La storia di Egle: Ho sette figli ma non ho mai rinunciato a me stessa e a mio marito

La storia di Egle: Ho sette figli ma non ho mai rinunciato a me stessa e a mio marito
ROMA – “Le critiche più severe le ho avute da parte di altre donne, secondo le quali per avere una famiglia numerosa avevo rinunciato alla mia emancipazione, al tempo per me e per mio marito. Ma in realtà non è mai stato così, una passeggiata con le amiche, un weekend fuori con mio marito, sono cose che ho sempre fatto. Ovviamente con una famiglia numerosa e il lavoro ci vogliono organizzazione e un po’ di aiuto da parte di qualcuno che sia disposto a tenere i bambini, magari per una notte. Ma a volte siamo anche noi donne a non volerli lasciare con altri e a rinunciare alle pause, a un po’ di riposo, a del tempo per noi stesse. Con mio marito abbiamo scelto di non rinunciare alla nostra dimensione di coppia, anche se naturalmente le occasioni per allontanarci non erano frequenti”. Egle Sberna parla della sua vita di madre di una famiglia numerosa con naturalezza, perché proprio la naturalezza ha permeato tutta la sua storia: l’esperienza della missione, l’adozione del secondo figlio Daniele durante la missione in Brasile, la scelta di avere altri due figli e di prenderne in affido altri tre. Presidente, insieme al marito Mario, dell’Associazione nazionale famiglie numerose, Egle ha raccontato alla Dire la sua vita in vista della Festa della mamma.

“Ho 4 figli- spiega- Francesco, Daniele, Maria Letizia, Aurora. Tre di loro sono figli naturali e uno è adottato. Daniele è arrivato da noi mentre eravamo in missione in Brasile, dove avevamo portato anche il nostro primogenito. Una notte di pioggia, bussò alla nostra porta una suora e mi mise in braccio questo fagottino ancora sporco di placenta. È stato un incontro in cui in un istante, guardando negli occhi questo neonato, abbiamo capito di non poter voltare lo sguardo altrove. Ci siamo innamorati immediatamente di lui ed è stato naturale accoglierlo come nostro figlio”. Tornati in Italia, sono nate Maria Letizia e Aurora. Proprio quando quest’ultima era appena nata, è arrivato il primo bambino in affido e, poco dopo, anche gli altri due. “Sono i nostri tre figli del cuore, sono stati con noi circa dieci anni, poi hanno scelto di tornare nelle loro famiglie di origine, ma ci sentiamo e ci vediamo ancora, possono venire qui quando vogliono e ci chiamano ancora ‘mamma e papà’. Una cosa molto bella che ci ripaga di quello che abbiamo fatto”.

“Il periodo in cui i figli erano 7- ricorda Egle- è stato molto impegnativo e anche faticoso per tutti, perché i bambini in affido avevano problemi caratteriali. Eppure oggi i miei figli ricordano solo i momenti belli di quell’esperienza, forte ma formativa. Tanto che Maria Letizia presenterà, a breve, la sua tesi di laurea proprio sull’affido. Ricordo che dopo aver avuto la mia ultima figlia, mentre c’erano in famiglia anche i bambini in affido, molte persone mi dissero ‘ma chi te lo ha fatto fare, ora arrangiati!’”. Anche l’esperienza dell’affido fu tatt’altro che programmata, tiene a ribadire Egle: “All’affido non avevamo mai pensato. Ci fu stato suggerito da operatori che sapevano della nostra esperienza di adozione e per questo ce lo proposero. Noi lo abbiamo preso in considerazione e poi scelto anche dopo esserci confrontati con altre famiglie che lo avevano fatto”.

Con sette figli, Egle è riuscita a non rinunciare al suo lavoro di operatrice in un centro diurno per anziani. “Siamo stati fortunati perché abbiamo avuto una rete parentale e amicale che ci ha sostenuto e aiutato e ha permesso a me di poter tornare a lavorare. In più, sono stata molto fortunata perché ho sempre svolto un lavoro che mi piaceva. Oggi mi rendo conto è molto più difficile per una donna che lavora fare una scelta del genere, perché molte donne lavorano e con i pochi servizi a disposizione conciliare tutto non è affatto facile. Ma una famiglia numerosa è una grande ricchezza, alla fine mi sento di dire che si può fare“.

Proprio riguardo ai pochi sostegni, economici e non solo, a disposizione delle famiglie del nostro Paese, Egle non può evitare di fare una considerazione a proposito della recente possibilità di dare ai figli il cognome del padre e anche della madre: “Il doppio cognome è certamente un risultato importante, che riconosce in modo ufficiale l’esistenza di due radici nella vita di una persona. Però sventolarlo come una conquista sociale, mentre sono carenti tanti servizi per i bambini e per le famiglie, mentre non c’è riconoscimento sociale della maternità, mi sembra esagerato. C’è ancora tanto da fare”.

L’impegno di Egle non si è fermato alla cura dei figli e di coloro che incontra con la sua attività di volontariato, due anni fa ha scelto di andare in pensione per occuparsi della madre anziana e bisognosa di cure. Una vita sempre protesa verso gli altri. Ma lei tiene a chiarire: “Una donna che sceglie di avere una famiglia numerosa, di curare i figli e poi un genitore anziano non necessariamente corrisponde al cliché della donna triste, che non ha stimoli, che non vive una vita piena e non guarda mai oltre le quattro mura di casa. Non è così, io sono una donna felice, ho fatto tutto quello che desideravo e aver costruito una famiglia numerosa oggi mi permette di godermi i figli grandi, i nipoti e di non ritrovarmi, insieme a mio marito, in una casa ormai vuota”, conclude.

(Foto gentilmente concesse da Egle Sberna)

www.dire.it

Redazione Radici

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