Una democrazia in agonia

Una democrazia in agonia

di Romina G. Bottino

La nostra democrazia è in agonia da diversi anni e le sue condizioni sono drammaticamente peggiorate in questi ultimi tempi, ma purtroppo pochi se ne sono resi conto mentre, servili ipocriti,  fingono che non sia vero. Sono state realizzate riforme istituzionali che a detta dei fautori avrebbero snellito la burocrazia, favorito la governabilità e soprattutto avrebbero tagliato le spese dello Stato, a ben guardare, però, queste riforme hanno solo eliminato una quota importante di rappresentatività democratica.

Il taglio dei parlamentari è stato un colpo al cuore della Repubblica Parlamentare, alla rappresentatività delle minoranze, si è consumata una sorta di automutilazione; inoltre se un centinaio di parlamentari possono essere gestiti o corrotti da forze sovranazionali o globaliste  è più difficile che ciò avvenga con un numero più che doppio. Le spese si sarebbero potute tagliare di gran lunga semplicemente riducendo  gli sprechi pubblici e gli stipendi più onerosi della casta.

Anche la riforma che ha per così dire eliminato le Province ha solo tolto rappresentatività ai cittadini  perché ora le provincie continuano ad esistere ma la nomina dei suoi rappresentanti è diventata un affare interno alla politica.   Le provincie esistono con i loro presidenti e consiglieri. La riforma Delrio del 2014, che doveva essere una legge transitoria, col fallimento del referendum costituzionale promosso dal governo Renzi rimase una sorta di incompiuta perché non seguì la riorganizzazione e la ridefinizione delle competenze delle provincie depotenziate.

La legge Delrio è rimasta ed ha causato, insieme ai notevoli tagli finanziari decisi dai governi, moltissime difficoltà nella gestione di importanti settori come l’edilizia scolastica, l’ambiente, i trasporti, la manutenzione delle strade,  rimasti di competenza delle province. Ma soprattutto con questa legge non è chiaro di chi siano le responsabilità.

Anche la libertà di cura, garantita dalla nostra Costituzione è stata violata, come pure il diritto al lavoro garantito nei primi articoli della legge fondamentale dello Stato è stato disatteso.

Nel 2022 il governo privatizza trasporti, rifiuti e finanche l’acqua, in barba al referendum votato dai cittadini nel giugno del 2011 che prevedeva la gestione pubblica dell’acqua e vietava di trarne profitti in quanto bene vitale. La nostra democrazia è in agonia perché non ci è permesso di votare da tempo e le crisi di governo vengono risolte da anni con governi tecnici e pastrocchi ad hoc senza dare voce al popolo, sovrano solo sulla carta, garantendo gli interessi dei mercati esteri e di quanto impone la UE. Così i nostri politici eletti hanno inteso chinarsi ad una volontà non ben definita consegnando la guida del paese nelle mani di un banchiere, quasi per fargli terminare quell’opera di svendita dei beni dello Stato italiano, da lui iniziata ai tempi del Britannia negli anni “90”.

Dopo un tragico periodo pandemico, segnato da sofferenze, morte e privazioni, quando tutti noi cittadini avremmo dovuto vedere un governo tenderci la mano e rassicurarci  con un sicuro ed umano sostegno, i nostri politici ci hanno fatto recapitare l’uomo della borsa, delle banche e del potere finanziario che con freddo distacco ci ha reso chiaro, fin dall’inizio, i suoi voleri: o la borsa o la vita!

Nonostante dai sondaggi  risulti che la stragrande maggioranza degli italiani non voglia sanzioni contro la Russia, né  il riarmo, ma solo azioni di pacifica mediazione come è nella natura italica, questo premier, non votato, si è schierato da subito contro la Russia in barba agli interessi dell’imprenditoria italiana e di tutti gli italiani.

Cosa ancora più grave con l’espulsione della diplomazia russa, che equivale ad una dichiarazione di guerra, il governo  sta mettendo in serio pericolo la sicurezza italiana, senza tenere nella dovuta considerazione che sull’intero territorio nazionale insistono delicati obiettivi militari anche della Nato che rendono il Paese un particolare obiettivo sensibile!

Sembra che tutti abbiano dimenticato e disatteso l’articolo 11 della nostra Costituzione che recita: ” l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come strumento di risoluzione delle controversie internazionali”.

Né può essere accettabile il pensiero, che si pretende unico, secondo il quale bisogna difendere il paese aggredito perché se si ragiona in tal senso non solo non si rispetta questo illuminante articolo della nostra Costituzione, ma l’Italia sarebbe sempre in guerra perchè in questo momento nel mondo ci sono ben 59 sanguinosi conflitti.  I fatti recenti dimostrano che l’intervento a difesa dello Stato aggredito non è stato applicato da noi occidentali nei confronti del disgraziato Yemen che pure è stato aggredito nel 2015 dall’Arabia Saudita, Stato autoritario che pratica la sharia  e le uccisioni sommarie , ma in questo caso abbiamo armato il regime saudita dal quale acquistiamo senza scrupoli umanitari o sanzioni il petrolio e poco ci interessa della morte di milioni di bambini yemeniti e delle disperate condizioni  di questo popolo devastato da guerra, fame ed epidemie. Quanta ipocrisia da parte del potere che adotta sempre la doppia morale a seconda dell’interesse del momento!

Ma cosa possono fare i contribuenti italiani, quando anche manifestare il dissenso può diventare un atto sovversivo, in questo sistema che pretende anche l’autorizzazione a scioperare e mistifica la realtà per imporre atti prevaricatori nei quali, a volte, si potrebbero ravvisare i colori di un pulcillinante regime !

