per relegarle nel ruolo di “buone madri”. In questo nuovo scenario “post/neo patriarcale” la femminilizzazione del mondo del lavoro e dello spazio pubblico è avvenuta attraverso meccanismi di “inclusione differenziante”, desoggettivizzanti oltre che anacronistici, alla luce del mutamento del concetto di identità sessuale e di genere, ancora tutto in divenire.

Disturbo psichico o distruzione del legame con il padre,comportamento più propriamente definito come “Sindrome di Medea”?

La maggior parte delle “madri assassine” conduce, infatti, una vita coniugale pressoché felice e regolare fino a che eventi gravi ed inattesi (un lutto, un trasferimento, la perdita o il cambiamento di un lavoro, la gravidanza in sé) ne turbano gli equilibri. A scatenare l’evento è, dunque, una particolare condizione di mancanza di sostegno coniugale e familiare unita ad una personalità immatura, spesso incapace di accettare il proprio nuovo ruolo genitoriale. In sostanza si tratta di donne che, non avendo mai reciso il cordone ombelicale con la loro “genitrice”, appaiono più figlie che mamme e, sentendo il figlio come una propagazione di sé stesse, ritengono di poterne disporre.

Ma se la sindrome di Medea è, pertanto, un comportamento materno finalizzato alla distruzione del rapporto tra padre e figli dopo le separazioni conflittuali, dove l’uccisione diventa una eliminazione simbolica, altro è ciò che accade alle madri gravemente depresse o schizofreniche. Non a caso quest’ultime, dopo aver ucciso i figli si suicidano, mentre le madri non affette da disturbi che ne possono compromettere la capacità di intendere, sono capaci di continuare la loro vita, in quanto hanno compiuto quell’uccisione perché non hanno in sostanza riconosciuto il neonato come frutto vivente del proprio corpo.

È possibile prevenire un figlicidio?

Ci sono alcuni meccanismi di prevenzione che, se affinati, potrebbero aiutare le madri a non spingersi fino all’uccisione del figlio. Innanzi tutto, sarebbe importante rendere più praticabile la possibilità di accedere a supporti psicologici. Per molti la psicologia rappresenta ancora un tabù e questo rende molto difficile la possibilità di avvicinarsi alla cura e di chiedere aiuto, perché spesso si teme l’etichettamento o un giudizio negativo.

Inoltre spesso e volentieri tutte le persone sono portate a sottovalutare la malattia mentale di un proprio caro. La malattia fisica la si ammette, la malattia mentale no.

Di solito si glissa con espressioni del tipo ‘è un po’ strana, è un po’ giù e poco socievole’. E invece le situazioni di grave sofferenza psichica vanno intercettate. Sono più che sottovalutate, sono rinnegate.

Come viene punito il figlicidio?

Nell’ordinamento penale italiano non esiste il reato specifico di figlicidio. L’uccisione dei propri figli, infatti, viene configurata come infanticidio o omicidio, reati regolati dagli articoli 575 e 578 del Codice Penale.

Nel primo caso a compiere il delitto è esclusivamente la madre che “cagiona la morte del proprio neonato immediatamente dopo il parto, o del feto durante il parto”.

Quando l’atto è “determinato da condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto”, come difficoltà economiche e mancanza di assistenza, la pena è la reclusione da 4 a 12 anni. Nell’infanticidio la donna commette il delitto immediatamente dopo il parto: la pena infatti è calcolata tenendo conto del “perturbamento psichico conseguente al parto”.

Nel caso in cui concorrano al delitto altre persone, la pena per i soggetti estranei rientra in quella dell’omicidio, a meno che “non abbiano agito per favorire la madre”.

Il secondo reato a cui si rifà il figlicidio è l’omicidio, regolato dall’articolo 575 del Codice Penale, secondo cui “chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ai 21 anni”.

A meno che non sia appena nato, quindi, l’uccisione di un bambino da parte di un genitore è omicidio. La pena minima è pari a 21 anni di carcere, ma esistono circostanze aggravanti che possono portare il giudice a decidere di infliggere l’ergastolo.

In particolare, stando all’articolo 576 del Codice Penale, l’ergastolo si applica nel caso in cui il delitto sia stato commesso “contro l’ascendente o il discendente, quando concorre taluna delle circostanze indicate nei numeri 1 e 4 dell’articolo 61 o quando è adoperato un mezzo venefico o un altro mezzo insidioso ovvero quando vi è premeditazione”.

La piccola Elena

Elena del Pozzo, 5 anni a luglio, è stata uccisa ieri in un assolato pomeriggio siciliano e per una notte intera il suo corpo è rimasto affidato all’abbraccio dell’Etna: è lì, in un campo incolto di Mascalucia alle pendici del vulcano che sputa fuoco e vomita lava da due anni, che Martina Patti,la madre ,aveva tentato di scavare tra le ginestre una fossa, però troppo piccola per contenere il corpo, infilato in una matrioska di sacchi neri, la propria figlia senza vita.

Non esiste nessun sentimento al mondo in grado di descrivere cosa significhi perdere un figlio.

Così come è impossibile spiegare il parto a una donna che non ha mai partorito, è impossibile spiegare la perdita del figlio a una persona che non ha mai perso un bambino.

Elena è ora uno splendido fiore trapiantato e toccato da una mano divina, che sta sbocciando con tanti colori ricchi di sfumature più dolci di quelli della terra..

 

pH Fernando Oliva 

Redazione

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