Il silenzio del mio bisnonno

Il silenzio del mio bisnonno

Il silenzio non è sempre uguale: c’è quello che si prova restando senza parole mentre si guarda una cosa bella, quello che si vive durante un’emozione o quando le parole da sole non sono capaci di raccontare quello che si ha nel cuore. Il silenzio di Nazzareno che lasciò Macerata a diciassette anni con una valigia di illusioni, è di quest’ultimo tipo.
Era il bisnonno di Paula Malena Petri, autrice di questa testimonianza rilasciatami da Pergamino il 9 marzo 2003.

Sempre ho sentito il bisogno di comprendere il silenzio del mio bisnonno.
Non ho avuto l’opportunità di conoscerlo, però ho conosciuto il silenzio di quelli che hanno il suo sangue, un marchio indiscutibile del quale ho compreso il motivo solo poco fa.
È appena una settimana che sono tornata dalle Marche, regione bella, bellissima, ma anche ostile ed austera come lo era mio bisnonno. Là ho potuto capire la sua costante assenza di parole, una volta arrivato in America, e credo che da giovane, nella sua terra, il suo carattere debba essere stato molto diverso.
Immagino (e mi sembra persino di vederlo) quel ragazzo di Macerata con i suoi diciassette anni, pieno di energie e di speranze, lavorare come lo esigeva la terra, col desiderio di trovare nel nuovo mondo una vita migliore.
Munito di sole illusioni, arrivò in Argentina lasciando dietro di sé la famiglia, i sette fratelli e quelle belle colline che tanto deve aver rimpianto.
La sua vita qui non fu facile. Dovette lavorare quanto o forse più di quanto aveva fatto nei suoi campi e mai poté ottenere che qualcuno di essi fosse suo. Poi si appassionò ai motori, apprese le nuove tecnologie tanto che mio nonno, il suo primo figlio, divenne un camionista molto noto a Conesa, il paese dove si erano stabiliti..
Mai raccontò delle sue origini, forse perché non volle che altri sapessero quanta nostalgia sentiva per la sua terra. Qui ne aveva trovato un pezzo in Maria, sua moglie, pure lei marchigiana.
Forse insieme ricordavano i meravigliosi tramonti che si perdono tra le montagne ed il mare, i colori bruni della terra che si uniscono a quello dei tetti, il vento che passa tra gli alberi e le abbazie abbandonate.
Quando lei morì, non ebbe più nessuno con cui ricordare quei paesaggi e si sentì tanto solo nell’esilio, che se ne andò poco tempo dopo. Era il 1945.
Ora, dopo aver guardato indietro nella storia ed avendo visto la sua città natale, capisco il suo silenzio, un silenzio diverso dal mio mentre osservavo quei luoghi tanto fantastici. Ero senza parole, meravigliata.
Io so che lui, Nazzareno, non volle raccontare nulla, perché sapeva che stavamo perdendoci qualcosa di grande, credendo che mai lo avremmo conosciuto, e con il rimorso che fosse colpa sua.
Non ti preoccupare, nonno, ora tutti ti comprendiamo.

Paola Cecchini

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