E’ grottesco pensare che proprio quei partiti che si definiscono democratici e che storicamente dovrebbero provenire da quelle ideologie che lottarono per la libertà di espressione e per i diritti dei lavoratori, oggi sono i primi a togliere la parola, a chi non la pensa come loro, sui media gestiti e controllati dal sistema.

E’ di questi giorni l’attacco al giornalista di rete quattro Giuseppe Brindisi che si è permesso di intervistare il ministro degli esteri russo Lavrov ed è perciò colpevole di aver dato voce al nemico. Dallo scoppio della guerra in Ucraina è la  prima intervista di un’emittente dell’Occidente  ad uno degli “oligarchi russi”,  intervista che perciò ha fatto il giro del mondo tra polemiche e condanne non solo alle esternazioni del politico russo, che sono sicuramente  da rigettare,  ma anche al giornalista che, nel pieno rispetto della libertà di stampa ha fatto il suo lavoro. Preoccupa il fatto che molte critiche al giornalista G. Brindisi vengono mosse anche da altri giornalisti, suoi colleghi, che dovrebbero avere a cuore la tutela della libertà di stampa garantita dalla nostra Costituzione all’art. 21.

Un altro caso preoccupante è quanto accaduto al professore Alessandro Orsini al quale la Rai, il servizio pubblico, pagato dai cittadini, che dovrebbe essere in quanto tale espressione di pluralismo per antonomasia, ha stracciato i contratti perché si è permesso di fare una analisi critica e storico- politica delle vicende russo ucraine, di cui ha titolo in quanto titolare della cattedra di storia contemporanea.

Del resto il professore era già stato attaccato e contestato in altre trasmissioni televisive da più opinionisti contemporaneamente, sempre con la stessa modalità antidemocratica di tutti contro uno. Inoltre le posizioni critiche e realistiche esternate in più occasioni dal professore Orsini sul conflitto ucraino hanno evidentemente urtato la suscettibilità dei quadri dirigenziali dell’Eni,  alcuni dei quali in quota Pd, determinando la sospensione, da parte della multinazionale, dei finanziamenti all’Osservatorio sulla Sicurezza internazionale dell’Università Luiss di Roma, diretto proprio dal professore Orsini. Purtroppo questa è la situazione del dibattito democratico nel nostro paese, se non si è allineati al pensiero unico il sistema o ti schiaccia o ti scredita.

Altro fatto eclatante che è dimostrazione lampante del clima antidemocratico presente nel nostro Paese è quanto accaduto all’Università pubblica Bicocca di Milano dove lo scrittore e docente Paolo Nori avrebbe dovuto tenere un  corso sul grande scrittore russo F. Dostoevskij, ma il prorettore alla didattica insieme alla rettrice gli hanno comunicato la sospensione del corso per evitare tensioni. Ci si chiede come faccia a creare tensione uno dei più importanti autori della cultura occidentale, morto più di un secolo fa. Queste posizioni di censura assunte da un ateneo così importante come quello milanese sono terrificanti perché richiamano alla memoria le Bücherverbrennungen, i roghi dei libri, avvenuti nel 1933 in tutta la Germania, quando Hitler era salito al potere da pochi mesi. Eppure le Università da sempre sono il luogo della libera circolazione delle idee e del pensiero senza i quali non c’è sviluppo, esse devono formare i formatori e perciò devono alimentare il pensiero critico che purtroppo, da sempre, viene represso nei regimi totalitari.

Un’altra vicenda sconcertante si sta svolgendo in questi giorni nel nostro Parlamento con il così detto caso Petrocelli che conferma nei fatti il crollo del nostro sistema democratico perché non è più ammesso il pensiero divergente, la posizione critica che è la manifestazione della buona salute di un Paese democratico. Ci ritroviamo un Parlamento in cui non solo non esiste più una reale opposizione, ma nel quale si sta affermando un partito unico della guerra di fascista memoria, che non tiene conto delle posizioni pacifiste, di  neutralità o anche e perché no filorusse presenti nel nostro paese. Né bisogna scandalizzarsi delle eventuali posizioni filorusse perché una buona fetta della nostra economia dipende dalla Russia ed inoltre le azioni portate avanti in questi ultimi anni in Ucraina dalla Nato e dagli USA  in molti italiani hanno fatto maturare una certa capacità di analisi critica.

Come in ogni sistema, nel bene o nel male, il micro riflette il macro e l’intolleranza è diventata un modus vivendi che si traduce ora in discussioni, ora in una vera e  propria violenza verbale e fisica.

Si registrano casi di intolleranza, ormai simbolo dell’odierna società, che si manifestano prepotentemente anche nel diporto, contaminando ogni tipo di rapporto, fino a rendere difficile trattare temi di attualità persino sui social, senza incorrere in accuse discriminatorie, così come l’emarginazione e la derisione a volte la fanno da padroni quando si cerca di aprire un confronto civile e costruttivo su un gruppo wathsapp di vecchi compagni di scuola e magari si subiscono censure ed aggressioni verbali, in nome di uno pseudo perbenismo volto all’esclusiva condivisione del futile chiacchiericcio.

Tutto questo non può che marchiare a fuoco questa umanità inconsapevole e confusa che il sistema pian piano sta trasformando in bestie. Da sempre è la conoscenza a generare libertà e rispetto mentre l’ignoranza genera ingiustizie, pertanto una informazione super partes va tutelata e promossa con forza e determinazione.

Antonio Peragine

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