Giletti sviene a Mosca, gli amici italiani del fascista Putin protestano

Giletti sviene a Mosca, gli amici italiani del fascista Putin protestano
Di Nicola Perrone

La guerra scatenata da Vladimir Putin contro il popolo dell’Ucraina non si arresta. Anche oggi distruzione e morte, con missili e colpi di artiglieria che martellano senza sosta, soldati corrotti come i loro superiori che si macchiano anche di crimini contro l’umanità. Come non ricordare le telefonate dei giovani soldati con le loro famiglie in Russia, messe al corrente delle loro razzie e dei loro furti – anche l’oro e l’argento dei morti – che li incitavano a mandare a casa tutto quello che potevano arraffare. Come scordare le parole del giovanissimo soldato russo: “Mamma, qui stiamo ammazzando la gente comune”, e la mamma sicura che rispondeva: “Non è vero, caro figlio, in tv dicono che state ammazzando i nazisti ucraini“.

In Italia l’argomento del giorno, a questo riguardo, è la pagliacciata messa in onda da Massimo Giletti, con svenimento annesso, come inviato a Mosca di ‘Non è l’arena’ per intervistare due sgherri del regime di Putin, come se fossero persone libere e titolate a rispondere su questioni che riguardano la libertà e l’autodeterminazione di un popolo, la democrazia, l’informazione pluralista. La figuraccia era scontata, perché alcuni nostri intrattenitori televisivi ancora non hanno capito, con chi li segue, che Putin e la sua cricca di potere della verità e delle regole di una democrazia non solo se ne sbattono ma le considerano pericolose, come l’amico turco Erdogan: idee dell’Occidente decadente da cancellare in ogni modo.

Non solo, è scoppiata anche la vibrante protesta di quelli che, tenuti sotto controllo dai nostri servizi di sicurezza, in questi mesi di guerra si sono distinti per la loro attività a favore della propaganda russa. Per noi giornalisti è tempo di metterci in discussione, perché molte volte è vero quanto sostiene Sofia Ventura riguardo al nostro lavoro che deve tutelare “l’etica dell’informazione, che è anche etica democratica”, mentre “ormai ha accettato di sposare pressoché in toto la logica mediatica, che è logica commerciale”.

Già Svetlana Aleksievic, nata da madre ucraina e padre bielorusso, premio Nobel per la Letteratura, nell’intervista rilasciata a Ezio Mauro per ‘Repubblica’, era stata molto chiara e netta: “Putin vuole appropriarsi del popolo, per questo non vuole che la gente sappia la verità […] La popolazione non deve sapere. La cosa più sorprendete è la reazione dei cittadini a questa confisca della verità […] ogni russo porta la sua parte di responsabilità perché ognuno anche nel proprio isolamento, nella paura può domandarsi cos’è questa guerra, cosa c’è di giusto in quel che facciamo in Ucraina e trarre le proprie conclusioni […] Questa guerra – sottolinea Aleksievic – chiama in causa una colpa collettiva“.

Tutti colpevoli, nessun colpevole? “Proprio il contrario – risponde il premio Nobel – voglio dire che la finzione di un popolo oppresso e disgraziato è troppo facile, non spiega niente”. Su questo, come comunità europea, bisognerà interrogarsi quando verrà il momento dei negoziati per la pace e, soprattutto, su chi dovrà pagare per i crimini di guerra e i danni per la ricostruzione delle città devastate.

Come italiani abbiamo una grande responsabilità, perché come sottolinea lo storico Timothy Snyder, cattedra a Yale ed esperto di Russia, in un suo articolo sul ‘New York Times’, “la Russia di oggi soddisfa i criteri che gli studiosi utilizzano per descrivere il fascismo in quanto idea basata sul culto dell’irrazionalità e della violenza […] Il fascismo non è stato mai sconfitto come argomento. Possiamo affermare che è stato sconfitto solo sul campo di battaglia della Seconda Guerra mondiale, ora è tornato e stavolta il paese che combatte una guerra fascista di distruzione è la Russia”. Snyder ricorda che il fascismo era di origine italiana e in tutte le sue varianti era caratterizzato “dal trionfo della volontà sulla ragione […] Un culto per un unico leader, il culto della morte (per Putin legato ai caduti della Guerra patriottica), il mito di un’età dell’oro passata di grandezza imperiale da restaurare con una guerra”.

“Oggi capiamo di più sul fascismo rispetto agli anni in cui si presentò – aggiunge Snyder – Il fascismo è soprattutto un culto della potenza che emana finzione. Riguarda la mistica di un uomo che guarisce il mondo con la violenza, e sarà sostenuto dalla propaganda fino alla fine. Può essere vinto solo se riusciremo a mettere a nudo le debolezze del loro capo […] solo allora i miti potranno crollare”.

Per questo al popolo dei “né, né” ricordo quanto diceva il nostro saggio amico Stanislaw Jerzy Lec: “Chi porta il paraocchi, si ricordi che del completo fanno parte il morso e la sferza”.

www.dire.it

Redazione Radici

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